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08 Luglio 2025 - 10:36
Torino di notte
C'è una bellezza a Torino che non si impone, ma si lascia scoprire un passo alla volta. Non cerca applausi, non abbaglia: si rivela poco a poco, in una curva elegante, in un gioco d’ombra sotto i portici, in un balcone fiorito che si affaccia su un cortile silenzioso. È una bellezza fatta di simmetrie neoclassiche, di stucchi discreti, di volumi razionali e contenuti, di colori pacati e coerenti. Una bellezza composta, mai eccessiva, che ha fatto della sobrietà la sua cifra e del dettaglio la sua forza. Ed è proprio questo sguardo torinese sul mondo – mai urlato, ma sempre pieno di carattere – a essere oggi al centro di una nuova riflessione sul design d’interni.
Torino è una città che non ha mai separato l’architettura dalla vita, l’arte dalla funzione, l’estetica dalla quotidianità. Camminare per le sue strade significa immergersi in un manuale a cielo aperto di forme e linguaggi. Significa passare senza soluzione di continuità dal barocco severo di Guarini e Juvarra al rigore sabaudo dell’Ottocento, fino alla sperimentazione delle architetture razionaliste, del Liberty torinese, dell’industrial design del Novecento. Basta passeggiare sotto i portici di via Po o salire fino a Cit Turin per percepire un dialogo continuo tra decorazione e funzione. Il Liberty piemontese – elegante, floreale, ma mai lezioso – ha influenzato generazioni di progettisti, architetti e interior designer, imponendo una poetica del dettaglio che ancora oggi si respira nei mobili dalle forme gentili, nelle curve dei braccioli, nelle texture leggere dei tessuti.
Ma non c'è solo il Liberty. La Torino del primo Novecento ha visto nascere interi quartieri razionalisti, dal Borgo San Paolo al Lingotto, dove la geometria si fa architettura sociale. Le linee pulite, la modularità, l’efficienza dello spazio abitativo: sono tutti elementi che, oggi, tornano di attualità nei progetti d’arredo contemporanei. E come dimenticare l’influenza dell’Olivetti, prima a Ivrea e poi in tutto il Piemonte, con la sua visione umanistica della fabbrica, dell’ufficio, della relazione tra uomo e macchina? Una cultura del progetto totale, che metteva insieme industria, bellezza e comunità, e che oggi torna a essere una delle più forti ispirazioni per chi arreda case non come vetrine da mostrare, ma come ambienti da vivere.
Allora la domanda viene naturale: cosa significa, oggi, portare dentro le case il design torinese? Significa scegliere mobili che sanno stare al proprio posto, che non cercano protagonismo, ma equilibrio. Significa prediligere materiali autentici, che invecchiano con dignità, che raccontano una storia. Significa abitare spazi che non sono solo belli da vedere, ma anche intelligenti da vivere, spazi che dialogano con la luce, con la dimensione domestica, con i tempi di chi li abita.
E a Torino, sono molte le realtà che lavorano ogni giorno per mantenere vivo questo spirito. Alcune lo fanno progettando mobili su misura, altre realizzandoli in laboratori artigiani, altre ancora interpretando le esigenze contemporanee con un occhio alla tradizione. Tra queste c'è anche Mobilandia, uno showroom storico in corso Grosseto, che da anni si confronta con i linguaggi del design contemporaneo senza mai dimenticare l’anima artigianale della città.
Chi entra a Mobilandia non trova solo cucine componibili o librerie modulari, ma una vera e propria filosofia dell’abitare. Le proposte spaziano dal legno massello ispirato alle boiserie piemontesi ai complementi d’arredo dalle linee curve e sobrie, che richiamano l’eleganza misurata dell’arredo borghese degli anni Cinquanta. Non mancano le contaminazioni più attuali: moduli a giorno, finiture opache, tessuti naturali, colori che parlano il linguaggio della città – il grigio pietra dei portici, il verde canneto dei viali, il crema rassicurante delle facciate ottocentesche.
Ma il vero punto di forza è un altro: la capacità di coniugare estetica e funzionalità. Una lezione che arriva direttamente dal DNA architettonico torinese: pensiamo agli appartamenti d’epoca con soffitti alti, porte a due ante, pavimenti in graniglia o parquet a spina di pesce. O ai loft post-industriali in zone come Dora, Aurora, San Salvario, oggi riconvertiti in studi creativi e abitazioni ibride. In entrambi i casi, servono mobili adattivi, trasformabili, su misura. Ecco perché l’approccio progettuale di Mobilandia, fondato su ascolto, misura e personalizzazione, trova terreno fertile proprio a Torino.
Nel design torinese c'è poca spettacolarizzazione e molta sostanza. È ciò che distingue questa città da altre capitali del gusto: meno effetto wow, più durata nel tempo. Qui non si rincorrono le mode, ma si ascoltano i bisogni. Non si costruisce un’immagine, ma si coltiva una relazione. Anche per questo, nei migliori showroom torinesi si parla spesso di ergonomia, sostenibilità, filiera corta, manutenzione consapevole. Non si vende solo un divano: si costruisce un ambiente di senso.
Fabrizio Viola, titolare di Mobilandia, lo racconta così: «Il nostro lavoro non è proporre quello che piace a noi, ma quello che serve davvero alle persone. Spesso prendiamo ispirazione proprio da Torino: da un androne in pietra di Luserna, da un cancello liberty, da una vetrata opalina. Ci sono dettagli nella città che meritano di entrare nelle case. Il nostro compito è reinterpretarli con cura».
Una cura che si vede e si tocca, che passa dalla scelta di materiali locali, dalla collaborazione con piccoli laboratori piemontesi, dall’uso di legni certificati FSC, vernici ad acqua, imbottiture naturali, finiture durevoli. Non è un caso che molte delle soluzioni proposte siano pensate per rispondere a esigenze contemporanee con risorse e saperi locali: mobili che si montano in poco spazio, che ottimizzano gli angoli, che dialogano con la luce naturale e con le altezze importanti delle abitazioni torinesi.
Perché alla fine, questo è il vero spirito torinese: mobili che durano, che non stancano, che non devono dimostrare nulla, ma che sanno essere presenti, silenziosamente, ogni giorno. Mobili che stanno bene oggi e staranno bene anche domani. Mobili che, senza urlare, raccontano qualcosa di chi li ha scelti. E qualcosa, anche, della città che li ha ispirati.
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