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Foreste distrutte, pipistrelli in fuga: gli esperti smontano i sindaci del Canavese

Dopo il ricorso di dieci Comuni contro la Regione Piemonte, Elena Patriarca e Paolo Debernardi difendono le nuove regole sui tagli: “Servono per proteggere le foreste e la biodiversità, non per penalizzare chi vive sul territorio”.

Foreste distrutte, pipistrelli in fuga: gli esperti smontano i sindaci del Canavese

Pipistrelli

La polemica sui nuovi divieti ambientali decisi dalla Regione Piemonte per la tutela dei boschi canavesani continua a far discutere. Dopo il ricorso presentato da dieci Comuni del Canavese – Cuceglio, Agliè, Castellamonte, Bairo, Scarmagno, Vialfrè, San Martino, Perosa, Torre e Baldissero – arrivano ora le parole di due esperti di ambiente e fauna, Elena Patriarca e Paolo Debernardi, che difendono la delibera regionale e spiegano perché, secondo loro, i sindaci stanno sbagliando bersaglio.

Il caso nasce dalla DGR 10-398 del 21 novembre 2024, con cui la Regione Piemonte ha aggiornato le Misure di Conservazione della Zona Speciale di Conservazione (ZSC) Scarmagno–Torre Canavese, parte della Morena Destra d’Ivrea. È un’area di grande valore naturalistico, ricca di biodiversità, riconosciuta anche a livello europeo. La delibera impone nuove regole per la gestione dei boschi e la tutela della fauna, in particolare dei pipistrelli forestali, che vivono nelle cavità degli alberi più vecchi o anche in quelli caduti a terra.

Le nuove norme vietano il taglio di alberi vivi, morti, con cavità o nidi di picchio, e persino di quelli già a terra, se non per motivi di sicurezza o esigenze agricole. Una stretta che, secondo i sindaci, rischia di bloccare la normale gestione forestale, danneggiando chi lavora nei boschi senza portare veri benefici alla natura. Per questo motivo, i dieci Comuni hanno deciso di rivolgersi al Tribunale Amministrativo Regionale, sostenendo che la Regione abbia approvato il provvedimento senza consultarli e senza una vera valutazione ambientale strategica.

Ma Patriarca e Debernardi respingono con decisione queste accuse.

taglio

“La posizione espressa dai Sindaci dei Comuni insistenti sulla Zona Speciale di Conservazione Scarmagno–Torre Canavese, avversa all’inserimento nelle Misure di Conservazione di norme stringenti di tutela forestale, è sintomo di disinformazione e demagogia”, scrivono.

Secondo i due esperti, il problema non è la delibera, ma il modo in cui da decenni vengono gestiti i boschi del Canavese. Già nel Piano Forestale Territoriale del Canavese-Eporediese, redatto dall’IPLA nel 2003, si denunciavano pratiche di taglio scorrette e depauperanti. “I Sindaci dovrebbero conoscere le criticità che hanno caratterizzato storicamente la gestione delle loro foreste”, ricordano.

Negli anni successivi, la situazione non è migliorata. In diverse zone, i cosiddetti “rilasci” di alberi – cioè quelli che dovrebbero restare in piedi dopo gli interventi di taglio – “sono stati così minimali che il risultato è paragonabile al taglio a raso”.

E non solo: “In numerosi casi le misure di conservazione del 2014 e 2016, ora ritenute insufficienti, non sono state neppure parzialmente applicate e l’obbligo di comunicazione dei tagli è stato eluso, come risulta dalle scarse istanze presenti nell’archivio del Sistema Informativo Forestale Regionale.”

Oggi, spiegano Patriarca e Debernardi, il contesto ambientale è completamente cambiato. Con il riscaldamento globale che avanza e gli eventi estremi sempre più frequenti, i boschi vanno protetti in modo diverso. Tagli eccessivi o errati possono esporre le foreste a schianti devastanti in caso di tempeste o piogge violente. Inoltre, le nuove conoscenze scientifiche sull’ecologia delle specie mostrano quanto siano importanti anche gli alberi vecchi, secchi o caduti: habitat indispensabili per insetti, funghi e pipistrelli che vivono soltanto in questi ambienti.

Per questo motivo, dicono, serviva una revisione più restrittiva delle vecchie norme. E la delibera del 2024 va esattamente in questa direzione. Anche perché, sottolineano, non prevede solo vincoli, ma anche indennizzi economici per chi dovrà sostenere costi aggiuntivi. Nel testo si parla infatti di “pagamento di indennità volte a compensare i costi aggiuntivi per la conservazione della biodiversità all’interno di cenosi forestali di particolare interesse conservazionistico attraverso il rispetto delle limitazioni e obblighi imposti alle pratiche silvicole comprese nelle Misure di Conservazione.”

“Non ci sarà dunque un impoverimento della popolazione – spiegano Patriarca e Debernardi – semmai si frenerà l’arricchimento di chi, a proprio esclusivo vantaggio, ha a lungo depauperato un bene comune.”

Il confronto, insomma, è aperto: da una parte i sindaci, che chiedono più libertà e temono di non poter più gestire il territorio; dall’altra chi, come Patriarca e Debernardi, ritiene che il tempo della leggerezza sia finito e che i boschi non possano più essere trattati come un deposito di legna da tagliare, ma come un patrimonio collettivo da proteggere.

Ora la parola passa al TAR del Piemonte, che dovrà decidere se la delibera è legittima oppure no. Ma, al di là della sentenza, la domanda resta la stessa: vogliamo boschi sfruttati fino all’ultimo tronco, o foreste vive capaci di resistere a un clima che cambia ogni anno di più?

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