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06 Agosto 2025 - 17:14
L'avvocato di Torino che digiuna per i detenuti morti in carcere
Digiuna per chi in carcere non ha più voce. «Oggi digiuno per 50 persone dimenticate e perché non voglio rassegnarmi a vedere ancora diritti violati e dignità calpestate nelle nostre carceri». È questo il messaggio – breve, forte, incisivo – con cui Roberto Capra, avvocato penalista torinese e presidente della Camera Penale del Piemonte Occidentale “Vittorio Chiusano”, ha annunciato la sua adesione pubblica alla campagna nazionale di digiuno a staffetta.
Un gesto simbolico. Un atto di denuncia. Un modo per scuotere le coscienze di un Paese che continua a ignorare quello che succede dentro i muri delle sue prigioni. Le “50 persone dimenticate” non sono numeri: sono i detenuti che, dall’inizio dell’anno, si sono tolti la vita negli istituti penitenziari italiani. Una cifra che fa paura. Una cifra che parla di abbandono, solitudine, disperazione.
A lanciare l’iniziativa – che ha raccolto l’adesione di molti avvocati e magistrati – sono stati Valentina Alberta, avvocata, e Stefano Celli, magistrato. La formula è semplice: un giorno di rinuncia al cibo solido per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e del Parlamento. E proprio il Parlamento è il destinatario diretto della protesta: tra gli obiettivi c’è infatti quello di sollecitare l’esame della proposta di legge Giachetti sulla liberazione anticipata, un provvedimento che punta a ridurre la pressione detentiva e ad arginare il sovraffollamento.
L'avvocato Roberto Capra, a destra
In poche righe, Capra condensa un’urgenza civile che troppi preferiscono ignorare. Le carceri italiane continuano a essere luoghi di pena e non di rieducazione. Luoghi dove i diritti vengono sistematicamente calpestati. Luoghi dove chi sbaglia paga, ma spesso paga due volte: con la condanna e con condizioni di vita che scivolano oltre i confini della dignità.
E allora ecco che il digiuno – piccolo, personale, silenzioso – diventa un gesto potente. Per ricordare i morti. Per dire che no, non è normale morire in cella. Per dire che no, non è accettabile far finta di nulla.
La battaglia di Capra e dei suoi colleghi è anche la battaglia per uno Stato che non rinunci alla propria umanità. Uno Stato che, anche nel momento della punizione, sappia rispettare la persona.
Perché, come diceva Pannella, “nessuno si salverà da solo, nessuno sarà libero se non lo saranno anche i detenuti”.
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