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Ciriani evoca le Brigate Rosse: «Clima d’odio come negli anni di piombo». Opposizioni furiose

Dal palco di Paestum il ministro perde l’aplomb e paragona l’omicidio dell’influencer Charlie Kirk a Sergio Ramelli. Pd e M5S lo attaccano: «Delira, deve vergognarsi». Renzi: «Gli metta la museruola»

Ciriani evoca le Brigate Rosse: «Clima d’odio come negli anni di piombo». Opposizioni furiose

Matteo Renzi

A quindici giorni dal primo turno delle elezioni regionali che chiameranno al voto Marche e Valle d’Aosta, la campagna elettorale accelera e prende toni sempre più incandescenti. Un crescendo di polemiche, accuse e affondi che rischia di trasformare il confronto politico in un terreno minato, dominato da un linguaggio sempre più duro, ai limiti della violenza verbale. Al limite dell’odio, avvertono alcuni osservatori, che temono una deriva capace di spostare il dibattito dal merito delle questioni al rancore personale.

La scintilla che ha innescato l’ultima esplosione è l’omicidio dell’influencer conservatore americano Charlie Kirk. Un episodio su cui la destra italiana non ha esitato a puntare il dito contro gli avversari, accusandoli di ambiguità e di complicità culturale. A questo si sommano le polemiche sulla premier Giorgia Meloni per il viaggio a New York – un dossier sollevato da Italia viva – e l’attacco dei 5 Stelle al ministro degli Esteri Antonio Tajani, definito “un influencer prezzolato di Israele”. Un mix esplosivo che ha fatto saltare i nervi al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, fedelissimo della premier.

Dal palco di Paestum, durante una kermesse di Fratelli d’Italia, Ciriani ha abbandonato i toni abituali per denunciare: «Negli Usa viene ucciso un influencer conservatore e qualche intellettuale in tv dice che in fondo se l’è meritata. Sono gli stessi ragionamenti che si sentivano ai tempi di Sergio Ramelli e delle Brigate rosse. Questo è il clima che si sta creando». Parole pesantissime, che evocano gli anni di piombo e che hanno avuto l’effetto immediato di incendiare il dibattito politico.

Le opposizioni non hanno tardato a reagire. «Ciriani dovrebbe vergognarsi», ha tuonato Riccardo Ricciardi del M5s, ribaltando l’accusa: «L’odio lo semina chi lascia morire bambini innocenti e non fa nulla per fermare lo sterminio in corso». Non meno dura Chiara Braga, capogruppo del Pd alla Camera, che ha risposto all’accusa di “odio democratico” rivolta dal ministro a chi invoca umanità: «Il ministro delira, deve aver preso troppo sole».

Il botta e risposta si è arricchito del consueto veleno di Matteo Renzi. Chiamato in causa da Ciriani, che aveva liquidato Italia viva come “un partitino”, l’ex premier ha colto l’occasione per chiedere le dimissioni del ministro e per rivolgersi direttamente a Meloni: «Gli metta la museruola». Non pago, ha inferto una stilettata personale: «Ciriani è uno dei ministri più insulsi del governo. Non prendiamo lezioni da questi baciapile».

Lo scontro rischia ora di trascinarsi ben oltre l’arena mediatica, proiettandosi sulla corsa dei candidati governatori in sette regioni, da qui a novembre. Non si tratta soltanto di schermaglie verbali: la tensione ha ormai un peso anche istituzionale. A sottolinearlo è stato il capogruppo di FdI alla Camera, Galeazzo Bignami, che ha espresso solidarietà a Ciriani e ha reso noto che il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha chiesto agli apparati del Viminale di aggiornare i livelli di protezione delle personalità politiche e istituzionali. «La delicatezza di questo momento» – ha detto Bignami – è la prova che esiste un «clima di tensione», e che «FdI respingerà ogni tentativo di criminalizzare il confronto politico».

E dire che la giornata politica era iniziata in tutt’altro modo, con il primo sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera sul voto nelle Marche. Una rilevazione che fotografa una partita tutt’altro che chiusa: il governatore uscente Francesco Acquaroli (centrodestra) sarebbe oggi al 50,1%, mentre lo sfidante del centrosinistra Matteo Ricci si attesterebbe al 44,8%. Un margine di poco più di cinque punti che lascia spazio a ribaltoni e a un finale di campagna elettorale ancora tutto da scrivere.

Dietro i numeri, però, emergono le tensioni sotterranee nelle coalizioni. Nel centrodestra si consuma l’ennesimo braccio di ferro tra Lega e Forza Italia. I leghisti spingono per chiudere rapidamente le candidature, mentre gli azzurri frenano e ripetono che «non c’è fretta». Dalla Puglia, ancora priva di un candidato unitario – eccezion fatta per Mauro D’Attis, spinto da FI – arriva la stoccata del coordinatore regionale della Lega, Roberto Marti: «Tajani sbaglia, bisogna indicare immediatamente il candidato presidente. La situazione del centrodestra è al limite dello psicodramma».

siriani

Luca Ciriani

Il confronto interno non è solo sui nomi ma anche sui temi. Se Forza Italia insiste sulla difesa assoluta del ceto medio, la Lega rilancia la battaglia sugli extraprofitti delle banche. Una linea che conferma la strategia di Matteo Salvini, deciso a marcare il terreno anche con mosse a sorpresa: subito dopo Pontida, il leader del Carroccio incontrerà, in veste di capo di partito, gli amministratori delegati delle principali banche italiane. Obiettivo dichiarato: costruire un’operazione di pace fiscale che valga oltre un miliardo di euro, finanziata con il contributo del sistema bancario ma – assicurano i leghisti – «senza soluzioni punitive».

La fotografia che emerge, dunque, è quella di una campagna elettorale già avvelenata, dove ogni incidente di percorso diventa benzina sul fuoco. Le prossime due settimane, con l’avvicinarsi del voto in Marche e Valle d’Aosta, diranno se i toni resteranno confinati alla retorica dei comizi o se il clima di sospetto e aggressività si tradurrà in un conflitto politico permanente, con conseguenze capaci di superare di molto i confini delle urne regionali.

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