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28 Luglio 2025 - 14:54
Bruno Mecca Cici
L’incertezza sui nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti all’agroalimentare europeo sta mettendo in ginocchio anche l’agricoltura torinese, colpita proprio nel momento più delicato dell’anno: quello della raccolta. Mentre le campagne si preparano alla vendemmia, alla raccolta della frutta e alla battitura delle nocciole, lo spettro delle tariffe doganali rischia di soffocare le esportazioni verso uno dei mercati più importanti al mondo. In bilico ci sono prodotti di punta del Made in Piemonte: vini DOCG, nocciole pregiate, formaggi DOP, carni di Razza Piemontese. E intanto, i produttori brancolano nel buio.
“Non sappiamo ancora quali prodotti agricoli beneficeranno effettivamente dell’esenzione dai dazi, ma già l’accordo che prevede l’introduzione di tariffe al 15% solleva fortissime preoccupazioni”, osserva il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici. Una posizione che rispecchia l’amarezza diffusa tra le aziende agricole del territorio.
“Rispetto alla proposta iniziale di dazi al 30%, la riduzione al 15% è un miglioramento, certo. Ma resta comunque un duro colpo per un comparto già messo a dura prova da molteplici crisi”, continua Mecca Cici. “Oggi l’agricoltura torinese deve fare i conti con gli effetti devastanti del cambiamento climatico: eventi estremi, piogge fuori stagione, ondate di calore improvvise e l’arrivo di nuovi parassiti e fitopatie sconosciute fino a pochi anni fa. Ma non basta. Si aggiunge anche il fenomeno del ‘land grabbing’, ovvero la sottrazione di terre fertili da parte della speculazione energetica, che compra campi e colline per realizzare impianti fotovoltaici a terra, sottraendo ettari preziosi all’agricoltura di qualità”.
Colpito da più fronti, il settore rurale piemontese è oggi un comparto in trincea. A ciò si somma, secondo Coldiretti, la crescente criminalizzazione degli allevamenti, l’ostilità verso la cultura vitivinicola e l’indifferenza di troppi provvedimenti legislativi nazionali e regionali che, anche se apparentemente lontani dal tema agricolo, finiscono per pesare proprio sui contadini. Un esempio su tutti? I costi legati al “Piano della qualità dell’aria”.
“In quel Piano – denuncia Mecca Cici – si impongono alle stalle investimenti gravosi per coprire le platee del letame, senza che ci sia una reale evidenza scientifica dell’efficacia di tali misure. Se davvero si vuole difendere l’agricoltura, bisogna farlo dentro ogni singolo provvedimento”.
Il quadro è ancora più preoccupante se si considera il peso dell’export verso gli Stati Uniti per le aziende torinesi. Oltre il 30% dei vini DOCG prodotti in provincia di Torino trova sbocco sul mercato americano. Parliamo di etichette come il Freisa, il Carema, l’Erbaluce spumante, ma anche dei “vini eroici” del Pinerolese e della Val di Susa, frutto di coltivazioni in condizioni difficili e su terreni impervi, che rischiano di diventare economicamente insostenibili.
Accanto al vino, anche la frutta pinerolese – mele, pere, pesche – finisce sugli scaffali dei supermercati statunitensi. E ancora, nocciole e latte da filiera certificata, impiegati dall’industria dolciaria italiana che a sua volta esporta oltre Atlantico. Complessivamente, l’agroalimentare torinese esporta prodotti negli USA per un valore che supera i 300 milioni di euro.
Nel quadro piemontese, gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di sbocco fuori dall’Unione Europea, con una quota che nel 2024 era salita al 13% dell’intero export agroalimentare della regione. Parliamo di oltre 4,1 miliardi di euro, in crescita di oltre il 3,5% rispetto all’anno precedente. Una crescita che rischia ora di arrestarsi bruscamente, se non di subire un crollo.
È per questo che Coldiretti Torino chiede a gran voce l’attivazione immediata di misure compensative non solo a livello europeo, ma anche locale. “Servono strumenti concreti per aiutare le aziende agricole a restare competitive – incalza Mecca Cici – altrimenti molte di loro saranno costrette ad abbandonare i mercati esteri o peggio ancora a chiudere”.
A lanciare un ulteriore appello è anche il direttore di Coldiretti Torino, Carlo Loffreda: “Quello che non possiamo permetterci di perdere è la vocazione internazionale delle nostre aziende. Tornare a chiuderci nei confini italiani sarebbe un errore drammatico. Diversificare i mercati è una priorità assoluta. E per questo serve anche incentivare la vendita diretta, aiutando le aziende agricole ad adottare strumenti digitali, logistica efficiente, reti commerciali flessibili”.
Coldiretti ribadisce che i suoi uffici sono pronti a supportare le imprese che vogliono aprirsi all’estero o potenziare le proprie strategie di internazionalizzazione. Ma senza un quadro normativo chiaro e interventi mirati, la competitività dell’agroalimentare piemontese – fatto di piccoli produttori e di eccellenze artigianali – rischia di affondare sotto il peso dei dazi e delle troppe contraddizioni politiche.
Per un’agricoltura che già lotta contro il tempo, il clima, la burocrazia e la speculazione, l’incertezza non è un’opzione. E ogni giorno perso rischia di diventare irrimediabile.
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