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29 Agosto 2025 - 10:52
Stefano Lo Russo
C’è una Torino raccontata nelle conferenze stampa, nei dossier patinati e nelle interviste televisive. È la Torino di Stefano Lo Russo, quella che secondo lui “riparte” grazie al Patto per Torino, ai fondi del PNRR, alle grandi strategie di rigenerazione urbana e ai proclami sulla neutralità climatica entro il 2030. Poi c’è l’altra Torino, quella che ogni giorno vive il cittadino: strade sporche, marciapiedi dissestati, burocrazia che rallenta la vita quotidiana, servizi essenziali in affanno. Due città parallele che difficilmente si incontrano, e che spiegano bene perché il consenso del sindaco sia crollato in modo verticale in appena tre anni. Perché se nel 2021 Lo Russo conquista Palazzo Civico, al secondo turno, con il 59% dei voti, presentandosi come il volto rassicurante del centrosinistra dopo i turbolenti anni grillini, oggi i numeri raccontano tutt’altro film: gradimento in caduta libera, Torino precipitata dal 19° al 54° posto nelle classifiche della qualità della vita, e un’opinione pubblica sempre più convinta che il sindaco parli bene ma governi male.
Lo Russo rivendica come fiore all’occhiello il Patto per Torino, che ha consentito di ridurre il peso dei debiti comunali, liberando risorse importanti. E sottolinea con orgoglio la capacità di rispettare le scadenze del PNRR, portando a casa oltre 900 milioni di euro per infrastrutture, sociale, cultura ed efficienza energetica. Nei convegni, Lo Russo mostra Torino come città modello, addirittura inserita nel network delle “Mission Cities” per la neutralità climatica. Sulla carta, un capolavoro. Ma per chi vive a Torino la sensazione è diversa: i cantieri si aprono ovunque, spesso senza coordinamento, il traffico impazzisce e i lavori sembrano interminabili. La promessa di una città “verde, digitale e sostenibile” resta confinata ai rendering e ai PowerPoint. A molti torinesi sembra la solita storia: grandi annunci, poca concretezza.
La cartina di tornasole è stata la famosa nevicata di pochi centimetri. Un evento banale in qualsiasi altra città europea, ma sufficiente a mandare Torino in tilt: strade impraticabili, traffico bloccato, cittadini infuriati. Cosa fa il sindaco? Invece di assumersi la responsabilità, punta il dito contro il Piano Neve ereditato. Lo Russo si presenta come il “professore” che spiega perché non era colpa sua, ma intanto la città è paralizzata. Una scena che rimane impressa perché restituisce l’immagine di un’amministrazione che spiega ma non risolve, che giustifica ma non agisce.
Sul fronte dei servizi, Lo Russo prova a sbandierare risultati: sportelli anagrafe aperti anche il sabato, arretrati smaltiti, sedi riaperte in periferia. Tutto vero, tutto documentabile. Ma chi fa la coda per una carta d’identità o per un certificato spesso racconta un’altra storia: attese ancora lunghe, uffici sotto organico, disservizi che si ripresentano ciclicamente. È la solita distanza tra i numeri delle slide e la realtà quotidiana. Anche sulla pulizia urbana, la giunta annuncia l’assunzione di 90 nuovi operatori Amiat. Ma i torinesi continuano a segnalare sporcizia, cestini traboccanti e quartieri periferici dimenticati. Non basta dire di aver assunto qualcuno, bisogna dimostrare che la città è davvero più pulita.
Il crollo della città nella classifica di Italia Oggi — dal 19° al 54° posto in un anno — è la fotografia plastica di un malessere diffuso. Torino non è percepita come una città vivibile, e non lo dicono solo gli indicatori: lo dicono i torinesi stessi, che vedono peggiorare la qualità della vita. Il sindaco può replicare che i dati vanno letti nel contesto nazionale, che ci sono le crisi globali, che la pandemia ha lasciato cicatrici. Ma il punto è un altro: mentre Lo Russo racconta la Torino che sarà “tra dieci anni”, quella di oggi cade a pezzi.
I sondaggi parlano chiaro: Lo Russo è sceso al 72° posto tra i sindaci più apprezzati d’Italia. Nel 2023 era al 47°, nel 2024 al 57°, oggi continua a precipitare. Non è solo una questione di numeri: è un segnale politico pesante. Significa che i torinesi non si fidano, che percepiscono una distanza tra chi governa e chi vive i problemi quotidiani. E un sindaco che perde così tanto consenso in così poco tempo rischia di arrivare al 2026 logorato e privo di credibilità.
Il paradosso della giunta Lo Russo è tutto qui: progetti giganteschi, ma incapaci di tradursi in miglioramenti visibili. Il sindaco annuncia 12 milioni per l’emergenza senza dimora, ma i portici e le stazioni restano pieni di persone che dormono all’aperto. Parla di digitalizzazione e innovazione, ma i cittadini fanno ancora la fila per un certificato. Promette rigenerazione urbana, ma i quartieri di periferia restano ai margini. È come se Torino vivesse sospesa tra due dimensioni: quella scintillante delle conferenze internazionali e quella grigia del quotidiano. La prima serve a Lo Russo per raccontarsi come il sindaco del futuro. La seconda, purtroppo, è quella che i torinesi vedono ogni giorno sotto casa.
Tra meno di un anno inizierà davvero la campagna elettorale per le comunali. Il centrosinistra si interroga se puntare ancora su Lo Russo o immaginare un’alternativa.
Il centrodestra intanto scalda i motori con i nomi di Tronzano, Marrone e Dispenza. Ma una cosa è già chiara: il giudizio sull’amministrazione Lo Russo non sarà scritto dai dossier del PNRR né dai convegni sul clima. Sarà scritto dai torinesi nelle urne, guardando alle buche sotto casa, al traffico del mattino, al degrado dei quartieri.
E se il sindaco continuerà a raccontare la Torino di domani dimenticando quella di oggi, rischia di trasformarsi in un altro caso da manuale: il professore che spiega molto e governa poco. Il sindaco delle slide che, al momento del voto, scopre che la città non lo segue più.
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