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Ombre su Torino

Gaetana Di Francesco, detta "la siciliana". Professione prostituta.

Dalla Sicilia a Torino, tra sogni infranti, sfruttamento e indifferenza. La vita e la morte di Gaetana Di Francesco, uccisa nel gelo di una mattina del 1976, rimasta senza colpevoli e senza memoria. Come se non fosse mai esistita

Gaetana Di Francesco, detta "la siciliana". Professione prostituta.

Come una folata di vento.

È così che passano certe vite. Rapidamente, senza lasciare alcun segno, nessun motivo per essere ricordate. Come se l’invisibilità di un’esistenza fosse già stata decretata, a prescindere, da un ineluttabile disegno del destino. Contro il quale si può urlare a pieni polmoni, senza, però, spesso, avere la reale speranza che ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.

In effetti, riuscire a udire delle grida a 1600 km di distanza sembra complicato anche avendo la volontà di farlo.

Gaetana nasce e passa i suoi primi 33 anni in una piccola città dell’entroterra siciliano, San Cataldo, in provincia di Caltanissetta.

Siamo negli anni ’60 e, anche se è banalmente ridondante farlo, è necessario sottolineare che le condizioni economiche di chi abita da quelle parti, ai tempi, sono tutto fuorché rosee.

Ciononostante, Gaetana mette su famiglia, sposa Vincenzo e partorisce due figli. Probabilmente l’aspirazione di una vita “normale”, vista a posteriori, è già un sogno fin troppo grande per lei e, infatti, nel 1963, il marito parte per la Germania in cerca di fortuna. Le dice che si stabilirà laggiù, che troverà un buon impiego che farà stare bene lei e i bimbi e che, quando sarà tutto a posto, lo potrà raggiungere. Niente di tutto questo, ovviamente, accade.

Dopo un anno in attesa di notizie, la giovane, disoccupata e squattrinata, non può che prendere in braccio i suoi bambini e rivolgere il suo sguardo verso nord, verso l’Eldorado, il sol dell’avvenire: Torino.

Arrivata in Piemonte, inizia immediatamente a cercare lavoro. È una bella ragazza, molto socievole e spigliata, e pensa che sarebbe perfettamente in grado di fare la commessa in qualche negozio, ma, alla fine, si deve accontentare di fare la cameriera.

Sembra aver trovato una sua, seppur modesta, dimensione ma i soldi che intasca sono pochi e mettere insieme pranzo e cena per lei e i figli si dimostra molto più complicato di quanto non pensasse. A venirle “in aiuto” arrivano alcuni clienti del bar in cui è stata assunta. Sono persone equivoche, dai giri loschi, che la portano a frequentare una serie di locali tra piazza Statuto e via San Donato nei quali, tra una chiacchiera e l’altra, le spiegano come avrebbe potuto migliorare di molto la sua condizione economica. La soluzione è tanto semplice quanto tremenda: prostituirsi.

Il luogo dove si procaccia i suoi amanti per una notte è il Lungo Dora Voghera e, pur guadagnando abbastanza bene, riesce a malapena a raccattare le 7 mila lire che le servono per pagare l’affitto di un bilocale in via Santa Chiara 60. E sfruttatori, avventori più o meno piacevoli e il cibo da dare ai bambini non sono neanche gli unici suoi problemi.

Il 29 giugno 1970, intorno alle 15,30, mentre passeggia vicino al fiume, vede accostarsi al marciapiede una 500 con a bordo due uomini. Gaetana si avvicina ma, una volta notato chi c’è alla guida, si ritrae immediatamente tentando di allontanarsi.

Quello che pensava essere solo l’ennesimo cliente, in realtà, è quarantenne originario del suo stesso paese con il quale, poco prima di partire, aveva stretto una breve relazione. Salvatore Scalzo, questo il suo nome, dopo aver capito dove si era trasferita, la aveva seguita e, nell’attesa di reincontrarla, aveva trovato lavoro come edile.

È lì perché vuole a tutti i costi che torni con lui e non è neanche la prima volta che tenta di convincerla, più o meno con le buone. Stavolta, però, all’ ennesimo rifiuto, perde la testa e le sferra una coltellata al ventre. Gaetana rimane tra la vita e la morte per 40 giorni ma alla fine si salva, mentre Salvatore, immediatamente rintracciato e arrestato, viene condannato a 7 anni di reclusione.

È anche per questo motivo che, una volta rimessasi in sesto, sposta la sua attività nei pressi della Pellerina.  

27 gennaio 1976 ore 8.

Un giovane di 20 anni, Giovanni Piovano, sta percorrendo a piedi corso Appio Claudio mentre si reca in ufficio. La giornata è gelida e gli alberi, la vegetazione, i marciapiedi e le strade sono interamente ricoperti di uno spesso di strato di brina come se ci si trovasse in una stanza totalmente impolverata.

In uno spiazzo all’angolo con corso Lecce, c’è un mucchio di spazzatura in mezzo al quale qualcuno ha buttato un manichino. Piovano lo vede da lontano, è bianco come quello dei negozi, rigido, svestito. È solo quando arriva a pochi passi che si accorge che è un corpo umano.

Caccia un grido fortissimo, inizia a correre e, notata una cabina telefonica li vicino, chiama le forze dell’ordine. Il cadavere, imbiancato e irrigidito dal gelo, è di Gaetana, Gaetana Di Francesco, 46 anni, professione prostituta.

Viene trovata con le gambe divaricate, nuda dalla vita in giù, le mani legate dietro la schiena. È stata strozzata: l’assassino le ha messo le mani intorno al collo e ha tirato la catenina d’oro che portava fino ad ucciderla, col gioiello che ha penetrato la carne facendola sanguinare. La donna si è sicuramente difesa e, infatti, le vengono trovate le unghie spezzate con al di sotto dei brandelli di pelle e le mani graffiate. Qualcuno le ha stretto le braccia con una delle sue calze di nailon e, molto probabilmente, ha abusato di lei dopo che era già morta.

Si pensa all’opera di un maniaco, forse di un suo protettore, sicuramente non di un rapinatore occasionale perché addosso, oltre alla catenina usata per tirarle il collo, le viene trovata la fede d’oro correttamente all’anulare.

Certamente, non essendoci testimoni o indizi particolari (siamo ancora lontani da poter estrarre il DNA dalle unghie) le indagini non si rivelano facili ma sembra che non interessi particolarmente a chicchessia reperire il colpevole. Viene fermato brevemente l’ex protettore della Di Francesco ma, dopo qualche giorno e poche domande, viene rilasciato per assenza totale di riscontri.

È come se la totale mancanza di attenzioni che ha ricevuto tutta la vita continuasse anche una volta finita nell’aldilà. Il caso viene presto archiviato senza trovare il killer, i giornali smettono di parlare di lei quasi subito e il suo nome ritorna solo in brevi trafiletti o accanto a quello di altre donne (prostitute o meno) protagoniste di simili cold case nel corso degli anni.

Chissà se Gaetana ha urlato quella notte. Chissà quanto forte lo ha fatto. L’unica cosa certa è che, come sempre le è capitato, nessuno è stata a sentirla.  

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