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06 Luglio 2025 - 23:57
Umberto Bardelli
La storia non è mai soltanto un freddo elenco di date, battaglie e nomi in corsivo nei libri di scuola. È un intreccio di memorie e di slanci verso il futuro, un tessuto vivo che ci definisce. È un ponte invisibile che collega generazioni lontane, la voce sommessa di chi ci ha preceduto e il sussurro di chi verrà. Eppure, il suo valore più profondo risiede nella nostra capacità di abitarla, di renderla presente nel quotidiano.
Come osservava Sant’Agostino, il passato non è più e il futuro non è ancora. Ma ciò che ci tiene in equilibrio è proprio quel sottile filo che unisce le due dimensioni nel presente. E il presente può scegliere se rimuovere o custodire. Per questo la memoria diventa strumento indispensabile per comprendere il mondo in cui viviamo: ci aiuta a leggere con occhi maturi le dinamiche politiche, i conflitti, l’evoluzione del pensiero.
Sabato 5 luglio, il Comune di Mazzè ha ospitato la giornata conclusiva delle riprese del docufilm Eroi silenziosi, realizzato dall’Associazione culturale Terre da Raccontare. Sebbene l’opera si concentri sugli eventi dell’8 luglio 1944 a Ozegna, nel pieno della Resistenza, è stato significativo e simbolico portare alcune scene tra le antiche pietre del borgo di Mazzè e davanti all’imponente Castello. Il lavoro è il frutto della dedizione di un’intera squadra, che ha scelto di raccontare non solo una pagina storica, ma un’esperienza umana intensa e drammatica.
Le scene ricostruiscono un episodio di grande impatto: l’accerchiamento del comandante Umberto Bardelli, alla guida del 1° Reggimento di Fanteria Marina San Marco, e dei suoi marò da parte dei partigiani, tra cui i garibaldini dal fiocco rosso. Una tensione crescente, fatta di armi, sguardi e silenzi, si intreccia con momenti di umanità sorprendente. Assistono alla scena anche due parroci, Don Guglielmo Bacchio di Ozegna e Don Dante Ruffa di San Giorgio.
Il movimento della X Mas
L'Accerchiamento
Le riprese dal drone
Partigiano garibaldino
Il gruppo dei partigiani
I marò
Il plotone d'esecuzione
Poi, accade l’inaspettato: i partigiani e i marò della Xª Mas formano un plotone misto per eseguire la fucilazione di Gaetano Oneto, disertore ripudiato da entrambi gli schieramenti. Una tregua fragile, quasi irreale, che emerge tra le pieghe del racconto visivo e restituisce la complessità di un tempo in cui giusto e sbagliato si mescolano in un dramma collettivo.
A guidare l'intero progetto, con rigore storico e sensibilità artistica, è stato Stefano Centrone, regista e direttore. La cura dei dettagli scenografici è stata opera di Luca Ariano, che ha svolto un lavoro tra interviste, scrittura e messa in pratica, con la trasformazione scenica a cura di Rino Coppola. Accanto a lui, Vera Roveda, responsabile dei costumi, ha curato l'accuratezza filologica degli abiti di scena, mentre Sabrina Maletto si è occupata della logistica e del supporto operativo sul set.
“Il nostro entusiasmo e il volontariato sono la vera forza motrice di questo progetto in cui crediamo profondamente”spiegano i promotori. L’idea non è solo raccontare la storia, ma costruire relazioni: “fare rete tra Comuni, unire le persone intorno a un obiettivo comune, superare i campanilismi”. Lo dimostra la partecipazione di volontari provenienti da Lombardia, Liguria e Toscana, accorsi per contribuire alle riprese.
Quella del 5 luglio è stata solo la punta dell’iceberg di un lavoro lungo e complesso, sostenuto dalla disponibilità dei Comuni di Ozegna e Mazzè, definiti dall’organizzazione “attenti e collaborativi”. Fondamentale è stato il coinvolgimento degli esperti storici e collezionisti Devis Ughetti e Silvio Giovetti, la cui competenza ha permesso di mantenere alto il livello di autenticità.
Determinante anche il contributo dell’associazione genovese Italia in grigioverde, nonché la professionalità di Fabio Cuccè alle riprese e Domenico Persichella alla fotografia. Un grazie particolare è stato rivolto a Gabriele Zana, che ha messo a disposizione un’auto d’epoca, divenuta elemento scenico di grande impatto. E il sostegno concreto del Sindaco Marco Formia e dell’Assessora alla Cultura Isabella Bellissimo, che hanno reso disponibile l’intera piazza del paese, organizzando anche la temporanea deviazione del traffico, è stato determinante.
Un applauso meritato è andato a tutti i volontari esterni, la cui presenza silenziosa ma operosa ha garantito l’efficienza e il successo della giornata.
“È stata una faticaccia!” ammettono sorridendo i membri dell’associazione, ma nessuno ha mai pensato di mollare. L’obiettivo è chiaro: “Non far dimenticare il passato, soprattutto ai giovani”. E il coinvolgimento entusiasta di tanti ragazzi, impegnati sul set e dietro le quinte, è la prova che la memoria, se raccontata con passione, può ancora toccare il cuore.
La cura dei dettagli è stata maniacale. C’è chi ha indossato per ore uniformi d’epoca sotto il sole cocente, chi ha interpretato cadaveri restando immobile su pietre roventi, chi ha gestito il delicato equilibrio tra resa scenica e sicurezza fisica. E in mezzo a tutto questo, emerge una riflessione profonda: siamo eredi di scelte, di eventi, di contraddizioni. È nostro compito prenderne coscienza e trasformarle in racconto, in consapevolezza, in eredità collettiva.
Una delle testimonianze più significative arriva proprio da chi ha vestito i panni del garibaldino: “Indossare quegli abiti mi ha dato un senso forte di appartenenza. Ma ho anche capito quanto sia difficile sentirsi davvero dalla parte dei ‘giusti’. Ho ascoltato storie di chi ha subito lutti innocenti, e questo mi ha aiutato a comprendere la complessità delle guerre, anche quelle combattute per la libertà.”
Perché la verità storica non è mai lineare. E la forza di questo docufilm è proprio nella sua capacità di restituirne le sfumature. Un’opera corale, fatta di memoria, sacrificio, passione. E, soprattutto, di futuro.
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