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La Cassazione riapre la strada ai risarcimenti per i morti di fumo: “Nel 1968 non era noto il legame tra sigarette e tumore”

Una sentenza destinata a far discutere: accolto il ricorso dei figli di un fumatore morto nel 2013. Il caso torna in Appello. Il Codacons esulta: “Presto una valanga di nuove cause”

La Cassazione riapre la strada ai risarcimenti per i morti di fumo: “Nel 1968 non era noto il legame tra sigarette e tumore”

La Cassazione riapre la strada ai risarcimenti per i morti di fumo: “Nel 1968 non era noto il legame tra sigarette e tumore”

Con un’ordinanza destinata a lasciare il segno nella giurisprudenza italiana, la Corte di Cassazione ha deciso di riaprire il caso di un uomo deceduto nel 2013 per un tumore ai polmoni, dopo 45 anni di fumo accanito. L’uomo, che aveva iniziato a fumare Marlboro nel 1968, era arrivato a consumare due pacchetti al giorno. I suoi figli, assistiti dagli avvocati Carlo Tommaso Gasparro e Angelo Cardarella per conto del Codacons, avevano chiesto un risarcimento alla British American Tobacco e ai Monopoli di Stato, ritenuti corresponsabili della morte del padre. Il Tribunale di Torino, prima, e la Corte d’Appello, poi, avevano però rigettato la richiesta. Ma ora la Suprema Corte ribalta tutto.

Secondo la terza sezione civile della Cassazione, la correlazione diretta tra il fumo e le patologie oncologiche – tra cui i tumori polmonari – non era socialmente nota nel 1968, anno in cui l’uomo aveva iniziato a fumare. Pur riconoscendo che la nocività del fumo era “un fatto socialmente noto a partire dagli anni Settanta”, i giudici precisano che “tutt’altro che socialmente nota era invero all’epoca cui risalgono i fatti di causa la correlazione specifica tra fumo e cancro (e altre gravi patologie)”. Insomma, il concetto centrale è che solo a fronte di una effettiva conoscenza del rischio specifico – e non di un generico ‘fa male’ – si può configurare il concorso di colpa del fumatore. Ecco perché, secondo la Cassazione, non è corretto escludere automaticamente la responsabilità dei produttori di tabacco nei casi in cui la vittima abbia iniziato a fumare prima che le campagne informative – e le relative avvertenze sanitarie – diventassero patrimonio comune.

L’effetto della pronuncia è la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino, che dovrà ora esaminare nuovamente il caso in diversa composizione. Un cambio di rotta importante, che potrebbe fare da apripista a una nuova stagione di azioni risarcitorie, in particolare da parte degli eredi di persone decedute per patologie correlate al tabacco e che abbiano iniziato a fumare in anni in cui la consapevolezza sanitaria era ben diversa da quella odierna.

Esulta il presidente del Codacons, Marco Maria Donzelli, che parla di una “clamorosa ordinanza” destinata a ribaltare l’orientamento finora seguito da molti tribunali italiani. “La Suprema Corte ha stabilito che la consapevolezza circa i rischi legati al fumo da parte dei fumatori non può essere un criterio generale per rigettare i ricorsi dei familiari delle vittime”, spiega Donzelli, che annuncia già una raffica di nuove cause in tutta Italia, soprattutto a tutela degli eredi di fumatori deceduti.

Se negli Stati Uniti le class action contro i colossi del tabacco sono storia vecchia (nel 1998, un accordo transattivo da oltre 200 miliardi di dollari ha chiuso un maxi-contenzioso tra industrie e 46 Stati), in Italia il percorso è stato sempre più accidentato. Le sentenze hanno oscillato tra il principio della responsabilità personale del fumatore – consapevole dei rischi – e la responsabilità oggettiva delle aziende per pubblicità ingannevole o omessa informazione. Questa sentenza della Cassazione potrebbe segnare un nuovo orientamento giurisprudenziale, più vicino alla tutela del consumatore e degli eredi. E apre interrogativi anche sulla responsabilità dello Stato, che per decenni ha incassato miliardi di lire (e poi euro) attraverso i Monopoli, pur conoscendo gli effetti devastanti del tabagismo.

fumo

L’ordinanza n. 13844 del 2025, pubblicata poche settimane fa, rappresenta un vero e proprio cambio di passo. Secondo la Corte, non basta dire che “fumare fa male”: per negare un risarcimento, bisogna dimostrare che la vittima era pienamente consapevole, all’epoca in cui iniziò a fumare, del rischio specifico e diretto di contrarre patologie letali come il cancro. Non è detto che la Corte d’Appello di Torino, ora incaricata di riesaminare il caso, decida per un risarcimento. Ma il segnale lanciato da Piazza Cavour è chiaro: le aziende del tabacco non possono più nascondersi dietro la scusa della “colpa del fumatore”, almeno per quanto riguarda i decenni in cui le informazioni sanitarie non erano accessibili o divulgate al pubblico.

Nel frattempo, il Codacons sta già raccogliendo nuove segnalazioni. Il presidente Donzelli invita tutti i familiari di persone decedute per tumori correlabili al fumo a verificare le condizioni per un’azione legale, soprattutto nei casi in cui l’inizio del consumo risalga agli anni Sessanta o Settanta. La battaglia, insomma, è appena cominciata.

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