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Cronaca

Arrestati il medico di Settimo Torinese e il monaco di Lanzo: portavano aiuti a Gaza, ora sono prigionieri in Israele

Bloccati ad Ashdod mentre portavano aiuti a Gaza: due torinesi arrestati a bordo della Conscience, farmaci sequestrati e città in piazza per la loro liberazione

Arrestati il medico di Settimo Torinese e il monaco di Lanzo: portavano aiuti a Gaza, ora sono prigionieri in Israele

Arrestati il medico di Settimo Torinese e il monaco di Lanzo: portavano aiuti a Gaza, ora sono prigionieri in Israele

È finita nel porto israeliano di Ashdod, e non sulle coste di Gaza, la rotta di due torinesi partiti con un sogno di pace. Francesco Prinetti, 32 anni, giovane medico torinese che ha lavorato anche come libero professionista a Settimo Torinese, e Claudio Torrero, 69 anni, monaco buddhista di Lanzo, sono stati arrestati dalle autorità israeliane come membri dell’equipaggio della Conscience, la nave ammiraglia della nuova Freedom Flotilla Coalition, salpata da Otranto il 30 settembre. Una missione che portava a bordo non armi né provocazioni, ma aiuti umanitari, farmaci, strumenti medici e la speranza di un gesto concreto di solidarietà verso il popolo palestinese, stremato da mesi di assedio e bombardamenti.

La notizia dell’arresto è arrivata all’alba, alle 5.30, alle famiglie dei due torinesi. Secondo quanto riferito dalla Farnesina, la Conscience è stata intercettata da elicotteri israeliani a circa 120 miglia dalla costa di Gaza, in acque prossime al confine egiziano. L’imbarcazione è stata bloccata e trascinata fino al porto di Ashdod, vicino a Tel Aviv. Un’azione rapida e coordinata, documentata dagli stessi membri dell’equipaggio che, come già accaduto nella prima Flotilla, hanno diffuso video e messaggi per denunciare quanto stava accadendo.

In uno di questi filmati, Francesco Prinetti, con voce ferma ma consapevole del rischio, dice: «Se stai vedendo questo video è perché sono stato arrestato. Ti chiedo di fare pressione sul governo e sull’ambasciata per ottenere la mia liberazione e per fermare la complicità di questo genocidio». Parole che oggi risuonano come un grido di umanità lanciato da un giovane medico che ha scelto di curare dove la medicina non basta più, e dove la solidarietà diventa un atto politico.

A Torino, intanto, la città si è mobilitata. Nella serata di ieri si è tenuta una manifestazione di solidarietà organizzata dai movimenti pacifisti e da numerose associazioni civiche. In piazza, Monica Tosini, madre di Francesco, ha preso la parola con la forza di chi vive la paura e l’orgoglio insieme: «Non l’avevo mai fatto, ma questa situazione è assurda e dobbiamo dire basta. Hanno fermato mio figlio vicino alla costa egiziana, è un atto di pirateria. Ho paura, certo, ma so che lui non ne ha». Le sue parole hanno attraversato il silenzio della piazza, rotto solo dagli applausi.

Francesco, che esercita la professione di medico con competenza e dedizione, aveva scelto di mettere la sua esperienza al servizio della popolazione di Gaza. Nei video pubblicati prima della partenza spiegava: «Portiamo sostegno ai colleghi che lavorano nella Striscia in condizioni disastrose, senza strumentazioni né medicinali. È un dovere professionale e morale». La nave Conscience, in effetti, era una sorta di ospedale galleggiante, carico di farmaci, dispositivi medici e materiale sanitario donato da cittadini, farmacie e associazioni italiane. A bordo, oltre 150 persone tra medici, infermieri, giornalisti e volontari di diversi Paesi, tutti diretti verso un territorio in cui il diritto alla cura è diventato un miraggio.

Con lui, sul ponte della Conscience, c’era Claudio Torrero, conosciuto nel mondo monastico come Bhante Dhamapala. A 69 anni, questo ex insegnante di filosofia, oggi monaco buddhista Theravada, ha deciso di imbarcarsi non per dovere, ma per vocazione spirituale. Da anni promuove il dialogo interculturale e la nonviolenza attraverso l’associazione Interdependence, da lui fondata nel 2007. Nei giorni che hanno preceduto la partenza, ha pubblicato sul suo diario di viaggio riflessioni e meditazioni. Scriveva: «Quando ho sentito che avrei dovuto esserci, è stato come una chiamata. Non potevo restare a guardare. Il mio posto era lì».

L’ultimo aggiornamento sul sito interdependence.eu risale al 7 ottobre: un testo breve, quasi premonitore, in cui Torrero riflette sul coraggio della nonviolenza e sulla necessità di “esserci anche quando tutto sembra inutile”. Lo descrivono come un uomo mite ma determinato, che crede nella spiritualità come forma di azione concreta. Per lui, la pace non è un concetto astratto, ma una pratica che si costruisce giorno per giorno, anche sfidando i limiti imposti dal potere.

Le autorità israeliane non hanno ancora fornito una versione ufficiale dettagliata dell’arresto, ma le organizzazioni che sostengono la Freedom Flotilla denunciano l’episodio come un atto di forza illegittimo, avvenuto in acque internazionali. Per loro, non si tratta di una provocazione politica, bensì di un gesto di solidarietà civile, volto a rompere simbolicamente l’assedio che da anni imprigiona Gaza e la sua popolazione.

Nel frattempo, la comunità torinese si stringe attorno alle famiglie dei due connazionali. I messaggi di solidarietà si moltiplicano sui social e nelle piazze, mentre cresce la pressione diplomatica sull’Italia affinché chieda la loro liberazione. Dal canto suo, la Farnesina ha dichiarato di “seguire con la massima attenzione il caso” e di essere in contatto con le autorità israeliane.

Francesco e Claudio, due vite diverse ma complementari, si sono incontrate sul mare, uniti da un’idea semplice e disarmante: che aiutare chi soffre non sia un crimine. Uno spinto dalla scienza e dall’etica della cura, l’altro dalla compassione e dalla meditazione. Insieme, hanno trasformato un viaggio in una testimonianza, pagando il prezzo della loro coerenza.

E così, mentre la Conscience giace ormeggiata nel porto di Ashdod e i due torinesi attendono notizie sul loro destino, resta nell’aria la domanda più scomoda di tutte: quando l’aiuto diventa reato, chi è davvero colpevole?

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La Conscience fermata in mare, l’Italia scende in piazza

All’alba dell’8 ottobre, intorno alle quattro del mattino, le forze israeliane hanno bloccato in acque internazionali la nave Conscience, ammiraglia della Freedom Flotilla Coalition, insieme ad altre otto imbarcazioni della spedizione Thousand Madleens, dirette verso Gaza con aiuti umanitari. L’operazione è avvenuta circa 120 miglia al largo delle coste palestinesi, fuori dalla giurisdizione israeliana, come ha denunciato la coalizione internazionale. I militari, dopo aver oscurato i sistemi di comunicazione, sono saliti a bordo e hanno scortato le navi verso un porto israeliano. Tel Aviv ha definito l’intervento “un’azione legittima contro un tentativo di violare il blocco navale”.

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A bordo della Conscience viaggiavano aiuti medici e alimentari per oltre 110.000 dollari: farmaci salvavita come adrenalina e dobutamina, dispositivi respiratori, latte in polvere, assorbenti e pannolini per bambini. Tra i sei italiani arrestati ci sono Riccardo Corradini, chirurgo di Trento, Francesco Prinetti, giovane medico torinese, Vincenzo Fullone, infermiere romano, e Claudio Torrero, monaco buddhista di Lanzo noto come Bhante Dharmapala. Con loro anche l’eurodeputata dei Verdi Melissa Camara. In un comunicato video registrato prima del sequestro, l’equipaggio spiegava: «Siamo una nave di 70 metri con 100 persone da 25 Paesi. Portiamo cibo e farmaci salvavita per la popolazione di Gaza, vittima di un genocidio che dura da due anni. Grazie a chi manifesta per noi: la vostra voce è la nostra forza».

L’appello non è rimasto inascoltato. Nello stesso giorno, l’8 ottobre, decine di città italiane sono scese in piazza per chiedere la liberazione dei fermati e la fine del blocco su Gaza. A Roma un corteo ha attraversato il centro dal Colosseo alla Piramide, mentre presidi si sono svolti a Milano, Bologna, Parma, Modena, Bergamo, Varese e Reggio Emilia. Il Sud ha risposto con manifestazioni a Napoli, Salerno e Taranto, e perfino le città più piccole, come Ferrara e Gorizia, hanno aderito all’appello della Freedom Flotilla Coalition, di Giovani Palestinesi Italia e del Movimento Studenti Palestinesi.

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