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Licenziato perché malato: il calvario di Carmine Martino nell’Asl di Biella

Trasferimenti punitivi, aritmie ignorate e infine il licenziamento disciplinare. La vicenda di un OSS diventa simbolo di un sistema che punisce chi si ammala, mentre a firmare la delibera è il direttore generale Mario Sanò, condannato pochi mesi fa per un concorso truccato

Licenziato perché malato: il calvario di Carmine Martino nell’Asl di Biella

Originaio di Ivrea, con i genitori a Ivrea, classe 1973. Carmine Martino, ex sindacalista, da sempre lavora in corsia, prima come interinale, poi come operatore socio sanitario a tempo indeterminato presso l’Asl di Biella. Un mestiere che per molti significa stabilità, servizio pubblico e sicurezza. Per lui, invece, si è trasformato in una lunga via crucis fatta di reparti sbagliati, richieste ignorate, malattie e ricorsi in tribunale per difendere non solo il posto di lavoro, ma la salute stessa.

Il calvario inizia nel gennaio 2024, quando Martino viene trasferito dalla polispecialistica alla Pediatria. Un reparto che, secondo la direzione, dovrebbe essere “più tranquillo”. Nella realtà dei fatti, racconta lui, i carichi diventano ancora più pesanti. “Spesso ero solo – spiega – dovevo occuparmi di tutto: spostare carichi, correre avanti e indietro, persino le pulizie degli ambulatori. Non c’erano pause vere, se non dieci minuti per turno”.

Martino inizia a chiedere con insistenza un trasferimento. Propone il Centro Trasfusionale, la Medicina Nucleare, qualsiasi reparto più leggero. Ma riceve sempre la stessa risposta: “C’è solo la Pediatria”. Un muro di gomma che lui interpreta come un accanimento deliberato nei suoi confronti. Le prove, dice, stanno anche nei colleghi trasferiti al posto suo, mentre lui rimane dov’è.

Lo stress accumulato si riflette presto sul cuore. Già dal 2022 erano emersi segnali preoccupanti, ma nessuno li aveva mai davvero presi in considerazione. Poi arriva il 24 ottobre 2024: durante un turno pomeridiano, Carmine si sente male. Tachicardia, cardiopalmo, extrasistoli ventricolari. Viene visitato in cardiologia e parte una lunga sequenza di accertamenti: Holter, ecocardiogramma, test da sforzo. I referti parlano chiaro: fino a diecimila extrasistoli al giorno. Un cuore bombardato dallo stress.

Segue una terapia con betabloccanti, ma i farmaci vengono sospesi per gli effetti collaterali. Intanto lui cerca di far valere i propri diritti: coinvolge la Cisl, con il delegato Vittorio Dal Santo, il segretario provinciale Antonio Dellera, chiede incontri con la dirigente del Dipsa Simona Milani. Quattro riunioni ufficiali. Risultato? Nessuno. “Sempre la stessa risposta – racconta –: pediatria e basta. Nessuna apertura, nessuna tutela”.

Lo stesso giorno del malore, il medico competente segnala l’infortunio. L’Inail apre il fascicolo, ma lo chiude poco dopo: per loro non esiste un nesso tra lo stress in corsia e i problemi cardiaci. Tutto viene trasformato in “semplice malattia”. Un colpo durissimo. “Mi hanno negato perfino l’evidenza – dice –. Non hanno neppure valutato la documentazione clinica che avevo consegnato”.

Dal 24 ottobre 2024 al 9 marzo 2025 Martino rimane quindi in malattia, senza che l’Inail riconosca l’infortunio. Il 25 marzo la Medicina del Lavoro lo giudica temporaneamente inidoneo, ma già il 16 aprile arriva un verdetto contraddittorio: idoneo, a patto che venga ricollocato in mansioni a ridotto carico fisico e psicologico. Una formula che dovrebbe garantirgli un posto sicuro, ma che si traduce nell’ennesima forzatura.

Il 29 aprile 2025 la direzione gli comunica di aver individuato un nuovo incarico: Laboratorio Analisi. Un reparto che lui conosce bene e che considera ad alto rischio. “Non è compatibile con la mia salute – replica –. Non posso rischiare la vita in un posto che mi viene imposto come punizione”. Rifiuta, ma l’azienda tira dritto. Il 29 aprile il trasferimento viene formalizzato.

Il medico competente, dottor Galzerano, in una registrazione ammette le pressioni ricevute: “Io sono quasi condannato, temo che non riuscirò a cavarmela. O mi dimetterò o sarà molto difficile difendermi”. Parole che confermano, secondo Martino, l’esistenza di un clima di intimidazione anche verso i medici.

Nel frattempo la direzione apre un procedimento disciplinare nei suoi confronti, ventilando persino il licenziamento. Tutto questo mentre il Comitato Unico di Garanzia – che dovrebbe vigilare proprio su casi di discriminazione e stress lavoro correlato – resta immobile. E persino l’Inail, chiamata a valutare la correlazione tra lavoro e malattia, si limita a respingere le richieste senza mai convocarlo realmente a visita.

Martino non ci sta. Denuncia “accanimento” e presenta ricorso ex art. 700 al Tribunale di Biella. Nelle 30 pagine depositate dal suo avvocato Andrea Sella emerge un quadro durissimo: trasferimenti ritenuti punitivi, giudizi medici contraddittori, richieste ignorate, colleghi spostati al posto suo, reparti ad alto carico assegnati nonostante limitazioni certificate. Viene evocato perfino il mobbing, lo straining, il bossing: tutte forme di pressione lavorativa tese a logorare il dipendente.

Il ricorso chiede di sospendere immediatamente il trasferimento al Laboratorio Analisi, riconoscere un reparto compatibile con le sue condizioni di salute, e risarcire i danni subiti: patrimoniali, biologici, morali e d’immagine. Perché – scrivono i legali – la sua patologia cardiaca è direttamente collegata al contesto stressogeno in cui è stato costretto a lavorare.

Ma la battaglia non si ferma ai ricorsi. Nel luglio 2025 l’Asl chiude il cerchio: con la Deliberazione n. 260 del 16 luglio 2025, il direttore generale Mario Sanò applica la sanzione disciplinare più grave, il licenziamento con preavviso. Nonostante la formula, la risoluzione è immediata: Martino riceve solo l’indennità sostitutiva dei due mesi di preavviso.

Il cedolino di agosto 2025 lo conferma in maniera fredda: “situazione cessato”, con data di fine rapporto fissata al 15 luglio 2025. Dopo 20 anni di corsia, il suo nome viene cancellato dagli organici dell’ospedale.

Eppure Martino continua a non arrendersi. Tramite il suo legale, invia all’Asl una nuova comunicazione: ricorda che era titolare di un congedo straordinario retribuito per assistere il padre disabile, con validità fino a marzo 2026, e che tale congedo sospende il periodo di preavviso. Contestando così la legittimità stessa del licenziamento.

Oggi Carmine Martino è senza lavoro, con una diagnosi cardiaca che lo accompagna, e con un padre invalido da accudire. La sua vicenda non è solo personale. È il simbolo di un sistema in cui chi cura rischia di ammalarsi e chi denuncia viene isolato fino a perdere il posto. “Io non è che rifiutavo di lavorare – insiste – non potevo. E chiedevo solo di proteggere la mia salute”.

Adesso la parola passa ai tribunali. Ma resta una verità amara: in un ospedale pubblico, là dove si dovrebbe combattere la malattia, c’è chi la subisce proprio a causa del lavoro. Il dubbio che a Carmine Martino oggi si facciano pagare tutte le battaglie che a suo tempo aveva condotto  come sindacalista, è forte.

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Il licenziamento di Carmine Martino e l’ombra su Sanò: quando l’Asl di Biella perde di vista la parola “umana”

C’è un paradosso che pesa come un macigno sulla sanità biellese: mentre un dipendente, Carmine Martino, operatore socio sanitario con vent’anni di servizio alle spalle, viene licenziato in tronco dopo mesi di malattia, stress e battaglie giudiziarie, a guidare l’azienda sanitaria resta il direttore generale Mario Sanò, fresco di una condanna per aver truccato un concorso pubblico.

La storia di Martino la conosciamo: trasferito in Pediatria contro la sua volontà, schiacciato da carichi insostenibili, ammalato di cuore per lo stress accumulato, finito in ospedale con diecimila extrasistoli al giorno. Le sue richieste di ricollocazione, supportate da sindacati e certificati medici, sono state ignorate. Il risultato? Un licenziamento disciplinare formalizzato il 16 luglio 2025, con deliberazione n. 260 firmata proprio da Sanò.

Un atto che ha trasformato la sofferenza di un uomo in un “caso amministrativo” liquidato con un’indennità di preavviso.

Ed ecco l’amara ironia: a decidere la sorte di Martino è un direttore generale che pochi mesi fa, nel marzo 2025, è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione dal Tribunale di Asti per avere favorito un’amica in un concorso pubblico quando era dirigente all’ASL Cuneo 2. Una sentenza che parla di rivelazione di domande in anteprima, favoritismi e concorsi pilotati. Una vicenda che avrebbe dovuto scuotere dalle fondamenta la credibilità della dirigenza sanitaria piemontese, e invece sembra non avere scalfito l’autorità di Sanò, ancora saldo al suo posto.

Allora la domanda diventa inevitabile: con quale autorevolezza un dirigente condannato per aver inquinato un concorso può firmare il licenziamento di un lavoratore che chiedeva solo tutela della propria salute? Quale legittimità morale ha un sistema che punisce il più debole, il malato, il dipendente stremato, mentre chi è stato riconosciuto colpevole da un tribunale continua a gestire il potere e a decidere destini professionali?

Forse è arrivato il momento di dirlo chiaramente: il problema non è solo il licenziamento di Carmine Martino. Il problema è un sistema che, con certe scelte, perde ogni credibilità.

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