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Lo Stiletto di Clio
09 Ottobre 2025 - 22:45
Mulini fluviali in una stampa del XVII secolo
«Sotto il piede del mugnaio, il mulino vive, come la nave sotto il piede del marinaio. Egli […] sostiene che per fare buon pane non si dà macinatura migliore e più gentile di cotesta di fiume». Così scriveva Riccardo Bacchelli (1891-1985), bolognese, autore di un notissimo romanzo, «Il mulino del Po», uscito in tre volumi fra il 1938 e il 1940.
Ci fu un tempo in cui il grande fiume, anche nel tratto immediatamente a valle di Torino, assicurava la forza motrice ai mulini natanti. In un disegno realizzato nel 1686 dall’architetto e ingegnere Michelangelo Garove, chierese di nascita, sono raffigurati i mulini di Sambuy, Castiglione e Gassino. Fin dal Medioevo questi caratterizzavano il paesaggio, come si rileva da una miniatura del tardo Trecento – a corredo del «De Bello Canepiciano» del cronista novarese Pietro Azario, nato nel 1312 – in cui compare un mulino su imbarcazione, con tanto di ruota, nei pressi di Gassino. Si tratta dell’elemento che più balza agli occhi in tutta la zona, dopo i castelli e i borghi fortificati, quasi a volerne indicare l’importanza nella vita economica dell’epoca. Tutt’intorno guazzano pesci dalle dimensioni eccezionali, mentre una barca con un uomo a bordo risale la corrente.
La miniatura trecentesca del «De Bello Canepiciano» è utile per comprendere come i mulini del Po fossero parte di un microcosmo ambientale e sociale, di un paesaggio in cui le strutture insediative e la circostante organizzazione dello spazio a fini agricoli interagivano e si compenetravano, fra teorie di alberi, vigneti e prati, quasi a costituire un piccolo mondo sospeso in una dimensione fuori della storia. La vita quotidiana appariva scandita dall’alternarsi delle stagioni, dai regimi di piena del Po e dai lavori nei campi.
Regolata da precisi ritmi era l’attività del mugnaio che di solito abitava con la famiglia e gli eventuali garzoni in un modestissimo casotto a riva, non lontano dal mulino. Gli abitanti di Gassino – informa una relazione del 1753 – «s’impiegano a far il molinaro, per esservi sovra il fiume Po, per l’estesa d’esso territorio, dodeci molini che spettano alli stessi molinari ed a qualche altri particolari di detto luogo». Il lavoro era impegnativo e faticoso, come Bacchelli fa dire a Subbia, il vecchio calafato del suo romanzo: «Le piene rompono le funi e mandano in traverso il mulino; i ghiacci, d’inverno, lo sfondano e lo schiacciano; vengono tempi da faticare notte e giorno, e qualche volta senza salvarsi».
Mulini natanti in una miniatura medievale
Due mulini natanti sul Po, in basso, nella bella miniatura trecentesca a corredo dell'opera di Pietro Azario (Biblioteca Ambrosiana, Milano)
Per dirigere e accelerare l’acqua a monte dei mulini, onde consentire il corretto movimento delle ruote, erano necessarie speciali opere idrauliche. Definite «ficche» o «fiche» (palificate, in italiano), queste consistevano in una o più file di pali posti nell’alveo del fiume trasversalmente alla corrente, con pietre di rinforzo, fascine di vimini e ramaglie. Per quanto ne sappiamo, la tecnica si mantenne pressoché inalterata dal Medioevo alla fine del diciannovesimo secolo. I mulini di Gassino – si legge in un atto che risale alla prima metà dell’Ottocento – «hanno sempre girato [...] coll’acqua del fiume che veniva ad essi guidata per una ficca stabile a traverso del fiume»; «tale ficca veniva riporta o aviata ed aumentata o diminuita secondo l’esigenza». Dal che si deduce che le fiche, avendo la struttura della diga a tracimazione, servivano pure a regolare i flussi d’acqua nei diversi regimi di piena. I resti di una di esse sono emersi all’altezza di Mezzi Po, non lontano dalla sponda sinistra del fiume, in seguito all’alluvione del novembre 1994.
I mulini del Po persero progressivamente d’importanza a partire dal periodo napoleonico, allorché entrò in funzione il Mulino Savio (poi Mulino Nuovo) di Settimo Torinese, lungo il corso inferiore del rio Freidano. Gli ultimi mulini galleggianti del territorio di Gassino compaiono nell’edizione 1881 della mappa edita dall’Istituto Geografico Militare.
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