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26 Agosto 2025 - 16:54
Le sorelle Costa intervistate dal Tg3 del Piemonte
Le telecamere del Tg3 del Piemonte sono salite in Canavese per raccontare una storia che ha il sapore dell’impresa e della resistenza.
A 1400 metri di quota, nel cuore del Parco del Gran Paradiso, c’è un borgo fantasma che dagli anni ’60 era rimasto abbandonato: Nivolastro. Case vuote, silenzio, la natura a riprendersi quello che l’uomo aveva lasciato. Ma da quattro anni, grazie al coraggio e alla tenacia delle sorelle Costa, quel borgo ha ripreso a vivere.
A guidare questa rinascita è stata Federica, che a soli 19 anni ha deciso di aprire qui un rifugio, ridando anima e calore a un luogo che sembrava destinato a sparire dalle mappe della memoria.
Il rifugio funziona solo d’estate: «Per ora riusciamo a fare solo la stagione estiva perché studiamo ancora», racconta Matilde, che affianca la sorella nella gestione. Non è impresa da poco: a Nivolastro le auto non arrivano e per raggiungerlo bisogna incamminarsi lungo i sentieri che partono da Ronco Canavese e Valprato Soana. Qui non c’è nemmeno la luce: «Abbiamo solo i pannelli solari e quando il tempo è brutto dobbiamo contare sul generatore di riserva. Anche l’acqua è una cosa molto importante: finché c’è riusciamo ad aprire», spiega Federica. Un equilibrio fragile, che però non ha fermato l’entusiasmo delle ragazze.
C’è anche una terza sorella, Debora, alpina della Brigata Taurinense. Quando non è in missione, aiuta tra i tavoli e ai fornelli. «Quest’anno è partita per il Libano e ci ha lasciato un po’ sole proprio ad agosto, il mese più pesante», sorride Matilde. Ma è proprio questa unione familiare a rendere possibile un progetto che altrimenti sembrerebbe folle: riportare vita laddove la modernità ha spento ogni presenza.
Il sogno è chiaro: «Ci piacerebbe poter aprire anche quando il tempo non è bello e offrire da dormire. Ho provato a chiedere a qualche proprietario per sistemare le case e fare delle camere, un salone per mangiare al coperto. Ma purtroppo, in questi quattro anni, non ho ancora avuto risposte positive», confida Federica. Intanto, il rifugio è diventato un punto di riferimento per escursionisti e appassionati di montagna: qui si servono polenta, cacciagione e altri piatti della tradizione alpina, ma anche prodotti che le sorelle hanno iniziato a produrre da sole, come il genepy e le gemme di pino.
Una storia che il Tg regionale ha definito sensazionale, perché parla di futuro in un luogo che sembrava consegnato al passato. Le sorelle Costa non hanno scelto la via più facile, ma quella più autentica: far rivivere Nivolastro con il passo lento dei camminatori, l’odore della legna nei rifugi, la forza ostinata della montagna.

A Sparone, in Canavese, c'è un'intera frazione in vendita su ebay
Sono circa seimila i borghi fantasma disseminati in Italia, secondo le stime più recenti. Paesi che un tempo brulicavano di vita, oggi ridotti a pietre mute, finestre vuote, strade invase dall’erba. La gran parte si trova in montagna, dove l’abbandono è diventato una condanna silenziosa. È la fotografia di un’Italia interna che si svuota, lasciando dietro di sé storie, tradizioni, dialetti e comunità che non torneranno più.
Il fenomeno non è nuovo: a partire dagli anni ’50 e ’60, migliaia di famiglie lasciarono le valli alpine e appenniniche per scendere verso la pianura o emigrare all’estero. La montagna era fatica, lavoro duro, incertezza. La fabbrica offriva invece lo stipendio fisso, la città prometteva servizi e futuro. Così molti borghi sono rimasti improvvisamente senza bambini, senza scuole, senza botteghe. In poche stagioni la vita si è spenta.
Oggi i segni di quell’esodo sono ancora evidenti. In Piemonte, Valle d’Aosta, Abruzzo, Calabria e Sicilia si contano decine di villaggi abbandonati, molti raggiungibili solo a piedi. I tetti crollati, i campi terrazzati invasi dalla boscaglia, i campanili senza più rintocchi sono diventati simboli di un impoverimento che non è solo economico, ma anche culturale e sociale. Ogni borgo fantasma rappresenta un pezzo di memoria collettiva perduta.
La montagna si impoverisce perché mancano i servizi essenziali. Le strade vengono lasciate al degrado, i collegamenti con i mezzi pubblici diventano sempre più radi, i medici di base scarseggiano, le scuole chiudono per mancanza di iscritti. Vivere in alta quota diventa una scelta eroica, e spesso insostenibile. Chi rimane lo fa per ostinazione o per amore delle radici. Chi prova a tornare deve inventarsi nuove forme di economia, spesso legate al turismo lento o all’agricoltura di nicchia.
Negli ultimi anni non sono mancate iniziative per provare a invertire la rotta. Alcuni borghi sono stati trasformati in alberghi diffusi, altri sono stati recuperati grazie a progetti culturali e artistici. In certe valli i giovani hanno scommesso sull’agricoltura biologica o sulla trasformazione di prodotti tipici. Ma si tratta di eccezioni che non riescono a fermare la tendenza generale.
L’impoverimento della montagna è un problema nazionale: riguarda il dissesto idrogeologico, perché i territori abbandonati sono più fragili e più esposti a frane e alluvioni. Riguarda la perdita di biodiversità agricola, perché campi e pascoli non coltivati vengono inghiottiti dai boschi. Riguarda infine la nostra identità, perché un borgo che muore significa tradizioni che si cancellano.
C’è chi parla di “strategia nazionale per le aree interne”, ma spesso si tratta di piani calati dall’alto, che faticano a incidere davvero. La verità è che senza investimenti concreti in servizi, infrastrutture e connessioni digitali, i giovani continueranno a fuggire. E i borghi fantasma continueranno a moltiplicarsi.
Forse la risposta sta nelle storie come quella di Nivolastro, in Canavese, dove tre sorelle hanno riaperto un rifugio restituendo vita a un borgo abbandonato dagli anni ’60. Non basterà un rifugio a salvare la montagna, ma dimostra che non tutto è perduto. L’Italia dei borghi fantasma attende ancora una nuova stagione: fatta di coraggio, ma anche di politiche vere.
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