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28 Luglio 2025 - 21:42
A Torino arriva Briatore. Sua Maestà della Pizza e del Nulla
Flavio Briatore ha scelto Torino per il nuovo capitolo della sua catena Crazy Pizza, e l’annuncio dell’apertura ha già scatenato un vivace dibattito tra media locali, utenti dei social e osservatori del mondo gastronomico. Il locale sorgerà in via Pietro Micca, all’angolo con via Viotti, nel pieno centro della città, proprio dove una volta c’era una boutique di alta moda. L’imprenditore cuneese ha affidato ai suoi canali social la risposta a chi ha storto il naso davanti a questa nuova avventura, con un video in cui attacca a viso aperto la stampa torinese e difende il suo progetto come opportunità per la città.
Nel video, Briatore non usa mezzi termini. A chi ha criticato i prezzi elevati – fino a 68 euro per una pizza con caviale o tartufo – risponde che chi scrive certi articoli non è mai uscito da Torino. Sottolinea come Crazy Pizza non sia una pizzeria qualsiasi, ma una vera esperienza, un luogo in cui si fondono cucina gourmet, spettacolo, musica e design, secondo un format già testato con successo in altre città del mondo come Montecarlo, Londra, Dubai e New York. L’offerta, spiega, non si limita al cibo: l’ambiente è raffinato, la cucina a vista, l’intrattenimento continuo, con pizzaioli che si esibiscono in acrobazie al ritmo di musica house. L’obiettivo è portare qualcosa che Torino, secondo lui, non ha ancora visto: una pizzeria da vivere come si vivrebbe una serata in un locale di lusso internazionale.
Accanto all’esperienza sensoriale, Briatore rilancia anche l’impatto economico del progetto: il nuovo Crazy Pizza darà lavoro a 25 o 30 giovani torinesi. Un dato non banale in una città che spesso fatica a offrire opportunità di qualità ai propri ragazzi. Briatore insiste: questa non è solo un’apertura commerciale, ma un’iniezione di energia per il tessuto urbano. Eppure le critiche continuano. Alcuni giornalisti parlano di un’operazione snob, altri ironizzano sui prezzi, altri ancora si chiedono se Torino sia davvero pronta per un format così costoso. Briatore, però, risponde con sarcasmo: se Crazy Pizza non serve, allora non servono nemmeno i giornalisti. Una battuta che ha ovviamente alimentato nuove polemiche, acuendo il contrasto tra chi vede in lui un provocatore seriale e chi invece lo considera un imprenditore visionario.
In città, intanto, si moltiplicano le reazioni. C’è chi è incuriosito dall’idea di un locale che promette spettacolo e glamour, chi già storce il naso per una pizza da oltre 20 euro, chi ricorda con orgoglio la tradizione della pizza al padellino e chi accoglie positivamente la possibilità di una nuova attrazione capace di rivitalizzare il centro storico. In un contesto urbano dove molti esercizi faticano a sopravvivere e le serrande abbassate sono sempre di più, l’apertura di un locale come Crazy Pizza può essere letta come un segnale di vivacità. Certo, il modello proposto non è per tutti. Ma forse proprio per questo, dice Briatore, il format funziona. Perché parla a chi cerca qualcosa di diverso.
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Il cantiere è già partito, l’apertura è prevista entro la fine del 2025 e i lavori in corso sembrano procedere spediti. Il locale sarà grande, scenografico, curato in ogni dettaglio. L’attesa, nel bene e nel male, è alta. E mentre la città si divide tra sostenitori e critici, tra chi parla di americanata e chi applaude all’internazionalizzazione dell’offerta gastronomica torinese, una cosa è certa: anche questa volta, Flavio Briatore è riuscito a far parlare di sé. Se il progetto sarà un successo o un fuoco di paglia, lo diranno i torinesi. Che, presto o tardi, la pizza da Crazy Pizza andranno comunque a provarla. Anche solo per poter dire che no, non fa per loro. Oppure sì, è proprio quello che mancava.
E alla fine, Torino avrà il suo Crazy Pizza. Che emozione. Ce lo meritavamo. Eravamo rimasti l’unico capoluogo europeo senza pizze al caviale con DJ set, senza pizzaioli acrobati che fanno girare la pasta in aria come se stessero preparando un raid aereo, senza camerieri che servono la margherita al ritmo di afrobeats e house music. Un vuoto culturale che andava colmato. E chi, se non Flavio Briatore, poteva colmarlo con la sua visione cosmopolita, la sua classe da Billionaire, e soprattutto la sua consueta modestia?
Lui arriva, posa le chiavi del jet privato sul bancone, ordina due pizze col tartufo, insulta i giornalisti e ci spiega come funziona il mondo. Perché lui lo sa. Lui è uscito da Torino. Anzi, non ci ha mai messo piede, se non per graziare noi poveri provinciali col suo genio imprenditoriale.
Nel suo ormai celebre video su Instagram, più autocelebrativo di un post di Elon Musk dopo tre gin tonic, Briatore ci informa che chi critica i prezzi del suo locale non è mai uscito dalla città. È rimasto chiuso in via Nizza, senza mai vedere Montecarlo, Dubai, Londra. Come se per capire che una pizza da 68 euro è una follia, servisse il passaporto diplomatico. “Crazy Pizza è un’esperienza”, dice. E infatti lo è. L’esperienza di sentirsi presi per i fondelli con stile.
Poi, giusto per evitare il rischio che qualcuno lo prenda sul serio, rincara la dose: “Se Crazy Pizza non serve, non servono nemmeno i giornalisti”. Voilà. In un colpo solo cancella secoli di stampa libera, dal “Risorgimento” a Indro Montanelli, da Norberto Bobbio a Enzo Biagi, in nome della pizza col Pata Negra. Piatto unico e pensiero unico.
Il messaggio è chiaro: in un mondo ideale, senza giornalisti, Briatore potrebbe fare tutto quello che vuole senza che nessuno osi chiedergli “ma non le sembra un po’ eccessivo?”. Ma per sua sfortuna siamo ancora in un Paese dove qualcuno, ogni tanto, si permette di usare il cervello. E di scrivere.
Va detto, a sua difesa, che non tutti i giornalisti sono uguali. Alcuni sono proprio come li vuole lui: quelli che lo intervistano con occhi lucidi, che lo chiamano “visionario”, che pubblicano intere pagine sulle “opportunità” che porterà la sua pizzeria col soffitto di Swarovski. Però c’è ancora qualcuno – maledetti – che si ostina a fargli domande. Tipo: ma davvero Torino ha bisogno di una pizzeria che sembra un night club? Davvero venti, trenta posti di lavoro – precari e stagionali, probabilmente – giustificano l’ennesima americanata gastro-pacchiana? Davvero bisogna ingoiare pure l’insulto gratuito ai cronisti?
La verità è che Briatore ha bisogno dei giornalisti come la mortadella del pane. Perché senza di loro, nessuno parlerebbe di Crazy Pizza. Nessuno saprebbe dell’apertura. Nessuno si indignerebbe. Nessuno prenoterebbe. È il gioco che conosce benissimo: spara una provocazione, si prende titoli e indignazione, e intanto si fa pubblicità gratis. Un genio. Della comunicazione. Del narcisismo. Del marketing. Della pizza no, ma quella è un dettaglio.
E così Torino, che una volta si distingueva per sobrietà sabauda, per l’ironia sottile, per la cultura delle cose fatte bene senza urlare, ora si ritrova catapultata nel grande show del pizzaiolo globale. E noi lì, con la faccia tra la bufala e il tartufo, a chiederci se abbiamo sbagliato tutto: forse non dovevamo studiare, leggere, scrivere. Bastava volare alto – ma in elicottero.
Nel frattempo, consigliamo a Briatore di rilassarsi. Di lasciar perdere chi scrive. Di non leggere i giornali. Di dedicarsi a ciò che gli riesce meglio: dire cose arroganti, vendere illusioni impanate d’oro, e fare soldi con la gente che ci crede.
Noi, nel nostro piccolo, continueremo a scrivere. Anche se, come dice lui, non serviamo a niente. Ma almeno non vendiamo pizze da 68 euro. E non insultiamo chi lavora. Con buona pace di Sua Maestà del Nulla.
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