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Monte Bianco chiuso, Piemonte strangolato: tre mesi senza respiro per imprese e traffici

Dal 2 settembre al 12 dicembre il traforo del Monte Bianco resterà sbarrato. Un programma che rischia di ripetersi ogni anno fino al 2050. Nadia Conticelli (Pd): “Il Piemonte non può restare a guardare, servono soluzioni subito”.

Monte Bianco chiuso, Piemonte strangolato: tre mesi senza respiro per imprese e traffici

Nadia Conticelli (PD)

Dal 2 settembre al 12 dicembre 2025 il traforo del Monte Bianco abbasserà le saracinesche. Tre mesi di chiusura totale per lavori di manutenzione straordinaria, un sacrificio che – secondo il programma – potrebbe ripetersi ogni anno fino al 2050. Non è un imprevisto, ma una condanna a lungo termine. Un destino già scritto che rischia di trasformare il Piemonte in una regione isolata, periferica, marginale. Un colpo durissimo per un territorio che da sempre rivendica il suo ruolo di porta d’Europa e che ora si trova a dover fare i conti con un’infrastruttura fragile e un sistema politico incapace di trovare soluzioni.

Le cifre parlano chiaro. La chiusura del Monte Bianco comporterà la deviazione di 30-40 mila mezzi pesanti al mesesul traforo del Frejus. Tradotto: la tangenziale di Torino trasformata in un imbuto soffocato da code interminabili di tir, tempi di percorrenza raddoppiati, extracosti per le imprese, un aumento insopportabile delle emissioni inquinanti. A ogni camion costretto a fare il giro più lungo corrispondono migliaia di euro bruciati, giornate di lavoro buttate, consegne saltate. La competitività si frantuma, la logistica implode, l’economia paga. E intanto, mentre i camion intasano le nostre strade, i cittadini respirano ancora più smog.

La consigliera regionale del Partito Democratico, Nadia Conticelli, vicepresidente della Commissione Trasporti, non usa giri di parole: “Il Piemonte non può subire passivamente una situazione che mette a repentaglio lo sviluppo delle filiere industriali e commerciali del territorio. Il sistema delle infrastrutture alpine si dimostra fragile e soggetto a chiusure frequenti per manutenzioni, frane e calamità, senza un’adeguata pianificazione alternativa”. È un grido d’allarme che arriva dal cuore delle istituzioni, ma che fotografa con precisione ciò che da anni denunciano le imprese.

Il nodo centrale è uno: il Monte Bianco è ancora una monocanna. Una galleria concepita decenni fa che oggi non regge più. Né in termini di sicurezza né in termini di continuità dei traffici. Da anni si parla di raddoppio, di un secondo tunnel. Ci sono stati studi di fattibilità, conferenze, promesse. Ma i cantieri non sono mai partiti. L’unica certezza è che ogni tot anni si chiude tutto per lavori di manutenzione. Un cane che si morde la coda, mentre gli altri Paesi si muovono, investono, costruiscono.

E non basta. Perché mentre il Monte Bianco chiude, anche gli altri valichi non se la passano meglio. Il traforo del Gran San Bernardo è bersagliato da cantieri che impongono chiusure notturne continue. A Saint-Jean-de-Maurienne, una frana dell’agosto 2023 ha mandato in tilt la galleria ferroviaria della Torino-Lione. Risultato: l’Autostrada Ferroviaria Alpina, che avrebbe dovuto rappresentare l’alternativa ecologica al traffico su gomma, è ferma da due anni. Annunci di riapertura ne abbiamo avuti tanti. Una data certa, invece, non c’è.

Monte bianco

È un quadro devastante. Il Piemonte è chiuso a nord, bloccato a ovest, costretto a pagare ogni giorno il prezzo dell’isolamento. Non è più questione di emergenze contingenti, ma di sistema. La geografia, che dovrebbe essere un punto di forza, diventa una maledizione. Le Alpi non sono un collegamento, ma un muro. E la politica, che avrebbe dovuto trasformare questo territorio in un corridoio naturale tra Italia ed Europa, si è limitata a parole e rinvii.

Nadia Conticelli lo dice chiaro: “Ho presentato un’interrogazione per sollecitare la Giunta ad istituire un tavolo permanente con associazioni d’impresa, Camere di Commercio ed enti locali. Serve un coordinamento immediato per affrontare l’emergenza infrastrutturale”. Eppure, la sensazione è che anche stavolta si finirà con qualche dichiarazione rassicurante, con il solito convegno fatto di slide colorate e di slogan sulla sostenibilità. Intanto le imprese soffocano e i camion restano in coda.

Il Piemonte, oggi, è la fotografia plastica di ciò che significa mancanza di programmazione. Ogni anno si celebrano con orgoglio le eccellenze industriali, le fiere internazionali, i numeri sull’export. Ma come si fa a competere sui mercati quando i collegamenti sono ridotti a una roulette russa? Le aziende possono produrre qualità, innovazione e tecnologia, ma se poi il camion non passa dal tunnel, tutto si ferma. Ogni ora di ritardo è un danno. Ogni mese di chiusura è una ferita.

E allora la domanda diventa brutale: quanto può reggere il sistema produttivo piemontese in queste condizioni? Quanto può sopravvivere un territorio che si vanta di essere porta d’Europa e che invece si ritrova sbarrato come un vicolo cieco?

La verità è che il Piemonte non può più permettersi di aspettare. Non può più accettare di essere ostaggio di frane, cantieri, rinvii e manutenzioni infinite. Servono scelte politiche forti, decisioni nette, investimenti concreti. Perché il rischio non è solo l’isolamento infrastrutturale: è il declino economico. E questa volta, se continua così, non sarà colpa delle montagne, ma della cecità di chi avrebbe dovuto governare e programmare.

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