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01 Agosto 2025 - 00:35
In foto Maddalena Perri. Sullo sfondo l'abitazione di via dell'Ospedale
Chiede poco dalla vita. La tranquillità, la salute, un lavoro dignitoso e un tetto sopra la testa che non faccia acqua da tutte le parti. È proprio quest’ultimo – il diritto fondamentale a una casa sicura – che lo Stato, nelle sue mille vesti e sigle (Comune, ATC, ufficio igiene, uffici tecnici), continua a calpestare con una puntualità quasi comica, se non fosse tragica. Un’orchestra stonata in cui nessuno sa cosa suonano gli altri.
Maddalena Perri, operatrice socio sanitaria all’ospedale di Ivrea, ha 62 anni e vive – o meglio, sopravvive – in un alloggio popolare al primo piano del civico 9 di vicolo dell’Ospedale, in pieno centro storico. A due passi da via Arduino, in un palazzo che sulla carta dovrebbe garantire decoro. Ma la realtà è ben diversa. L’alloggio è di proprietà del Comune, ma gestito dall’ATC. Il risultato? Il solito: rimpalli, silenzi, lavori promessi e mai fatti.
L’avevamo conosciuta nel 2022, quando denunciava le infiltrazioni d’acqua, la muffa sui muri, l’aria irrespirabile.
“L’acqua mi scende giù dai muri, entra dai pavimenti, passa dal terrazzo che non è coibentato. Un disastro”, raccontava allora. E già allora era tutto un rimpallo: “Il Comune dice di chiamare l’ATC, l’ATC mi rimanda al Comune. È come parlare con una porta chiusa”.
Decine, forse centinaia di telefonate rimaste nel vuoto. Un copione tristemente noto. La burocrazia che costruisce muri più alti di quelli dell’alloggio.
Oggi, due anni dopo, nulla è cambiato. Anzi, è persino peggiorato.
Le foto lo mostrano senza bisogno di parole: muffa nera come catrame che divora i muri, intonaco gonfio e spaccato, acqua che filtra dalle tubature e forma chiazze marroni e bianche. Umidità che si insinua ovunque. E in mezzo a tutto questo, una donna costretta a vivere con una bacinella per raccogliere l’acqua piovana, come se fosse in una baracca di fortuna.
“S'aggiungono le prese elettriche - ci racconta - non sono a norma e fanno scintille. Devo usare una prolunga da una stanza all’altra per attaccare gli elettrodomestici”. Una scena da incubo, un rischio costante. Una di quelle situazioni che nei documentari si definirebbero “disagio abitativo estremo”.
Ed è vero che i cavi che passano sotto porte, mobili e letti basterebbero da soli a rendere l’alloggio inabitabile.
E invece, tutto tace. Tutto resta com’è. Come se fosse normale che una cittadina debba rischiare un corto circuito ogni volta che accende la lavatrice o carica il telefono.
Un paio di volte, racconta, sono venuti a fare dei lavori.
“Alla cavolo di cane”, dice senza giri di parole. “Non hanno risolto nulla. Continuo a pulire muffe e raccogliere la farina bianca del muro che cade per terra. Ho scritto all’ufficio igiene due mesi fa e da allora ho continuato a tempestarli...”.
Due sopralluoghi li ha fatti anche il sindaco Matteo Chiantore. Una volta si è presentato persino con un geometra.
“Mi ha detto che i problemi sono seri, che me la mettono a posto. Avevano fissato un appuntamento per domani alle 15, ma se non chiamavo io, non mi dicevano nemmeno che era saltato”. Promesse. Silenzi. Rinvii. Il nulla mascherato da buona volontà.
E nel frattempo, l’umidità continua a salire. Le muffe si riformano ogni settimana, anche quando Maddalena le gratta via con pazienza. I muri si sgretolano, e il pavimento inizia a sollevarsi in alcuni punti. L’acqua filtra dalla cucina, dal bagno, da ovunque. Nessuno ha mai pensato di rifare l’impermeabilizzazione del terrazzo. Nessuno ha mai messo in sicurezza gli impianti. Nessuno ha mai risposto alle segnalazioni, se non con qualche visita improvvisata finita nel nulla.
Così Maddalena resta lì, nella sua casa che cade a pezzi. E ci resta non perché non vorrebbe andarsene, ma perché con uno stipendio da OSS ogni altra sistemazione sarebbe fuori dalla sua portata.
La sintesi è drammatica: una casa pericolosa, una donna ignorata e un Comune che si gira dall’altra parte.
LA VOCE DEL CANAVESE
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