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Torino, città delle multe ai monopattini: targa fantasma e burocrazia a tutta velocità

Oltre 8 mila verbali in pochi mesi del 2025, più del doppio dell’anno scorso. Il sindaco Lo Russo invoca i decreti dal Giappone, mentre i ministeri temporeggiano. E i cittadini restano a schivare mezzi abbandonati e promesse incompiute

Torino, città delle multe ai monopattini: targa fantasma e burocrazia a tutta velocità

Il sindaco di Torino

A Torino i monopattini elettrici sono diventati un tema politico più caldo delle buche, del trasporto pubblico o persino dello smog. Quei mezzi che dovevano rappresentare la mobilità sostenibile, veloce e moderna, sono finiti dentro la solita ragnatela all’italiana fatta di decreti annunciati, multe a pioggia e regole scritte ma mai applicate. Il sindaco Stefano Lo Russo, collegato addirittura dal Giappone con una radio cittadina, ha voluto ribadire la sua posizione con parole solenni: «Quando sarà operativo l'obbligo di targa saremo nelle condizioni di identificare chi commette tutti gli illeciti. Auspico che il Ministero faccia i decreti attuativi che mancano quanto prima». Insomma, per fermare chi lascia il monopattino in mezzo a un marciapiede serve un decreto ministeriale, un passaggio al MEF e un iter che durerà mesi, se non anni.

Nel frattempo, però, le multe non aspettano. Torino è diventata la capitale italiana delle sanzioni ai monopattini. Dall’inizio del 2025 sono già stati staccati più di 8 mila verbali, più del doppio di quelli registrati in tutto il 2024 (4.097). Significa una media di trenta multe al giorno: un ritmo da record, che rende i monopattinisti i clienti più assidui del Comune. Non parliamo solo di sanzioni per guida spericolata: oltre 5.200 multe riguardano semplicemente l’abbandono selvaggio del mezzo, lasciato in mezzo al marciapiede o davanti a una fermata del bus. Poi c’è il resto: chi si diverte a viaggiare in tre su un solo monopattino, chi sfreccia sotto i portici come se fossero una pista coperta, chi ignora semafori e stop con l’entusiasmo di un pilota di videogiochi.

monopattino

Le regole, in realtà, ci sarebbero già. Il nuovo Codice della Strada, partorito dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, prevede casco obbligatorio, targa personale e assicurazione per la responsabilità civile. Sulla carta, tutto perfetto: più sicurezza, più responsabilità, meno anarchia. Peccato che resti tutto sospeso, perché mancano i decreti attuativi. Il Ministero ha fissato i criteri della targa, addirittura le dimensioni (5x6 centimetri), ma senza tariffe e modalità di rilascio le motorizzazioni non sanno come muoversi. Tocca aspettare il via libera del Ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti, che sembra avere altre priorità. Così la situazione è ferma: il monopattino dovrebbe avere la targa, ma non si può comprarla. Risultato: regole sulla carta, confusione nella pratica.

Nel frattempo, Torino ha messo mano al suo sistema di sharing. Dal 1° febbraio 2025 gli operatori autorizzati sono stati ridotti a quattro, ciascuno con un massimo di 750 mezzi a disposizione, per un totale di circa 3.000 monopattini in città. Ogni mezzo deve avere un codice identificativo ben visibile, una sorta di mini-targa provvisoria che, almeno in teoria, serve a facilitare le multe e i controlli. Una misura che avrebbe senso se fosse accompagnata da un sistema nazionale chiaro e funzionante. Ma qui torniamo sempre al punto: senza decreti, resta tutto a metà.

E poi ci sono i dettagli della normativa, che sulla carta sembrano pensati al millimetro. Velocità massima di 25 km/h su strada, ridotti a 6 km/h nelle aree pedonali. Obbligo di casco e di assicurazione. Divieto di portare passeggeri, di salire sui marciapiedi, di infilarsi sotto i portici. Regole giustissime, peccato che chiunque passeggi in centro veda quotidianamente monopattini che ignorano questi divieti come se fossero consigli scritti in piccolo. E quando un monopattino viene parcheggiato davanti a un passo carrabile o a una vetrina, l’unico modo per intervenire è aspettare che un vigile arrivi, faccia la foto, compili il verbale. Sempre che nel frattempo l’utente non abbia già sbloccato il mezzo e se ne sia andato.

Il paradosso è evidente: da una parte si annunciano grandi strategie per la sicurezza urbana, dall’altra ci si affida a una mini-targa che ancora non esiste per tenere sotto controllo i monopattinisti. Nel mezzo, i cittadini continuano a scansare i mezzi lasciati a terra e a vivere in una città che somiglia sempre di più a un laboratorio sperimentale di regole provvisorie. Torino è arrivata a vantarsi di aver già superato le multe del 2024 in pochi mesi del 2025, come se fosse un trofeo. Ma a guardare bene, più che un segnale di ordine sembra la dimostrazione di una burocrazia che sa colpire solo l’anello debole: chi si muove su due ruote elettriche, non certo chi intasa la città con SUV parcheggiati in doppia fila.

E così i monopattini, nati come simbolo di mobilità green e alternativa, diventano il capro espiatorio perfetto. Facili da punire, comodi per fare numeri da comunicare alla stampa, ottimi per illudere i cittadini che la città sia più sicura. Mentre in realtà restano inevasi i nodi veri: il trasporto pubblico che arranca, il traffico che non diminuisce, lo smog che resta tra i peggiori d’Italia.

Alla fine, Torino non è invasa dai monopattini, ma dalla burocrazia. Ogni nuovo mezzo che compare in strada diventa l’occasione per moltiplicare carte, decreti, annunci. Per mettere una targa di plastica da cinque centimetri si attende da mesi il nulla osta del governo. E i cittadini, nel frattempo, continuano a inciampare tra monopattini lasciati a terra e promesse di riforma che restano sospese. In questa città, l’unica cosa che sembra correre davvero veloce non sono i monopattini, ma le multe.

Mobilità dolce o dura?

A Torino i monopattini non corrono, inciampano. Non loro: i decreti. Il sindaco Lo Russo dal Giappone invoca la targa, il ministro Salvini la promette, il ministro Giorgetti la valuta. Nel frattempo, ottomila multe in tre mesi: i verbali volano più veloci dei mezzi.

Il monopattino è nato per semplificare la vita urbana, e in Italia è riuscito a complicarla: ci voleva la targa, ci voleva l’assicurazione, ci voleva il casco, ci volevano i decreti, ci voleva il via libera del MEF. Ci voleva, ci voleva, ci voleva. E alla fine non c’è.

Così il paradosso è servito: la burocrazia viaggia a passo di lumaca, le multe a passo di monopattino, e la politica a passo di valzer. A Tokyo si invoca, a Roma si rinvia, a Torino si multa. Alla fine resta solo la nostra specialità nazionale: trasformare la mobilità dolce in immobilità dura.

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