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04 Luglio 2025 - 15:27
Allattamento al seno: un elisir di salute per i più piccoli
Non è solo un gesto naturale, né una scelta privata senza implicazioni pubbliche. L’allattamento al seno è oggi riconosciuto come uno degli strumenti più potenti ed economici per tutelare la salute dei bambini. Ma tra benefici ampiamente documentati e una realtà ancora lontana dalle raccomandazioni internazionali, l’Italia mostra un ritardo che non può più essere ignorato.
Lo conferma una revisione sistematica pubblicata su "Pediatrics", a cura del Kaiser Permanente Center for Health Research di Portland e dell’Università di Washington, che ha passato al vaglio 29 revisioni e 145 studi originali pubblicati tra il 1940 e il 2024. Un lavoro monumentale, che mette fine a ogni ambiguità: i bambini allattati al seno hanno fino al 30% in meno di probabilità di sviluppare asma, una riduzione del rischio di obesità tra il 15 e il 34%, e una protezione dal cancro infantile, in particolare la leucemia, fino al 23%. Senza contare la prevenzione delle infezioni gastrointestinali, delle otiti e della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS).
Una scoperta? Affatto. Ma una conferma scientifica che oggi obbliga politica e sanità pubblica ad agire.
Perché se è vero che i benefici sono noti, non lo è affatto la loro diffusione. In Italia, secondo i dati aggiornati del Ministero della Salute, solo 3 bambini su 10 vengono allattati esclusivamente al seno tra i 4 e i 5 mesi di vita. Numeri desolanti, se paragonati agli standard dell’OMS, che raccomanda almeno sei mesi di allattamento esclusivo.
La geografia nazionale dell’allattamento racconta poi una disuguaglianza stridente: si va dal 13,5% della Sicilia al 43,2% delle province autonome del Nordest. Un’Italia spaccata in due, dove a fare la differenza non è la volontà delle madri, ma la disponibilità di supporto, servizi e informazioni. Per Guglielmo Salvatori, responsabile del Tavolo Tecnico Allattamento della Società Italiana di Pediatria (SIP), il nodo centrale resta proprio l’accessibilità: “Bisogna garantire che ogni madre sia messa nelle condizioni di scegliere, davvero, come nutrire il proprio figlio. Oggi non è così”.
A rincarare la dose è Rino Agostiniani, presidente SIP: "Troppo spesso le madri sono lasciate sole. Gli ospedali sono ancora luoghi dove manca il sostegno competente e continuo. I consultori sono sotto organico e i datori di lavoro non sempre favoriscono la prosecuzione dell’allattamento al ritorno in ufficio". A farne le spese non sono solo le donne, ma l’intera collettività, che assiste a un paradosso: sappiamo cosa funziona, ma non investiamo per farlo accadere.
Eppure, il tema riguarda tutti. Perché un bambino allattato al seno si ammala di meno, consuma meno farmaci, occupa meno posti letto negli ospedali. I benefici non si fermano alla salute del singolo: hanno ricadute sui bilanci sanitari, sulla produttività delle famiglie, sulla salute pubblica. Ma per trasformare queste evidenze in realtà, serve una visione politica, fatta di fondi, formazione e infrastrutture sociali. Oggi invece si naviga tra buone pratiche locali e una cornice nazionale debole.
Il rischio è che l’allattamento diventi un privilegio per chi può permettersi tempo, informazioni e supporto, mentre altrove prevalgono soluzioni forzate o abbandoni precoci. In un paese dove oltre il 70% delle madri smette di allattare prima dei sei mesi, è chiaro che non si tratta solo di scelte individuali. Serve un patto collettivo.
E serve anche superare la retorica colpevolizzante. Perché se allattare è un’opportunità da tutelare, non può diventare un’arma per colpevolizzare le donne che non possono o non vogliono farlo. È su questo equilibrio delicato che si gioca oggi la credibilità della medicina, della politica, della società civile. Rispettare la libertà delle madri significa togliere ostacoli, non moltiplicare giudizi.
Il messaggio che emerge dallo studio internazionale è chiaro: il latte materno è un investimento sul futuro, e come ogni investimento ha bisogno di politiche coerenti. Il tempo dei convegni e delle buone intenzioni è finito. Tocca al governo, alle Regioni, alle aziende sanitarie decidere se restare immobili o cogliere un’occasione epocale per riscrivere le regole della salute pubblica a partire dalla culla.
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