Immaginiamo un giovane uomo, a Torino, tra la metà e la fine degli anni ’60.
Il ’68 ancora è da venire ma quel ragazzo sembra già incarnare quella “fantasia al potere” che farà la fortuna di un paio di generazioni che lo seguiranno. Ha la barba lunga, incolta, i capelli spesso gli arrivano quasi alle spalle. Veste con pantaloni a zampa, giacche e cappelli che si disegna da solo.
È un pittore e vive in una mansarda di piazza Vittorio Veneto che ha trasformato in un atelier. Si è fatto ristrutturare una vecchia FIAT Balilla per non passare certo inosservato e non è raro trovarlo a piedi, a passeggio con la sua gallina al guinzaglio.
È considerato un genio pazzo e visionario (al pari dei suoi eroi, George Best e i Beatles) dai suoi ammiratori e un pericoloso attentatore della morale comune dai suoi detrattori che, per altro, non gli hanno mai perdonato la sua relazione con una donna sposata, in un periodo in cui il diritto a divorziare è ancora lontano.
Sembra il ritratto di un bohemien sfaccendato e che tira a campare ma in realtà il suo mestiere è quello di essere un idolo, un mito, presto una leggenda di almeno una buona metà della città. Di nome quel giovane fa Gigi Meroni e di lavoro gioca a calcio: fa l’ala destra del Torino.
Arriva sotto la mole a 21 anni, nel 1964. Viene prelevato dal Genoa per 300 milioni (una cifra monstre per i tempi) nonostante le vibranti proteste dei supporter locali. Quando il suo allenatore dell’epoca scopre che il presidente vuole cederlo si precipita in città dalle vacanze per evitarlo: morirà schiantandosi contro un albero nel tragitto.
Subito amatissimo, a Torino Meroni diventa “la Farfalla granata”. Elegante, imprendibile quando va in dribbling, veloce e dalla tecnica sopraffina, con il 7 sulle spalle scriverà alcune pagine memorabili della sua squadra. Come il 12 marzo 1967 quando, davanti ai 51872 spettatori di un San Siro ammutolito, con una parabola impossibile, dà la vittoria ai suoi ai danni dell’Inter. L’Inter di Herrera, bicampione d’Europa e del mondo e che non perdeva in casa da 3 anni.
Giunto all’apice della carriera, alla fine della stagione 1966/67 la Juventus tenta di acquistarlo. Vengono offerti 750 milioni e il presidente Pianelli sembra avere accettato. La trattativa sfuma a seguito della rivolta in piazza dei tifosi granata. Pare, addirittura, che gli operai della FIAT arriveranno a boicottare la catena di montaggio facendo uscire le 128 rigate o con dei pezzi mancanti.
La stagione 1967/1968 non parte benissimo, ma il 15 ottobre 1967 il Torino coglie un importante successo per 4-2 contro la Sampdoria. La consuetudine di mister Fabbri, l’allenatore, sarebbe quella di tenere i ragazzi in ritiro fino al lunedì mattina, ma la vittoria spinge il tecnico a concedere una serata libera ai suoi atleti.
Intorno alle 21,30 Meroni si dirige verso casa, in corso Re Umberto, dove si è trasferito da poco. La fidanzata, Cristiana (che nel frattempo ha ottenuto l’annullamento del matrimonio e diventerà la sua sposa a dicembre) è fuori da amici e Gigi non ha le chiavi dell’alloggio.
Insieme al compagno e fraterno amico Fabrizio Poletti decide allora di raggiungere il bar Zambon, in corso Re Umberto 46, per chiamare la ragazza e farsi consegnare un mazzo di chiavi. Finita la chiamata, i due attraversano la strada in un tratto dove non ci sono le strisce pedonali.
Superano la prima metà del corso e si fermano nel mezzo, attendendo di passare dall’altra parte. Dalla loro destra sopraggiunge un’auto a grande velocità e i due, per evitarla, fanno un passo indietro. Non si accorgono che dietro di loro sta arrivando la macchina del diciannovenne Attilio Romero.
L’impatto è inevitabile. Poletti viene preso di striscio mentre Meroni viene sbalzato nella corsia di marcia opposta. Nello stesso momento, dall’altra parte, sta passando la Lancia Appia di un uomo, Guido Zaccaria, che colpisce il fuoriclasse granata in pieno, trascinandolo per 50 metri.
Gigi ha i due femori e il bacino fratturati e il torace sfondato. I dottori tentano di salvarlo ma alle 22,40 il suo cuore cessa di battere, senza aver mai ripreso conoscenza. Muore così, a 24 anni, nel momento migliore della sua vita e della sua carriera.
I funerali, svolti nella natale Como per il rifiuto della diocesi di Torino di celebrare un uomo che ha vissuto due anni con una donna sposata, si tengono il 17 ottobre, davanti a 20000 persone.
Cinque giorni dopo, nonostante la disponibilità dei cugini a rimandare la partita, il Torino sfiderà la Juventus nel derby. Dopo il minuto di silenzio un elicottero spargerà migliaia di fiori sopra lo stadio. Un Toro indemoniato travolgerà per 4-0 i bianconeri. È ancora, attualmente, il miglior risultato dei granata in una stracittadina dai tempi del Grande Torino ad oggi.
A Romero, cui venne riconosciuta l’impossibilità di evitare la tragedia, venne sospesa la patente e venne comminata una pena di sei mesi con la condizionale. Incredibilmente nel 2000 diventerà presidente proprio del Torino. Sotto la sua gestione il club fallirà nel 2005.
Nel 2007, nel quarantennale della morte, il comune ha posto un cippo celebrativo in Corso Re Umberto 46. È molto difficile, passandoci davanti, non trovarlo adornato di fiori freschi.
Anno dopo anno.
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