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19 Agosto 2025 - 15:26
Il mignolo di Colombo porta fortuna: il rito discreto di Piazza Castello
Torino è una città che non si lascia mai scoprire tutta insieme: si rivela a piccoli tocchi, come un sipario che s’alza lentamente scena dopo scena. C’è un luogo da cui partire per entrare nel suo mistero, un dettaglio che sembra quasi un gioco, ma che in realtà custodisce l’anima della città: il dito di Colombo. Lo trovi in Piazza Castello, sotto i portici della Prefettura. È un altorilievo di bronzo, firmato da Dino Somà nel 1923, che raffigura Cristoforo Colombo con il compasso in mano, intento a misurare il mondo. Eppure, quel bronzo che doveva celebrare gli italiani emigrati e poi tornati dalla guerra, oggi è diventato altro: un talismano cittadino. Il suo mignolo, consumato e lucido come una gemma, è stato toccato da generazioni di studenti in cerca di fortuna, da viaggiatori che sperano in un sogno realizzato, da passanti che si affidano a un gesto antico e semplice. È lì, a portata di mano, un portafortuna che sembra sorridere a chi si avvicina. In quel dito levigato c’è già tutta Torino: la città colta e simbolica, ma anche ironica, popolare e superstiziosa, capace di trasformare la celebrazione ufficiale in rito quotidiano.
E mentre si esce da quel portico e lo sguardo si apre sulla vastità di Piazza Castello, la città comincia a raccontarsi. Da un lato, Palazzo Reale, residenza dei Savoia e scrigno di affreschi, specchi e saloni che custodiscono la potenza di un regno. Di fronte, Palazzo Madama sembra una macchina del tempo: mura romane, torri medievali, una facciata barocca che pare un sipario teatrale. Poco distante, la Biblioteca Reale custodisce l’Autoritratto di Leonardo, come un segreto gelosamente nascosto nel cuore della città. Qui ogni pietra racconta una storia, ogni prospettiva svela un frammento di bellezza. Torino si lascia ammirare con lentezza, come un romanzo che non si legge tutto d’un fiato, ma che si assapora pagina dopo pagina.
E allora si cammina, perché Torino è una città da percorrere a piedi, sotto i portici che la proteggono come braccia aperte. Lungo via Po il passo diventa leggero, accompagnato da librerie, enoteche e profumi che sanno di vermouth e cioccolato. Si arriva al fiume, e davanti si apre la Gran Madre di Dio, con la sua scalinata che sembra sospendere il tempo. Dal ponte, lo sguardo si allunga verso la collina e verso il Monte dei Cappuccini, da cui la città appare intera: ordinata, geometrica, maestosa, incorniciata dalle Alpi come in un dipinto.
Torino però non è solo eleganza e storia, è anche magia. Una magia sottile, che i torinesi conoscono bene e che si trasmette nei gesti quotidiani. Dopo il dito di Colombo, il visitatore deve cercare il toro di bronzo incastonato nei portici di Piazza San Carlo: calpestarlo porta fortuna, allontana la malasorte. È un rito che si ripete ogni giorno, tra un caffè e una passeggiata. E ancora, in Piazza Statuto, si avverte un’energia diversa, misteriosa, che alimenta leggende di esoterismo e di magia nera. Torino vive sospesa tra il rigore dei suoi viali e il fascino oscuro delle sue storie, tra scienza e mistero, tra astronomia e superstizione.
Il viaggio prosegue tra i caffè storici, dove il tempo sembra essersi fermato: i lampadari, i velluti, i camerieri in giacca bianca raccontano la vita che fu, quando scrittori e politici discutevano davanti a una tazza di cioccolata calda. Poi c’è il mercato di Porta Palazzo, un caleidoscopio di lingue, colori e profumi che mescola l’anima popolare alla grandezza dei suoi palazzi reali. E naturalmente la Mole Antonelliana, la regina indiscussa della città, che con la sua guglia altissima sembra toccare il cielo, oggi custode del Museo Nazionale del Cinema, luogo dove realtà e sogno si incontrano.
Torino è una città che si guarda, ma anche che si tocca. È un luogo che chiede al visitatore di diventare parte della sua storia con piccoli gesti: sfiorare un dito, calpestare un toro, camminare sotto i portici come hanno fatto generazioni di torinesi. È un viaggio fatto di simboli, di segreti sussurrati e di leggende che si intrecciano con la realtà. Ogni passo, ogni tocco, ogni sguardo regala un frammento nuovo, un ricordo che resta inciso come un’impronta. Perché Torino non è solo una città da visitare: è una città da vivere con la mente, con il cuore e persino con le mani.
Torino non è solo città da vedere, è anche città da gustare. Chi intraprende il viaggio tra i suoi portici, dopo aver sfiorato il dito lucido di Colombo o calpestato il toro di bronzo in Piazza San Carlo, scopre che ogni tappa turistica ha un suo corredo di sapori e profumi. Basta entrare in un caffè storico per sentirsi parte di un’altra epoca: il Caffè Mulassano, dove nacque il tramezzino, o il Caffè Torino, che da più di un secolo serve vermouth e gianduiotti sotto specchi e lampadari liberty. Torino si racconta anche attraverso la cioccolata calda, densa e vellutata, accompagnata dalla panna, un rituale che riscalda le mattine d’inverno e diventa esperienza quasi mistica quando servita nelle tazze di porcellana decorate.
Nei mercati, invece, la città si fa popolare e vivace. Porta Palazzo è un teatro a cielo aperto: banchi di frutta colorata, spezie che profumano d’oriente, formaggi che parlano delle valli alpine e delle campagne piemontesi. Qui la Torino elegante dei palazzi sabaudi incontra la Torino cosmopolita, fatta di volti, accenti e sapori che arrivano da tutto il mondo. È il luogo perfetto per capire come questa città abbia imparato a mescolare il rigore della sua architettura con la vitalità delle sue genti.
E poi ci sono le osterie e i ristoranti che riportano la cucina piemontese al centro della scena. Un piatto di agnolotti al plin, il bollito misto servito con le salse, la bagna cauda che in inverno unisce attorno al tavolo come un rito conviviale. O un bicchiere di Barolo o di Barbera, vini che raccontano colline e tradizioni. Torino turistica non è completa senza Torino gastronomica, perché qui la cultura passa anche dalla tavola, con la stessa solennità con cui si attraversano i saloni di Palazzo Reale o si sale sulla Mole Antonelliana.
E allora il viaggio si chiude così: dopo aver toccato il dito di Colombo per chiedere fortuna, dopo aver camminato tra piazze, portici e simboli esoterici, ci si siede a un tavolo, si solleva un calice e si brinda alla città. Perché Torino, più che visitarla, bisogna viverla, e per viverla davvero serve lasciarsi guidare non solo dagli occhi e dalle mani, ma anche dal palato.
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