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06 Ottobre 2025 - 21:41
Giuseppe Conte
La sconfitta in Calabria è stata dura, anzi durissima. E arriva appena una settimana dopo quella nelle Marche, dove il centrosinistra aveva già dovuto incassare un colpo pesante. Il fronte progressista ora si lecca le ferite, cercando di riorganizzarsi e di trovare fiato in vista della prossima settimana, quando si voterà in Toscana: appuntamento che, nei corridoi del Nazareno, viene ormai considerato come la prima vera occasione per interrompere la scia negativa e tornare a respirare.
Ma dietro la cautela dei commenti ufficiali e le dichiarazioni di rito, si consolida una convinzione che attraversa tutte le forze della coalizione: «L’unità è indispensabile», sì, ma non basta più.
In Calabria il risultato parla da sé: il candidato del centrodestra, Roberto Occhiuto, ha distanziato di oltre venti punti il suo avversario, Pasquale Tridico, economista ed ex presidente dell’Inps, candidato del M5S e sostenuto dal campo largo. Una sconfitta netta, che Tridico ha riconosciuto con eleganza, telefonando subito al vincitore. «È stata una battaglia vera, intensa. Sapevamo che sarebbe stata difficile. Il campo progressista ha dato una risposta vera. Da parte mia c’è grande delusione, ma mi conforta il sostegno di tanti», ha commentato a caldo.
Dalla parte dei Cinque Stelle, il primo a farsi sentire è stato Giuseppe Conte, che ha voluto ringraziare pubblicamente il suo candidato: «Dobbiamo solo dire grazie a Tridico. Per amore della propria terra ha generosamente accettato di candidarsi, in condizioni di emergenza, a una campagna elettorale che si è preannunciata fin dall’inizio molto in salita».
Parole di riconoscenza condivise anche dal resto della coalizione. Nessuno mette in discussione la figura di Tridico, anzi: per molti la sua candidatura è stata un atto di coraggio, un gesto politico che ha permesso di dare un volto credibile a un progetto comune ancora fragile.
Per il Partito Democratico, l’analisi più diretta è arrivata da Nico Stumpo, deputato calabrese: «È il dato di una sconfitta, ma anche nelle sconfitte così dure è obbligatorio lavorare per venirne fuori». Parole che riecheggiano la linea prudente della segretaria Elly Schlein, che ha preferito non commentare, lasciando il compito al suo braccio destro Igor Taruffi, responsabile organizzazione del partito. «I conti di questo turno elettorale andranno fatti alla fine della tornata regionale. Solo dopo il 23 novembre potremo fare una valutazione politica e un bilancio più compiuto», ha spiegato.
Una frase che suona come un invito alla calma, ma che nasconde anche la consapevolezza che il percorso verso le politiche del 2027 sarà lungo e accidentato. Taruffi, tuttavia, prova a guardare il bicchiere mezzo pieno: «Per noi rimane comunque fermo l’impegno nel consolidare l’alleanza di centrosinistra, certi che nei prossimi appuntamenti le vittorie arriveranno. L’unità del centrosinistra è e rimane una condizione indispensabile per vincere e governare».
Proprio sull’unità, infatti, si è acceso il dibattito nelle ultime ore. Le elezioni regionali – dicono molti – non sono solo un test locale, ma un banco di prova nazionale in vista dello scontro con Giorgia Meloni. La stessa Schlein, nei giorni scorsi, lo aveva riconosciuto apertamente: «L’unità non è una condizione sufficiente per la vittoria, ma è il presupposto indispensabile».
Un concetto ribadito anche dai co-portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che però mettono l’accento sulla necessità di un cambio di marcia: «La sconfitta in Calabria deve portare a una riflessione. L’unità non è in discussione, ma serve un cambio di passo che non può più essere rinviato».
Tra le righe, è chiaro il messaggio: non basta sommare sigle, serve costruire un progetto riconoscibile, un linguaggio comune, una proposta politica capace di parlare a chi oggi si astiene o guarda altrove.
C’è poi un altro dettaglio che alcuni osservatori interni al Pd hanno sottolineato con malizia: proprio nel giorno del voto calabrese, Schlein ha riunito la segreteria per discutere di economia. Un segnale – forse involontario, forse no – che per qualcuno dimostra la distanza crescente tra il partito e i territori.
Dal punto di vista dei numeri, Taruffi ha provato a difendere il dato: «Il Pd è intorno al 20%, in crescita rispetto alle ultime regionali. Il centrosinistra complessivamente passa dal 27% al 41%». Una lettura che, tuttavia, non convince tutti. Nel 2021 – ricordano in molti – il campo progressista si era diviso, con Luigi De Magistris candidato governatore alternativo. Stavolta, invece, l’unità c’era. Ma non è bastata.
Le proiezioni, intanto, fotografano una situazione chiara: M5S stabile intorno al 6,5%, Avs al 3,5%. Percentuali che confermano la fatica di tutto il fronte alternativo alla destra, mentre Occhiuto e il centrodestra consolidano la loro leadership nel Sud.
E così, alla fine di una lunga notte elettorale, resta l’amaro in bocca e una domanda che rimbalza tra Roma e Catanzaro: se l’unità è davvero indispensabile ma non sufficiente, cosa manca al centrosinistra per tornare a vincere?
Forse – ammette qualcuno in privato – manca ancora un racconto, un’identità, una visione capace di far sognare. Perché in politica, come nella vita, non basta essere insieme: bisogna sapere dove si vuole andare.
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