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La République si riposa: in Francia la riforma delle pensioni va in vacanza

Il premier Sébastien Lecornu sospende la riforma delle pensioni per non farsi licenziare prima del caffè. I socialisti ringraziano, la destra ride, e Macron… probabilmente sta già pensando a un altro “grande dibattito nazionale”.

La République si riposa: in Francia la riforma delle pensioni va in vacanza

Macron

I francesi sono fatti così: protestano, scioperano, bruciano pneumatici, bloccano le stazioni e alla fine... vincono pure. Mentre in Italia ci tolgono la pensione, il sorriso e pure la pazienza, oltralpe il nuovo primo ministro Sébastien Lecornu ha deciso che la celebre riforma delle pensioni — quella che aveva fatto tremare mezzo Paese e l’altro mezzo lo aveva mandato in piazza con le pentole — si può tranquillamente mettere in pausa. Come una serie Netflix che non piace più, ma che nessuno osa cancellare davvero.

Durante un discorso all’Assemblée Nationale, Lecornu ha pronunciato le parole magiche: “La riforma è sospesa”. Un colpo di scena degno del miglior Molière. In realtà, non ha detto “abolita”, “cancellata”, “bruciata in Place de la République” — no, semplicemente “sospesa”. Un termine che in Francia significa tutto e niente: come quando il cameriere ti dice “subito” e poi arriva mezz’ora dopo.
Tradotto in numeri: nessun aumento dell’età pensionabile da qui fino a gennaio 2028. Una pausa di quattro anni che riguarda circa 3,5 milioni di lavoratori. Non male per un governo che doveva durare quanto una madeleine dimenticata nel caffè.


Il punto è che il giovane premier, per evitare che il suo governo finisca nella storia come il più breve della Quinta Repubblica, ha dovuto tendere la mano al Partito Socialista, che ha accettato di non votargli contro. Non perché creda in lui, ma perché — come in ogni buona commedia politica francese — “il dialogo è sacro, purché non costi troppo”.
E questa sospensione, in effetti, costerà parecchio: circa 400 milioni di euro nel 2026, che diventeranno 1,8 miliardi nel 2027. Una somma che, per chi ama il paradosso francese, sarà probabilmente coperta da qualche tassa sull’efficienza o sul buon senso. Ma in fondo, che problema c’è? È solo denaro pubblico, mica baguette.


Lecornu ha poi giurato che non userà il famigerato articolo 49.3, quello che consente al governo di far passare una legge senza voto. Una promessa che suona come quando un automobilista parigino dice “non parcheggerò mai in seconda fila”. Tutti sanno come va a finire.
Ma almeno, per ora, il premier si è presentato come l’uomo del dialogo, quello che non impone ma “propone, dibatte e vota”. Il tutto mentre tiene d’occhio le mozioni di sfiducia che gli ronzano intorno come mosche su una brioche dimenticata.

Lecornu

Lecornu


Il contesto non è dei più sereni: il Parlamento francese è oggi un mosaico di gruppi, correnti e rivalità, con nessuna forza in grado di garantire una vera maggioranza. La sinistra socialista e quella verde osservano con sospetto, la destra gollista finge di indignarsi ma gongola, e Emmanuel Macron, l’eterno regista dietro le quinte, osserva in silenzio.
Forse sta già pensando a un’altra delle sue genialate comunicative, tipo un nuovo “grand débat national”, dove i cittadini potranno scegliere se lavorare di più o indignarsi di meno. L’Eliseo giura che la sospensione è “un gesto di apertura”. Gli scettici, invece, la definiscono “una mossa tattica”, un modo elegante per guadagnare tempo e raffreddare le piazze.


La verità è che in Francia ogni crisi politica è anche uno spettacolo. Ci sono gli attori, le comparse e il pubblico che commenta con il vino in mano.
Le opposizioni hanno già detto la loro: i repubblicani parlano di “manovra disperata”, la sinistra radicale la considera “una presa in giro”, e i socialisti si dichiarano “cautamente soddisfatti” — che in linguaggio politico francese significa “ti salvi oggi, ma non contare su di noi domani”.
Persino il canale Public Sénat, sempre attento alle sfumature, ha sottolineato che non sarà Lecornu a decidere da solo il futuro della riforma. In altre parole: la sospensione c’è, ma la partita è appena cominciata.


Intanto, nel Paese che ha fatto della protesta un’arte e della contraddizione un patrimonio culturale, si respira un misto di sollievo e scetticismo.
C’è chi brinda con un calice di Bordeaux, chi già prepara il prossimo corteo, e chi scommette che entro Natale spunterà un nuovo “piano di riforma riformata”.
Del resto, in Francia, la pensione è più di un diritto: è un campo di battaglia, una bandiera, un principio filosofico. E ogni volta che un governo prova a toccarla, i cittadini si riscoprono filosofi esistenziali, pronti a dimostrare che l’homme révolté non è mai andato in pensione davvero.


Insomma, Lecornu ha fermato la riforma. Ma solo per un po’. Come il vino novello, servirà tempo per capire se questa sospensione invecchierà bene o diventerà aceto.
Nel frattempo, Parigi può tirare un sospiro di sollievo: la République, almeno per ora, si è concessa un meritato repos.

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