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03 Luglio 2025 - 15:25
“Se foste giornalisti, e non giornalai, vi chiedereste quanto costano da crude, quanto costa cuocerle e altre amenità che voi non vi chiedete. Ma non vi conviene cambiare mestiere? Perché questo proprio non fa per voi…”
Queste le parole, testuali, di Davide Turchetto, uno degli organizzatori della Festa dell’Unità, in risposta al nostro articolo che – con la colpevole arroganza del buon senso – si interrogava sul prezzo di 13 euro per una porzione di costine servita in una festa popolare. O che almeno dovrebbe definirsi tale.
Sorvoliamo per un momento sugli insulti gratuiti, che si qualificano da soli e che – più che colpire chi li riceve – svelano molto dell'ignoranza, della stupidità, del "bigottismo" di chi li pronuncia.
D’altronde, chi dirige un sito che registra più di 6 milioni di utenti unici all’anno non ha certo bisogno di certificati di professionalità da parte di chi confonde la politica con una fiera enogastronomica.
Lasciamo perdere le offese e concentriamoci sulle costine. Perché è proprio lì, nella carne arrostita sul barbecue, che si gioca oggi il senso (o meglio, la perdita di senso) della Festa dell’Unità.
Il ragionamento di Turchetto – se di ragionamento si può parlare – è questo: le costine costano care da crude, cuocerle costa ancora di più, quindi 13 euro è un prezzo onesto. Fine.
Il resto sono “amenità”, roba da giornalai. Cioè, secondo lui, la politica si misura con lo scontrina della Metro, la cultura con la temperatura della griglia, l’identità di sinistra con l’utile a fine serata. Cos'altro aspettarsi? In fondo, è lo specchio fedele della mutazione genetica della sinistra italiana: dal sogno collettivo al preventivo Excel.
Chi vi scrive – e questa non è nostalgia, ma memoria viva – è cresciuto in un'epoca in cui le Feste dell’Unità erano un pezzo d’estate, una presenza fissa, un riferimento.
Si facevano dappertutto: a Settimo, certo, ma anche a Torrazza, Brandizzo, Verolengo, Caluso, Ivrea. In alcuni comuni c’erano anche le Feste dell’Amicizia della DC, in altri entrambe. Due visioni del mondo che si confrontavano anche con la musica, il vino, le salamelle e le discussioni sotto i tendoni.
Ma con un punto fermo comune: i prezzi popolari. Perché quello era l’obiettivo. Raggiungere le persone. Coinvolgerle. Dare a chi non si poteva permettere una pizza al ristorante la possibilità di passare una serata in compagnia, con dignità e calore umano.
E allora sorge spontanea la domanda che oggi farebbe sghignazzare gli organizzatori: come facevano quei “compagni” a vendere una costina a meno del prezzo di mercato, perfino più bassa del crudo in macelleria?
La risposta è semplice: si autofinanziavano tutto l'anno. Come? Con la militanza. Ogni domenica mattina andavano casa per casa a vendere L’Unità, quotidiano di partito. E quei soldi finivano lì, nella festa. Si raccoglievano contributi dai parlamentari, dai consiglieri regionali, dai sindacati. Era una rete politica vera, concreta, fondata su un’idea: rendere la politica accessibile. Rendere la comunità protagonista. Fare una festa per il popolo, non sul popolo.
Oggi invece si fanno conti da catering, si calcolano i margini come fossimo a Eataly, si mettono i prezzi in base ai costi e si risponde con arroganza a chi osa ricordare com’era. Altro che “amenità”. Qui si è perso il senso profondo di quello che si stava facendo. E Turchetto, invece di accendere il "cervellino", se la prende con chi sottolinea un modo di operare che tutti gli anziani ricordano.
E allora sì, caro Turchetto, ha ragione: questo mestiere – quello di ricordare, denunciare, scrivere – non fa per lui. Non fa per chi ha dimenticato che una festa dell’Unità non è un ristorante. Non è un business plan. È – o dovrebbe essere – un momento di riconoscimento collettivo, in cui la politica smette di essere palco e torna a essere popolo.
Forse Turchetto i militanti veri non li ha mai visti. Quelli che si alzavano alle 7 di domenica per vendere giornali che pochi leggevano, ma che servivano a tenere in piedi un'idea. Quelli che montavano i tendoni, cucinavano per ore, lavavano i piatti a mano, prendevano ferie per dare una mano. Non per calcolare il costo esatto di una cottura a carbone, ma per dare valore sociale a ogni forchettata. Quelli che sapevano che la politica era servizio, non curriculum. Comunità, non carriera.
Ma oggi è diverso. Oggi si entra in politica “per obiettivi”. Li chiamiamo così per non essere volgari, ma tutti sappiamo a cosa ci riferiamo. Non c’è più l’idea di partecipazione, c’è quella di posizionamento. Non c’è la passione, c’è la gestione. E la festa diventa un evento per fidelizzare i clienti, non per abbracciare i compagni.
E allora sì, questa festa non ha più niente a che fare con quella che conoscevamo. Le costine a 13 euro sono una "bestemmia", ecco qual è la verità nuda e cruda. Sono una "vergogna". Sono solo la punta dell’iceberg. Il vero problema, qui, è l’amnesia. La rimozione sistematica della storia. Il disprezzo per chi la ricorda. Ed è forse, proprio per questo, che dà fastidio.
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