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26 Luglio 2025 - 18:06
Chikungunya a Bentivoglio: il primo caso autoctono accende l’allarme sanitario. Disinfestazioni, sorveglianza e timori per la diffusione
C’è un nome che fino a pochi giorni fa sembrava confinato ai notiziari esteri e alle enciclopedie mediche. Un suono esotico, quasi misterioso: chikungunya. E invece ora circola veloce nei bar, nei supermercati, nei messaggi WhatsApp degli abitanti di Bentivoglio, cittadina apparentemente tranquilla nella pianura bolognese. Il virus tropicale è sbarcato anche qui. E con lui è arrivata la paura.
La conferma è arrivata pochi giorni fa: primo caso autoctono di chikungunya in Italia nel 2025. Il paziente, rientrato da un viaggio in un’area a rischio, è stato identificato come il “caso zero”, la scintilla che ha innescato la trasmissione locale del virus. Il piano regionale di sorveglianza si è subito attivato e non si è fermato ai confini dell’Emilia-Romagna. La minaccia ha dimensione interregionale. E potenzialmente nazionale.
Le implicazioni sono pesanti. Il virus chikungunya – trasmesso esclusivamente dalla zanzara tigre (Aedes albopictus)– ha dimostrato, ancora una volta, la sua capacità di attecchire in Europa, sfruttando condizioni ambientali sempre più favorevoli. Non è la prima volta che accade, ma ogni nuovo caso autoctono rappresenta un fallimento della prevenzionee un rischio sanitario concreto.
Le autorità non hanno perso tempo: l’Azienda USL di Bologna ha avviato disinfestazioni straordinarie in un raggio di 300 metri dai luoghi frequentati dal paziente. Coinvolti i medici di base, i sindaci, gli amministratori condominiali. L’obiettivo è uno solo: contenere, e farlo in fretta. Ma la zanzara tigre vola leggera, e non conosce confini comunali.
Infatti, anche il Veneto è in allerta: a Rovigo, dove il paziente si era recato nei giorni precedenti alla comparsa dei sintomi, è stata emanata un’ordinanza d’emergenza per la disinfestazione dell’area attorno al Conservatorio “Francesco Venezze”. A Piacenza, invece, si attende la conferma su un caso sospetto, già posto sotto osservazione e protetto da misure sanitarie cautelative. Il virus, in silenzio, potrebbe aver già oltrepassato più di un confine regionale.
Secondo i dati ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità, tra il 1° gennaio e il 22 luglio 2025 si contano 30 casi di chikungunya in Italia: 29 importati e uno, appunto, autoctono. Un numero contenuto, ma che rompe l’equilibrio fragile mantenuto negli ultimi anni. Perché se è vero che i protocolli hanno finora funzionato, è altrettanto vero che la zanzara tigre non è più un’intrusa. È di casa.
La chikungunya – che in lingua africana significa “contorcersi” per via dei dolori articolari lancinanti – non si trasmette da persona a persona, ma colpisce duramente chi viene punto. Febbre alta, dolori muscolari e articolari, rash cutaneo, spossatezza: questi i principali sintomi. Non esistono terapie mirate né vaccini ampiamente disponibili. Si può solo intervenire con cure sintomatiche. E per i soggetti fragili, il recupero può durare settimane, se non mesi.
A ricordarlo è anche il professor Massimo Andreoni, infettivologo e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. “In Italia abbiamo già avuto epidemie di chikungunya: nel 2007 oltre 200 casi in Emilia-Romagna, nel 2017 circa 300 casi, di cui 240 nel Lazio, soprattutto nella zona pontina. Tutti autoctoni. Il vettore? Sempre la zanzara tigre”, ha spiegato. E ancora: “Nel 2024 sono stati registrati 17 casi. Nel 2025 siamo già a quota 30.”
Il vero problema, sottolinea Andreoni, è che molti contagi decorrono in modo asintomatico, consentendo al virus di circolare indisturbato. “Una persona senza sintomi non si isola, viene punta da una zanzara che, a sua volta, può infettare altri individui. È così che nasce una catena di trasmissione invisibile ma pericolosa.”
Intanto, in Francia i focolai non si contano più: 12 attivi, con oltre 800 casi confermati, a cui si aggiungono 624 infezioni da dengue e due di Zika. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme globale, chiedendo un intervento urgente per evitare che la chikungunya diventi endemica in Europa. E avverte: i sintomi possono sovrapporsi a quelli di dengue e Zika, complicando ulteriormente diagnosi e trattamento.
Il virus, partito da La Réunion, si è rapidamente diffuso in Madagascar, Kenya, India, Sud-est asiatico. Ora è qui. In Italia. In Emilia. A Bentivoglio.
Ecco perché le raccomandazioni sanitarie vanno prese sul serio. Usare repellenti, coprirsi gambe e braccia, eliminare ogni possibile ristagno d’acqua, anche il più piccolo. Un sottovaso dimenticato, un tombino ostruito, una ciotola per animali lasciata all’aperto: tutto può diventare un focolaio.
A Bentivoglio, oggi, l’allerta è altissima. Le finestre si tengono chiuse, si evitano le uscite nelle ore più calde, ogni ronzio viene ascoltato con sospetto. Si spera che il caso zero resti davvero unico. Ma l’esperienza recente insegna che la prevenzione è l’unica vera arma contro virus come questo.
Nessun allarmismo, certo. Ma nessuna leggerezza. La chikungunya non è più un’ipotesi da documentario tropicale. È un virus che cammina con le nostre gambe e vola con le nostre zanzare. Ed è ormai chiaro: non è più un problema esotico. È un problema italiano.
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