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18 Agosto 2025 - 22:53
Foto profilo Instragram Alcaraz
Chi se lo sarebbe aspettato? Una finale attesissima che dura appena ventitré minuti, un numero uno del mondo irriconoscibile, un avversario che vince senza esultare. A Cincinnati, nel Masters 1000 che avrebbe dovuto celebrare il quattordicesimo atto della rivalità tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, è andata in scena una serata anomala e amara: l’azzurro, sotto 0-5 e visibilmente in difficoltà, si è ritirato al cambio di campo, consegnando al murciano la nona vittoria nei confronti diretti. Una finale che non è mai stata finale, un epilogo che lascia l’amaro in bocca non solo ai tifosi italiani ma a chiunque sperasse nell’ennesimo duello spettacolare tra i due giovani dominatori del tennis mondiale.
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Sinner, 24 anni, di Sesto Pusteria, vince il sorteggio e sceglie di servire. È già un primo segnale che qualcosa non va: cede il game iniziale a zero, senza opporre resistenza. Seguono altri due break subiti in rapida successione e una mobilità compromessa che tradisce, più di ogni gesto o smorfia, una condizione precaria. Il pubblico osserva incredulo: non è il Sinner che conosce, non è il campione che solo un mese fa ha riscritto la storia a Wimbledon. In ventitré minuti si arriva al 5-0 per Alcaraz. L’azzurro si alza dalla panchina, prova a dialogare con il proprio corpo, forse a cercare un ultimo lampo di energia, poi la decisione inevitabile: ritiro. Finale finita prima ancora di cominciare davvero, con il boato dello stadio trasformato in un brusio di delusione.
Le parole di Sinner dopo il match sono state sincere, quasi disarmanti nella loro franchezza: “Mi dispiace molto per avervi deluso, ma da ieri non mi sentivo bene. Speravo di migliorare durante la notte e invece sono peggiorato. Ho provato a farcela e non ci sono riuscito”. Nessun alibi, solo la consapevolezza di un limite fisico che non poteva ignorare. Congratula Alcaraz, “stai disputando una bellissima stagione”, ringrazia il suo team “per spingermi ogni giorno e per comprendermi”, ma non nasconde il dettaglio che pesa: “È stato uno dei tornei più bollenti che abbia mai giocato”. Caldo e malessere, un mix micidiale che ha presentato il conto nel giorno più atteso.
Dall’altra parte della rete, il fair play di Alcaraz ha trasformato una vittoria amara in una lezione di sportività. Mai visto “Carlitos” così dispiaciuto per un successo: “Comprendo come ti possa sentire. Sei un grandissimo campione e ritornerai ancora più forte, come hai sempre fatto. È così che fanno i grandi campioni e tu lo sei”. Non sono parole di circostanza, ma il segno tangibile del rispetto tra due coetanei che stanno ridisegnando la geografia del tennis. Il dato statistico recita ora 9-5 per Alcaraz dopo 14 sfide, ma il numero che resterà di questa finale è un altro: zero. Zero chance di vedere la partita che il mondo aspettava.
Il pensiero corre subito al futuro, perché la stagione non aspetta. Sinner, che a Cincinnati era il detentore del titolo e non ha potuto difenderlo, si ferma. Domani avrebbe dovuto giocare agli US Open anche in doppio misto con la ceca Katerina Siniakova, ma la priorità diventa recuperare le energie per presentarsi a New York con la forza necessaria a difendere il trofeo conquistato lo scorso anno. La scelta di fermarsi sul 5-0, dolorosa ma lucida, è stata un atto di responsabilità: continuare, in quelle condizioni, avrebbe significato accumulare fatica inutile e forse compromettere davvero il prosieguo della stagione.
I segnali erano chiari fin dal primo game: servizio timido, scambi corti, spostamenti lenti. Il caldo estremo, con i 32 gradi e l’umidità soffocante, ha fatto il resto. Non è un alibi, è un fattore tecnico e gestionale che nel cuore dell’estate nordamericana diventa decisivo. Saper amministrare le risorse è oggi parte integrante del tennis ad alto livello, e Sinner lo ha dimostrato fermandosi al momento giusto.
Quella con Alcaraz è una rivalità sospesa, non interrotta. Ci sarà tempo e modo per il quindicesimo capitolo di questa saga sportiva. Intanto resta la fotografia di una serata diversa da tutte le altre: un campione che conosce i propri limiti e li rispetta, e un avversario che sa vincere senza calcare la mano. Anche questo è tennis d’élite: saper dire basta quando serve, per tornare più forte quando conta.
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