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Torino–Ivrea. Il treno dell’inferno: promesse tradite e pendolari trattati come bestiame

Ritardi, soppressioni e carrozze corte: mentre i viaggiatori viaggiano come bestiame, l’assessore Gabusi agita tabelle sulla puntualità e Trenitalia dimentica i bimodali doppi. Avetta: «Così si affossa il Canavese».

Torino–Ivrea. Il treno dell’inferno: promesse tradite e pendolari trattati come bestiame

Il consigliere regionale del Pd Alberto Avetta

C’è chi la chiama supplizio quotidiano, chi la paragona a un calvario, chi addirittura la definisce una tortura di Stato. Una cosa è certa: non è un servizio ferroviario degno di una Regione che ama sbandierare la propria vocazione alla sostenibilità e alla mobilità pubblica. La tratta Torino–Chivasso–Ivrea è diventata ormai una barzelletta amara, una barzelletta che però non fa ridere, soprattutto i pendolari che ogni mattina e ogni sera si ritrovano stipati come sardine in convogli corti, che arrivano in ritardo o che vengono soppressi senza preavviso.

E non è più tempo di liquidare tutto come “episodi isolati”, come da anni ripete con aria di sufficienza l’assessore regionale ai Trasporti Marco Gabusi. Le cronache parlano chiaro: convogli fermi per ore a Rodallo, soppressioni improvvise, passeggeri lasciati a terra a Chivasso o addirittura a Porta Susa, costretti ad aspettare treni fantasma che spesso non arrivano mai. Persino Striscia la Notizia è dovuta intervenire, anni fa, per raccontare quello che chiunque usi questa linea conosce bene: un disastro quotidiano, che continua a peggiorare.

treno

Eppure Regione Piemonte e Trenitalia avevano garantito, con la solita fanfara propagandistica: “Raddoppieremo i treni bimodali nelle ore di punta”. La panacea di tutti i mali. Una promessa che, come sempre, è rimasta promessa. Alberto Avetta, consigliere regionale del Partito Democratico, torna all’attacco con una nuova interrogazione che fotografa l’ennesimo fallimento:

«La capienza limitata dei bimodali è del tutto insufficiente rispetto alla domanda e, spesso, i pendolari vengono lasciati a piedi a Porta Susa o alla stazione di Chivasso. Regione e Trenitalia avevano promesso i treni doppi, ma non è avvenuto. Intanto la scuola è ricominciata e ogni giorno si ripetono i disagi», denuncia Avetta.

E porta esempi concreti, freschi freschi. Martedì 30 settembre 2025, il 2714 delle 7.41 da Ivrea era “corto”: già saturo all’arrivo a Chivasso, con i passeggeri in eccesso trattati come pacchi postali e dirottati sul treno successivo. Nello stesso giorno, il 2737 delle 17.25 da Porta Nuova era già stracolmo alla partenza, tanto che a Porta Susa i pendolari sono stati letteralmente abbandonati in banchina. E non è finita: quel treno, come ciliegina sulla torta, ha raggiunto Ivrea con 30 minuti di ritardo.

Il paradosso? Mentre il servizio peggiora, i prezzi di biglietti e abbonamenti aumentano. Una beffa che rende il viaggio ancora più insopportabile per studenti, lavoratori e professionisti. «Non si può fare spallucce e derubricare tutto ad episodi isolati» ribadisce Avetta. «Si tratta di un disservizio che penalizza la vita di studenti e lavoratori e compromette il tessuto produttivo e professionale del Canavese».

E allora che fa la Regione? Presenta trionfalmente tabelle di puntualità al 90%, come se bastassero i numeri in una slide a cancellare l’esperienza quotidiana di chi resta a piedi. Basta scendere un mattino a Chivasso o a Ivrea per capire come stanno davvero le cose: treni con due sole carrozze, pendolari ammassati come bestiame, ritardi sistematici che mandano in tilt coincidenze e orari di lavoro.

Intanto l’assessore Gabusi continua a recitare il mantra delle “criticità fisiologiche”. Ma qui la fisiologia non c’entra nulla: questa è una patologia cronica, e il paziente – la linea Torino-Ivrea – è in coma da anni. La verità è che Regione Piemonte e Trenitalia hanno preso in giro migliaia di cittadini, sventolando promesse che non hanno mai trasformato in realtà.

Così, mentre si parla di Alta Velocità, corridoi europei e grandi opere faraoniche, in Canavese la vita quotidiana è fatta di studenti che viaggiano in piedi per mezz’ora, lavoratori che accumulano ritardi e giustificazioni, medici bloccati nei convogli, famiglie che non possono contare nemmeno su un servizio ferroviario minimo. È questa la fotografia reale di un Piemonte che ama dichiarare di investire nella mobilità sostenibile ma che, nei fatti, abbandona interi territori alla loro marginalità.

E allora resta solo la domanda finale di Avetta, la stessa che ogni giorno si pongono i pendolari sulle banchine: «Quando avremo i bimodali doppi nelle ore di punta?». Una domanda che continua a rimbalzare tra i comunicati di Trenitalia e le rassicurazioni dell’assessore Gabusi. Ma la risposta, nelle carrozze strapiene, i viaggiatori la conoscono già: mai.

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