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14 Ottobre 2025 - 15:55
Elena Piastra
C’è un mondo, a Settimo Torinese, dove la cultura è un mestiere. Un mestiere ben pagato, organizzato e perfettamente incartato nella burocrazia di una Fondazione che, anno dopo anno, si racconta come un presidio di innovazione ma funziona come un ufficio politico con vocazione culturale. Si chiama Fondazione ECM – Esperienze di Cultura Metropolitana, e del tanto decantato Festival dell’Innovazione e della Scienza è la regia, il motore e il beneficiario.
Sulla carta, dovrebbe essere la grande vetrina del sapere, un’occasione per avvicinare la cittadinanza alle nuove frontiere della ricerca e della tecnologia. Nella realtà, il festival è diventato una passerella istituzionale dove sfilano ospiti celebri – quest’anno Enrico Mentana e Zerocalcare, ma potrebbero essere chiunque – e dove a fine serata resta solo una lunga scia di foto, applausi e comunicati stampa. Innovazione? Scienza? Parole di repertorio. Piuttosto il racconto patinato di una città che si compiace di sé stessa, con la sindaca Elena Piastra sempre al centro dell’inquadratura.
Dietro il palcoscenico, però, c’è la macchina. Una macchina da oltre 3 milioni di euro di bilancio dove ogni voce ha un peso e un costo. Nel rendiconto 2024, la Fondazione registra 1.343.351,76 euro di spese per il personale operativo, 72.716 euro di consulenze esterne, 171.896 euro per attività accessorie e 5.212 euro di oneri finanziari.
A fronte di tutto questo, il risultato d’esercizio è un avanzo da 1.616 euro: praticamente il prezzo di un caffè al giorno per un ente che gestisce milioni di fondi pubblici.
Non c’è da stupirsi: la Fondazione, presieduta Silvano Pietro Rissio, esponente di spicco del Partito Democratico, è finanziata in larga parte dal Comune di Settimo Torinese, che nel 2024 ha versato 2.531.498,89 euro.
Una cifra monstre, che supera di gran lunga i contributi provenienti da altri enti. Dalla Regione Piemonte arrivano poco più di 33.600 euro per il Festival dell’Innovazione, 53.000 per il sistema bibliotecario SBAM, e somme minori per progetti collaterali come “Incipit” ed “Ecomuseo”. Il resto è marginale: qualche centinaio di euro dai comuni limitrofi e 3.400 euro dai Lions per un progetto sui DSA.
In totale, i contributi pubblici nel 2024 superano i 2 milioni e 850 mila euro. A tanto ammonta la fiducia, o la dipendenza, che Settimo Torinese ripone nella propria creatura culturale. E nonostante i numeri parlino chiaro, la narrazione "falsa" resta immutata: il Festival si fa “grazie agli sponsor”.
Peccato che gli sponsor, anche sommando tutto ciò che non è pubblico, non basterebbero neanche a coprire una mensilità del personale fisso.
Già, perché lo staff non è fatto di volontari appassionati ma di dipendenti stabili, con contratti a tempo indeterminato e stipendi da amministrazione pubblica. I nomi sono gli stessi da anni, come quelli scritti nei libretti del festival: Dario Netto (direttore organizzativo e anche direttore generale della Fondazione), Stefania Leotta, Matteo Cantamessa, Silvia Manzione, Monica Marian, Elena Sacchi, Sabina Tonon, Marianna Sasanelli, Daniela Petrone, e poi ancora Marina Gentile, Rita Basile, Nadia La Mastra, Alessandra Racco per i servizi amministrativi, con il supporto di Babel Agency per la comunicazione e CROMA per l’immagine. Una struttura fissa, a tempo pieno, finanziata da fondi pubblici.
E così, anno dopo anno, l’“innovazione” diventa routine. Un evento ripetuto, un copione riciclato, un marchio che funziona come qualsiasi altro brand pubblico: si vende bene, non costa poco e serve soprattutto a mantenere vivo un circuito politico e relazionale che si autoalimenta. La Fondazione non è più uno strumento culturale: è una macchina del consenso, perfettamente integrata nella narrazione della città.
E mentre i dirigenti illustrano nei report “l’impatto territoriale” e “le ricadute culturali”, il cittadino medio si chiede quando qualcuno tornerà a occuparsi di ciò che davvero serve: asfalto, marciapiedi, manutenzione, sicurezza.
C’è stato un tempo in cui i sindaci facevano i sindaci. Si occupavano dell’acqua, prima che arrivasse Smat; dei rifiuti, prima che nascesse Seta; del sociale, prima di Unione Net; della sanità, prima dell’Asl To4.
A Settimo, c'è stato anche un tempo, in cui il sindaco poteva dire al cantoniere “lì c’è un buco, sistemalo”. Oggi, invece, il cittadino segnala una buca, e quella buca diventa una pratica. Si aspetta che se ne formino venti per poter aprire una gara, perché “non conviene” intervenire prima. Il bello è che non se ne occupa neanche il Comune perchè ha dato in concessione tutta la rete viaria ad una società esterna (Patrimonio srl). Quindi è ancora più lunga. L'assessore riceve una lamentela, la gira al sindaco, poi ne riceve una seconda, una terza, una quarta, poi le lamentele si girano a Nino Daniel di Patrimonio che a quel punto chiede i soldi al Comune. E poi c'è la delibera, poi la gara d'appalto e poi non fai in tempo a mettere a posto che di buche ne sono venute fuori altre 100. Sembra di essere dentro una delle tante commedie di Totò, ma è tutto vero e, peraltro, anche in questo caso la sindaca può dire "io che c'entro?":
Insomma in questo sistema di non-decisione, la politica ha smesso di governare. Ha delegato, esternalizzato, appaltato. Ha sostituito l’azione con la comunicazione, la manutenzione con la narrazione. E Settimo, da laboratorio industriale e culturale, è diventata una vetrina di progetti, un cantiere infinito di idee che non riparano le buche ma le nascondono sotto gli slogan.
E poi c'è lei la sindaca Elena Piastra che si vanta con il sindaco di Roma Roberto Gualtieri d'aver inventato il "campo larghissimo", quello con dentro tutti. Non gli ha spiegato che in quel tutti c'è un'armata brancaleone che con la politica non ha più nulla da spartire. Tutti abilmente scelti solo per portar consenso. E così ci si ritrova una maggioranza in consiglio di "Ballerini, parrucchieri, artisti e seconde file" incapace di aprire "becco", solo di alzare la mano...
E dire che Le, alla sua prima candidatura, prometteva di “cambiare il Sistema Settimo”. Lei, sempre lei che oggi è il simbolo di quel sistema. Nella sua prima campagna elettorale si lamentava delle manutenzioni, ora governa peggio di chi l’ha preceduta — solo con più grafica, più storytelling, più “panchine intelligenti” e meno cantieri veri. Tutt'intorno un "rimbambimento" che non ha eguali. La guardano. Lei sorride. E tutti sono felici e contenti come della pasque... e fanculo le buche.
La differenza è che oggi l’indennità da sindaco non è più una semplice indennità: è un vero e proprio stipendio, spesso superiore a quello di chi, ogni giorno, deve evitare le voragini dell’asfalto cittadino.
Il Festival dell’Innovazione, in questo scenario, è il manifesto perfetto: luci, applausi, dirette social e parole come “futuro”, “sostenibilità”, “comunità”. Tutto bellissimo, tutto politicamente corretto, ma totalmente scollegato dalla realtà quotidiana. Un’operazione estetica che non produce cultura ma immagine, e che serve a perpetuare l’idea di una città in movimento, anche quando resta ferma.
E allora la domanda è semplice, anche se scomoda: servono davvero 2 milioni e mezzo di euro per mettere in piedi una settimana di conferenze e selfie? O quei soldi potrebbero, più utilmente, essere investiti in marciapiedi, strade, scuole, servizi?
La risposta è scontata, ma pochi hanno voglia di dirla. Perché a Settimo Torinese, la cultura fa bene. Ma fa meglio a chi la gestisce e a chi ci sguazza dentro (e sono tanti!).
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