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15 Luglio 2025 - 09:47
Una veduta della discarica di Vespia
Qualche settimana fa si era saputo che la Scaviter Morletto aveva presentato ricorso contro il No alla riapertura della cava di Campore, nel Comune di Cuorgnè. A non molta distanza in linea d’aria, in territorio di Castellamonte, ci si chiede invece cosa stia facendo la Agrigarden, la società che gestisce la famigerata discarica di Vespia. Non bastando i disagi, le sofferenze, le gravi conseguenze per la salute che la discarica ha provocato nel tempo, i suoi dirigenti avevano pensato bene di aprire proprio lì accanto una bella cava. Se prima si è costruita una montagna artificiale accumulando rifiuti, ora si vorrebbe procedere per sottrazione: scavare e scavare, creare terrazzamenti artificiali, lasciare un grande vuoto… e poi magari, come in molti sospettano, approfittare di quel vuoto per riempirlo di nuovi rifiuti. Un incubo senza fine, insomma, per le popolazioni di Campo, Muriaglio e Preparetto, le tre frazioni di Castellamonte che sorgono a poca distanza e che hanno subito le conseguenze più pesanti.
Il Comitato "La voce dei Monti Pelati" tiene le antenne dritte e non si può certo dargli torto. Anche se le prime pronunce degli enti superiori sono state sfavorevoli all’azienda e quindi positive per gli abitanti, e se l’amministrazione comunale si mostra fiduciosa, è sempre meglio dubitare e prepararsi a parare i colpi. Così, nella riunione tenutasi a Campo a fine giugno, gli esponenti del Comitato, a cominciare dalla sua presidente Patrizia Bernardi, hanno incalzato sindaco ed assessori chiedendo una maggior determinazione.
L’amministrazione Mazza punta molto su un aspetto procedurale, un ostacolo apparentemente insormontabile per i sostenitori della cava: la necessità, per poterla aprire, di modificare il Piano Regolatore. Se il Comune non è disponibile a farlo (e quello di Castellamonte non lo è) il progetto salta. Questo però è vero solo in parte perché – come ha spiegato il dottor Giampiero Bozzello, che vanta una lunga esperienza di dirigente presso le amministrazioni locali, soprattutto unioni montane – nel caso di opere strategiche (discariche e cave rientrano nella categoria) il Comune viene bypassato. Come spesso accade alle nostre leggi, il principio generale viene stravolto da norme subordinate.
La discarica di Vespia dall'alto
Bisogna dire che anche la Città Metropolitana ha espresso un giudizio fortemente negativo. Secondo i suoi tecnici la coltivazione della cava comporterebbe l’arretramento del versante, che verrebbe sagomato a gradoni con dislivelli molto accentuati, con rischio di erosione del terreno e l’impossibilità di ripristinare, al termine dello sfruttamento, lo stato dei luoghi: “Sarebbe impossibile ricreare la copertura forestale precedente. In alto la vegetazione rimarrebbe com’era, in basso si avrebbero solo macchie arboree e siepi”. Con quali conseguenze sulla stabilità del versante non è difficile immaginarlo.
“Per mettersi al riparo seriamente” – ha insistito Patrizia Bernardi – “la strada maestra sarebbe quella di ampliare la Riserva Naturale dei Monti Pelati: una volta dichiarata l’area protetta, si starebbe quasi dentro una botte di ferro”. È un’area molto particolare, che presenta caratteristiche tutte sue. L’architetto Arturo Bracco, che ha condotto uno studio insieme al geologo Paolo Quagliolo, ha spiegato che “i Monti Pelati (brulli, desertici, così diversi dalle altre montagne canavesane) non sono geologicamente differenti dalle contigue Vespie, caratterizzate invece da una vegetazione importante, vigorosa. La differenza sta nello strato di copertura creatosi nel Quaternario”. Ha anche sottolineato come si tratti di aree di antichissimo popolamento, probabilmente ricche di testimonianze storiche che basterebbe cercare per trovarle: ad esempio a Torre Cives vennero rinvenute delle monete bizantine e non potevano essere lì per caso.
Un altro aspetto che andrebbe indagato è quello dell’eventuale presenza di Terre civiche, ovvero di quei terreni che, come dice il nome, appartenevano alla collettività e costituirebbero quindi un patrimonio indisponibile: “Un documento del 1932 – ha detto Bracco – certifica a Vidracco l’esistenza di ben 56 terre civiche. Possibile che nelle vicine Campo e Muriaglio non ce ne fossero?”
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