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Quel mattino in cui il cielo di Caselle si schiantò

L’8 ottobre 1996 l’Antonov Aeroflot 9981 precipitò poco oltre la pista, sulle case. Quattro le vittime

Quel mattino in cui il cielo di Caselle si schiantò

Quel mattino in cui il cielo di Caselle si schiantò

Oggi, 8 ottobre 2025, ricorre il ventinovesimo anniversario del disastro dell’Antonov a Caselle Torinese e San Francesco al Campo, una delle pagine più tragiche dell’aviazione civile italiana. Il volo Aeroflot 9981, un enorme Antonov An-124 Ruslan, partito da Mosca-Chkalovsky e diretto a Torino per caricare auto di lusso destinate al Brunei, si schiantò contro una cascina subito dopo il tentativo fallito di atterraggio. Morirono quattro persone: i piloti Oleg Pripouskov e Alexander Ugryumov, e i coniugi Fiorentino Martinetto e Maria Perucca, travolti dalle lamiere nella loro casa di via Bruna, a San Francesco al Campo.

Era una mattina limpida, l’aria tersa di ottobre sopra la pianura torinese. L’aereo, lungo oltre settanta metri, aveva chiesto l’autorizzazione ad atterrare sulla pista 36 di Caselle, ma quel giorno la pista utile era ridotta per lavori: 2.350 metri al posto dei 3.300. Una manovra di avvicinamento che, su un colosso del genere, lasciava margini minimi d’errore. Durante l’atterraggio i piloti si resero conto che la pista non bastava. Decisero la riattaccata, la manovra d’emergenza per riprendere quota. Ma era troppo tardi. Gli inversori di spinta, i dispositivi che servono a frenare, erano ancora attivi: la potenza dei motori non bastò a sollevare la fusoliera. L’aereo stallò, perse velocità, superò la pista, abbatté alberi, pali, siepi, e infine piombò sulla cascina. Il boato fu sentito a chilometri di distanza.

Il dramma dell'Antonov

Nel relitto, devastato ma non completamente esploso, alcuni membri dell’equipaggio riuscirono a salvarsi. Otto su ventitré uscirono illesi, scivolando tra i rottami. Gli altri furono estratti dai vigili del fuoco, accorsi in pochi minuti insieme ai volontari locali. Sul posto si lavorò ore, tra fumo, fango e benzina, per mettere in sicurezza la zona. Le fiamme vennero domate, ma la tragedia restò intatta nei volti di chi vide l’enormità di quel velivolo schiantato tra i campi.

Le indagini successive furono lunghe e complesse. La relazione tecnica indicò una catena di errori: l’equipaggio non aveva pianificato con cura la procedura di mancato avvicinamento, il comandante aveva poca esperienza nei voli civili, la comunicazione tra piloti fu confusa e la gestione degli inversori errata. Un insieme di fattori umani e tecnici, aggravato da una pista ridotta e da tempi di reazione insufficienti. La conclusione fu amara: una tragedia evitabile.

Da allora, ogni 8 ottobre, Caselle e San Francesco al Campo ricordano. Il Comune ha mantenuto viva la memoria con messaggi ufficiali, fiori, momenti di raccoglimento. Negli anni scorsi, soprattutto nei ventennali, si sono tenute piccole cerimonie, con i familiari delle vittime, tra cui Giusi e Mauro Martinetto, figli dei coniugi morti nella cascina. Non grandi eventi, ma un gesto di sobrietà: poche parole, tanta memoria. Quest’anno, al ventinovesimo, non risultano celebrazioni pubbliche di rilievo, ma il ricordo resta radicato. In paese se ne parla ancora, tra chi abitava lì, tra chi vide il fumo salire dai campi quella mattina.

Curiosamente, proprio in questi giorni un nuovo Antonov An-124 è tornato ad atterrare a Caselle. Un evento tecnico, programmato per il trasporto di componenti industriali, ma che molti hanno letto come un ritorno simbolico. Le immagini del “gigante dei cieli” pubblicate dagli spotter e dagli appassionati hanno risvegliato inevitabilmente la memoria di quel giorno del 1996. Un ritorno che fa riflettere su quanto sottile sia il confine tra la potenza e la fragilità del volo.

La tragedia di Caselle non è solo un fatto di cronaca: è una lezione civile. Ricorda che la sicurezza non è un dato acquisito, ma un equilibrio costante tra rigore tecnico, formazione e responsabilità. Ricorda che dietro ogni incidente non c’è soltanto un errore, ma una catena di scelte, omissioni, tempi, comunicazioni. E che il costo di quella catena è spesso irrimediabile.

A distanza di ventinove anni, l’Antonov 9981 è ancora una storia che interroga. Interroga le istituzioni, l’aviazione civile, ma soprattutto la memoria collettiva. Ogni ottobre, nel Canavese, qualcuno riapre un giornale, guarda una fotografia in bianco e nero, e si chiede come sarebbe andata se. Il ricordo, quando non è retorico, è giustizia. E la giustizia, a volte, consiste nel non smettere di ricordare.

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