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30 Luglio 2025 - 23:20
Il consigliere Sergio Bartoli saluta il Console
Una serata all’insegna dell’amicizia, del dialogo tra culture e del futuro condiviso. Nella raffinata cornice di Viridian a Quassolo, il Console Generale del Regno del Marocco a Torino, Sidi Mohammed Biedallah, ha accolto decine di amministratori, sindaci e rappresentanti delle istituzioni piemontesi in occasione del 26º anniversario dell’ascesa al Trono di Sua Maestà il Re Mohammed VI.
Una cerimonia formale ma calorosa, in cui il protocollo ha lasciato spazio anche a momenti di confronto autentico.
Tra i presenti anche il consigliere regionale Sergio Bartoli, il sindaco di Ivrea Matteo Chiantore e il sindaco di Borgofranco Fausto Francisca. Tutti hanno sottolineato con forza l’importanza delle relazioni tra Piemonte e Marocco non solo sul piano istituzionale, ma anche economico, sociale e umano.
“Serate come queste ci ricordano quanto sia vitale il contributo della comunità marocchina nella nostra Regione”, ha commentato Sergio Bartoli. “Un contributo fatto di lavoro, integrazione e partecipazione attiva alla vita pubblica”.
Parole condivise anche da Francisca, che ha messo in luce “la grande opportunità rappresentata dalla cooperazione tra enti locali, imprese e cittadini, in una logica di crescita condivisa che non conosce confini geografici”.
Sintetico il sindaco di Ivrea Matteo Chiantore (PD).
"Dobbiamo reciprocamente imparare... - ha commentato - Abbiamo qualcosa da invidiare... Ahimè... Questo coltivare la comunità è qualcosa che a noi manca...".
Una dichiarazione subito ripresa dal consigliere comunale di Ivrea Andrea Cantoni (FDI), naturalmente, in tono sarcastico.
Tornando alla serata, al centro dei tavoli e delle conversazioni non solo il ricordo del lungo regno di Mohammed VI, ma anche un’idea concreta: organizzare una missione istituzionale in Marocco, coinvolgendo la Regione Piemonte, i sindaci e le imprese del territorio. L’obiettivo? Visitare le aziende italiane già attive nel Paese nordafricano e aprire nuove vie di collaborazione economica e culturale.
“Il dialogo tra territori e culture – ha affermato il Console Biedallah – è lo strumento più forte che abbiamo per affrontare insieme le sfide del presente e costruire opportunità per il futuro”.
Un messaggio che ha trovato ampio riscontro tra gli ospiti, molti dei quali hanno già manifestato interesse a prendere parte alla missione, si spera non solo per fare una gita... Perché, come ha ricordato il Console, l’amicizia tra il Marocco e il Piemonte non è fatta solo di cerimonie ufficiali, ma di persone, di relazioni, di comunità che vivono e lavorano insieme ogni giorno.
E proprio in Piemonte, la comunità marocchina – una delle più numerose e radicate – rappresenta un esempio concreto di integrazione e coesione sociale.
Con oltre 50.000 presenze regolari, la comunità marocchina è oggi una delle più numerose e radicate in Piemonte. Una realtà che non solo affonda le sue radici in decenni di immigrazione, ma che ha saputo costruire con il territorio un legame solido, fatto di lavoro, famiglie, partecipazione civica e dialogo culturale.
Secondo i dati Istat aggiornati al 1º gennaio 2024, i cittadini di origine marocchina residenti in Piemonte sono 50.469, pari all’11,8% di tutti gli stranieri presenti nella regione. Una cifra che fa del Marocco la seconda nazionalità straniera più rappresentata, dopo la Romania. Numeri significativi che raccontano una presenza capillare e ben integrata, distribuita soprattutto tra le province di Torino, Cuneo, Alessandria e Novara.
Il Piemonte rappresenta oggi la terza regione italiana per numero di marocchini residenti, dopo Lombardia ed Emilia-Romagna. Complessivamente, in Italia vivono tra i 412.000 e i 430.000 marocchini, il che significa che oltre un decimo dell’intera comunità si trova proprio in Piemonte.
Una migrazione iniziata negli anni Settanta, rafforzata nel decennio successivo e consolidata nei primi anni Duemila, con la formazione di vere e proprie reti familiari e associative. Oggi, la comunità marocchina piemontese si distingue per la sua pluralità interna: accanto ai lavoratori nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e dei servizi, ci sono imprenditori, insegnanti, commercianti, studenti universitari e giovani nati e cresciuti in Italia, spesso perfettamente bilingui, con doppia cittadinanza e una forte identità interculturale.
Questa comunità contribuisce attivamente alla vita sociale, economica e culturale piemontese. Sono centinaia le associazioni culturali e religiose che operano sul territorio, impegnate nel dialogo interreligioso, nell’assistenza alle famiglie, nell’organizzazione di eventi pubblici e nella promozione del rispetto reciproco. Molti cittadini marocchini partecipano anche alla vita politica locale, alcuni sono stati eletti nei consigli comunali, altri sono attivi nel sindacato o nel volontariato.
Ma non si tratta solo di numeri. La comunità marocchina rappresenta un ponte vivo tra l’Italia e il Marocco, un canale privilegiato per iniziative di cooperazione internazionale, scambi culturali ed economici.
Anche su scala nazionale, la comunità marocchina è riconosciuta per la sua capacità di integrazione. In molte città italiane, i cittadini marocchini sono promotori di esperienze di successo nella mediazione culturale, nella scuola, nella sanità e nei servizi sociali. Al tempo stesso, non mancano sfide complesse: il rischio di marginalizzazione in alcune aree, le difficoltà burocratiche legate alla cittadinanza, le questioni legate al riconoscimento dei titoli di studio e all’accesso al lavoro qualificato.
Ciononostante, il cammino della comunità marocchina in Italia è quello di una presenza sempre più matura e strutturata, che chiede riconoscimento, ma anche corresponsabilità. E che oggi può giocare un ruolo strategico nell’intrecciare i destini di due Paesi uniti da una lunga storia comune sul Mediterraneo.
Perché il Marocco non è più “altrove”. È qui, nelle città e nei paesi del Piemonte, nelle scuole, nei mercati, negli ospedali, nelle aziende. È parte integrante del presente e del futuro della nostra società.
Nel panorama instabile del Nord Africa, dove negli ultimi decenni si sono alternati conflitti, rivoluzioni, cadute di regimi e colpi di Stato, il Marocco di Mohammed VI è rimasto un punto fermo. Un Paese che ha scelto di non stravolgersi, ma di cambiare dall’interno. Lentamente, silenziosamente, senza mai perdere di vista la propria identità. Merito, in larga parte, di un sovrano che ha saputo interpretare il proprio ruolo con intelligenza politica e visione strategica.
Nato a Rabat nel 1963, Mohammed VI è salito al trono il 23 luglio 1999, dopo la morte del padre Hassan II, figura imponente e controversa che aveva governato il Paese con pugno di ferro per quasi 40 anni. Il passaggio di consegne, allora, fu accompagnato da speranze e timori: cosa avrebbe fatto il giovane re? Avrebbe rotto con il passato o scelto la continuità?
La risposta è arrivata negli anni, con uno stile sobrio ma deciso. Mohammed VI non ha mai strillato le sue riforme, ma le ha fatte. Ha dato impulso a un ampio piano di modernizzazione infrastrutturale, investendo in porti, autostrade, treni ad alta velocità, energie rinnovabili e grandi progetti urbani. Ha promosso una riforma del Codice della Famiglia che ha rafforzato i diritti delle donne, pur tra mille contraddizioni. Ha lanciato programmi contro la povertà e l’esclusione sociale. E ha portato il Marocco fuori dall’isolamento diplomatico, facendone un attore rilevante in Africa e nel Mediterraneo.
Sotto la sua guida, il Marocco è diventato partner affidabile dell’Europa, alleato chiave nella gestione dei flussi migratori, interlocutore ascoltato nella lotta al terrorismo. Nel 2020 ha persino normalizzato i rapporti con Israele, ottenendo in cambio dagli Stati Uniti il riconoscimento della sovranità sul conteso Sahara Occidentale. Una mossa audace, che ha rafforzato il suo prestigio internazionale.
Eppure, il suo regno non è privo di ombre. Le organizzazioni per i diritti umani continuano a denunciare repressioni del dissenso, limitazioni alla libertà di stampa, disuguaglianze crescenti e marginalizzazione di parte della popolazione giovanile e rurale. Il potere rimane fortemente concentrato nelle mani del re, che – pur avendo riformato la Costituzione nel 2011 in risposta alle proteste della Primavera Araba – mantiene un controllo pressoché totale su esercito, religione, sicurezza e affari esteri.
Anche la sua figura personale, a tratti schiva e distante, ha alimentato interrogativi. Le sue lunghe assenze dal Paese per motivi di salute, i soggiorni all’estero, le voci sulla sua vita privata, non hanno mai intaccato seriamente la sua popolarità, ma hanno acceso il dibattito su quale sarà la futura forma della monarchia marocchina.
Intanto, però, Mohammed VI ha costruito un’eredità. Ha consolidato la posizione del Marocco come Paese “ponte” tra Africa, Europa e mondo arabo. Ha favorito la crescita economica, l’attrazione di investimenti e l’emergere di una nuova classe imprenditoriale. Ha formato il figlio ed erede, il principe Moulay Hassan, già presente nelle cerimonie ufficiali, quasi a voler garantire una continuità senza traumi.
Oggi, a 25 anni dalla sua ascesa al trono, il bilancio del regno di Mohammed VI è quello di una trasformazione silenziosa, ma profonda. Una trasformazione che non ha cercato lo scontro, ma il compromesso. Che ha provato a conciliare Islam e modernità, tradizione e sviluppo, autorità e apertura. Un equilibrio instabile, certo. Ma che, finora, ha tenuto.
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