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In Consiglio si discute di Palestina e di Israele, sulla porta del consigliere spunta la frase: "Ebreo infame"

Matteo Doria chiama le forze dell'ordine. Si accende il dibattito a Chivasso

In Consiglio si discute di Palestina e di Israele, sulla porta del consigliere spunta la frase: "Ebreo infame"

In Consiglio si discute di Palestina e di Israele, sulla porta del consigliere spunta la frase: "Ebreo infame"

EBREO INFAME. Così, inciso con una lama o con un oggetto tagliente, sul portone di casa di Matteo Doria, consigliere comunale di Amo Chivasso e le sue Frazioni, residente in vicolo dell’Arco, a due passi da via Torino. Era appena rientrato da una seduta del Consiglio comunale quando ha scoperto quella scritta. Insieme ad altre incisioni meno leggibili. Parole che pesano. Parole che sanno di odio, di ignoranza, di barbarie.

Lo ha raccontato lui stesso in un post pubblicato sui social questa mattina: «Non ho origini giudaiche, ma ritengo vergognoso che nel 2025 si ritenga che l'appartenenza a una religione sia sinonimo di insulto». Un atto gravissimo, che ha subito denunciato alle forze dell’ordine. Sono partite le indagini e si stanno analizzando i filmati delle telecamere di sorveglianza. E' partita anche la corsa alla solidarietà, quella espressa dal presidente del Consiglio comunale Alfonso Perfetto (Pd) e dal consigliere della Città Metropolitana, nonché sindaco di Cavagnolo, Andrea Gavazza (Pd). 

Un’aggressione verbale, simbolica, quella subita da Doria. Che non trova giustificazioni. Non trova attenuanti. Ma che, al contrario, si inserisce in un contesto sempre più polarizzato.

Dove le guerre vere — quelle a migliaia di chilometri di distanza — producono echi distorti anche nei nostri quartieri. Dove la parola “ebreo” può ancora essere usata come insulto. E dove la politica, talvolta, non riesce a essere baluardo. O forse non vuole.

Perché proprio ieri sera, mentre qualcuno marchiava il suo portone con quella frase ignobile, in Consiglio comunale si discuteva proprio di Palestina e Israele. Una discussione tesa, profonda, a tratti accesa. Due i documenti al centro del dibattito: una petizione popolare sostenuta da Potere al Popolo e firmata da oltre cento cittadini chivassesi, e un ordine del giorno proposto dalla maggioranza di SEL, PD e Noi per Chivasso.

Due mozioni, due visioni della stessa tragedia.

Entrambi i testi si concentrano sulla guerra in corso a Gaza, sulle migliaia di morti civili, sulla violazione sistematica dei diritti umani. Ma con toni e contenuti radicalmente diversi.

La petizione di Potere al Popolo chiede al Comune di esprimere formalmente solidarietà al popolo palestinese, denunciando esplicitamente «il genocidio perpetrato dallo stato colonialista di Israele» e sollecitando la giunta a rispondere con un gesto concreto alla lettera inviata nel 2023 dal sindaco di Bethlehem in Cisgiordania, città gemellata con Chivasso dal 2016.

Nella petizione si parla di bombardamenti su civili, violenze documentate da Amnesty e ONU, allontanamento dei caschi blu da parte di Netanyahu, e si chiede che il Comune finanzi con almeno 1.000 euro progetti umanitari a Bethlehem, sostenuti da associazioni come UDAP e Rihannah Association. Una richiesta politica, ma anche civile, emotiva, urgente.

Dall’altra parte, l’ordine del giorno approvato dalla maggioranza prende una posizione più articolata e istituzionale. Condanna l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, ma denuncia anche l’«apocalisse umanitaria a Gaza», le violazioni del diritto internazionale da parte del governo israeliano e il silenzio assordante di Italia e Unione Europea.

Il documento richiama il voto dell’ONU per il riconoscimento della Palestina, l’adesione dell’Italia nel 2015 a una mozione simile, e si schiera a favore della prospettiva “due popoli, due Stati”. Ma soprattutto chiede al Governo Meloni:

  • di sospendere la vendita di armi a Israele;

  • di riconoscere la Palestina come Stato sovrano;

  • di appoggiare il piano arabo per la ricostruzione di Gaza;

  • e di sostenere i mandati di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e i leader di Hamas.

Un testo lungo, dettagliato, fortemente politico. E approvato dalla maggioranza con qualche distinguo interno, ma senza alcun voto della destra, né della lista civica.

A conti fatti, il Consiglio comunale ha respinto la petizione popolare e approvato l’ordine del giorno della maggioranza. Una scelta che ha lasciato l’amaro in bocca a chi ha raccolto firme tra i cittadini e si aspettava un gesto simbolico più netto. La differenza, sostanzialmente, sta tutta nel linguaggio e nell’impostazione.

La petizione parla apertamente di “genocidio” e “stato colonialista”. L’ordine del giorno evita quelle espressioni, ma non risparmia critiche severe al governo israeliano, fino a chiedere sanzioni e isolamento politico. Entrambi i documenti chiedono lo stop alla guerra, la tutela dei civili, la ricostruzione e il riconoscimento di uno Stato palestinese. Ma lo fanno con strumenti e strategie differenti. E la politica, si sa, si muove anche per sfumature.

Nel mezzo di tutto questo, resta il fatto: Matteo Doria - per tornare alla cronaca - era assente ad entrambe le discussioni. Non ha partecipato al voto, né ha preso parte alla discussione. Eppure, quella notte, ha ricevuto un messaggio inciso sulla porta di casa. Una frase che richiama l’antisemitismo più volgare. “Ebreo infame”. Parole che, nella mente di chi le ha scritte, forse volevano essere un’accusa, un insulto, una colpa. Parole che, in realtà, inchiodano chi le ha usate alla propria ignoranza. Alla propria miseria morale.

Doria stesso lo sottolinea: «Non sono ebreo. Ma trovo inaccettabile che lo si ritenga un insulto». E qui il cerchio si chiude. Perché se essere ebreo è considerato un’offesa, allora vuol dire che abbiamo perso. Tutti.

Chivasso è meglio di così. Ma deve dimostrarlo.

Lo ha scritto anche Doria: «Chivasso è meglio di così...». Ma deve dimostrarlo. Con atti. Con parole. Con prese di posizione. Non basta un ordine del giorno ben scritto. Non bastano le condanne a mezza voce. Serve uno scatto collettivo.

Perché se in una sola sera una città discute di Palestina e incide frasi antisemite sulle porte, allora significa che il virus dell’odio è tra noi. Che la guerra non è solo lontana. È qui, in controluce, nei commenti sui social, nei post condivisi senza pensare, nelle frasi sussurrate per strada.

La storia ci ha insegnato che l’odio non va mai sottovalutato. Che comincia da un insulto e finisce in tragedia. E che la pace — quella vera — non nasce dalla neutralità, ma dal coraggio. Dal dire le cose. Dal prendere posizione.

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