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11 Ottobre 2025 - 00:28
Dina Boluarte
Nell’aria di Lima si respira un silenzio carico di tensione e incertezza. È la notte del 9 ottobre 2025 quando il Parlamento del Perù, con un voto implacabile di 122 sì su 130 deputati, sancisce la fine del mandato di Dina Boluarte, dichiarandola “incapace moralmente di governare”. È un evento senza precedenti nella storia recente del Paese: la prima volta che una donna alla guida dello Stato viene rimossa con tale rapidità e fragore politico.
L’espulsione dal potere segna la conclusione di un mandato segnato da contraddizioni, crisi istituzionali e mobilitazioni profonde. Boluarte, avvocata e funzionaria pubblica, aveva assunto la presidenza nel dicembre 2022 dopo la caduta e l’arresto di Pedro Castillo. Ereditò un quadro politico già instabile, ma il suo governo non riuscì mai a consolidarsi.
Fin dai primi mesi, Boluarte – inizialmente vicina al partito Perú Libre – prese le distanze dai vertici della formazione, subendo l’espulsione per “tradimento ideologico” e perdendo così la sua base politica. Da quel momento, la sua esperienza di governo si è trasformata in un continuo esercizio di sopravvivenza, tra alleanze temporanee e un crescente isolamento istituzionale.
Il capo d’accusa che ha prevalso in Parlamento – la cosiddetta “incapacità morale permanente” – rappresenta una formula tanto vaga quanto potente, spesso evocata nella politica peruviana per giustificare la rimozione di leader considerati delegittimati. In questo caso, ha sintetizzato la somma di fallimenti accumulati in due anni: l’incapacità di affrontare l’emergenza sicurezza, l’aumento della criminalità organizzata, la perdita di consenso popolare e, soprattutto, una serie di scandali che hanno offuscato in modo irreparabile la sua immagine.
Tra questi, il più devastante è stato il Rolexgate: un’inchiesta giornalistica ha rivelato che la presidente possedeva una collezione di orologi di lusso non dichiarati, alimentando sospetti di corruzione e di rapporti opachi con l’imprenditoria. Il caso ha scatenato l’indignazione dell’opinione pubblica e ha spinto parte dei suoi stessi alleati a voltarle le spalle.
Ma la sua caduta non è stata determinata soltanto dai dossier giudiziari. Da settimane, Lima e le principali città andine erano scosse da imponenti manifestazioni popolari, con centinaia di migliaia di persone in piazza per chiedere le dimissioni della presidente. Una mobilitazione diffusa, guidata soprattutto da giovani della cosiddetta Generazione Z, stanchi di un sistema politico percepito come corrotto e distante. Le proteste, iniziate il 20 settembre, si sono rapidamente estese alle regioni del Sud, trasformandosi in un movimento di massa.
La risposta del governo è stata dura e inefficace: stato d’emergenza, interventi dell’esercito e repressioni che hanno lasciato sul terreno decine di feriti. Ogni uso della forza, però, ha prodotto l’effetto opposto, alimentando la rabbia della piazza e accelerando il crollo politico di Boluarte.
La crisi che travolge oggi il Perù non è un episodio isolato. Negli ultimi otto anni, il Paese ha visto cadere sei presidenti, in un susseguirsi di scandali, destituzioni e fughe in avanti del Parlamento. Un dato che fotografa la fragilità strutturale di un sistema incapace di garantire stabilità e continuità democratica.
Secondo la Costituzione, dopo la destituzione del presidente, le funzioni di Capo dello Stato vengono assunte ad interim dal presidente del Parlamento. È così che José Jerí, esponente del partito Somos Perú, ha giurato come presidente ad interim nelle ore successive al voto. Ma il passaggio di potere non ha calmato le acque: le piazze restano piene, la tensione sociale alle stelle, e il futuro immediato appare più incerto che mai.
Il Paese si prepara ora a nuove elezioni generali, fissate per aprile 2026, ma l’atmosfera resta segnata dalla sfiducia. Le urne potranno forse cambiare i volti, ma difficilmente basteranno a guarire le ferite di una democrazia che da anni vive sospesa tra populismo, corruzione e instabilità.
La caduta di Dina Boluarte non è solo la fine di un governo, ma il crollo di un’intera stagione politica. Un segnale forte di un popolo che, pur stremato, non rinuncia a chiedere responsabilità e dignità. Resta da capire se il Perù riuscirà finalmente a trasformare questa crisi in un’occasione di rinascita o se continuerà a scivolare in quell’instabilità cronica che, ormai, è diventata la sua cifra politica.
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