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13 Giugno 2025 - 15:22
Chiara Gaiola
Nel 2025, l’anno delle tecnologie intelligenti, dell’IA nei cellulari e del turismo spaziale in orbita, c’è ancora una scuola dell’infanzia a Settimo Torinese in cui i bambini trascorrono le giornate a 36,5 gradi. Non è uno scherzo. Non è un’iperbole. È la realtà certificata dalle immagini di un termometro digitale ThermoPro che segna, in modo impietoso, le condizioni in cui si trovano le classi della Scuola dell’Infanzia Munari.
Tre scatti, tre momenti diversi della giornata, tre temperature da collasso: 33,5°C con il 53% di umidità, 36,5°C con l’aria secca al 35%, e un ‘fresco’ 30,5°C con umidità al 62%. Una sauna continua, un forno senza tregua. Non è difficile immaginare il disagio dei piccoli e delle insegnanti. Ma forse bisogna aspettare che qualcuno svenga per prendere provvedimenti. Perché si sa, la prevenzione da noi è sempre una chimera, un’illusione.
“Aspettiamo che qualche bambino o maestra si senta male o peggio collassi dal caldo?” scrive giustamente una cittadina indignata. È una domanda che suona come un’accusa e che trova eco tra tanti genitori.
Nel frattempo, il frigorifero è rotto. Ma non da ieri: da giorni, settimane. Nessuno lo sostituisce. Così, addio acqua fresca, addio ghiaccio. I bambini bevono acqua tiepida o addirittura calda. In una giornata da oltre 35 gradi, con le classi che sembrano serre tropicali, si offre ai piccoli l’equivalente di un brodino estivo da campeggio. Ma con meno organizzazione e più rassegnazione.
E allora ci si domanda: ma davvero nel 2025 non siamo capaci di installare dei condizionatori?
In tempi di PNRR, di milioni investiti in efficienza energetica, di bonus edilizi, certificazioni green e nuove scuole “intelligenti”, ancora ci si arrende di fronte alla banale necessità di un impianto di climatizzazione. Evidentemente sì.
Chi dovrebbe intervenire? Il Comune, la Città metropolitana, la direzione scolastica? Poco importa a chi suda in aula, a chi cerca di spiegare una filastrocca con la testa che gira, a chi tenta di disegnare sotto un sole che spacca i vetri. Importa che qualcuno lo faccia. E lo faccia subito.
È finita l’epoca in cui si sopportava tutto con un “tanto poi passa”. I bambini non sono cittadini di serie B, e le insegnanti non sono martiri professionali. Sono persone. E meritano ambienti salubri. A maggior ragione in una scuola dell’infanzia, dove l’attenzione al benessere dovrebbe essere prioritaria.
Eppure, attenzione, questa non è una scuola qualunque. Questa è una scuola nella città di Elena Piastra, quella che non perde mai occasione per ricordarci che “Settimo è un modello di servizi all’avanguardia, che ci invidia tutto il mondo”.
Davvero? Se ci sta invidiando qualcuno, sarà sicuramente la Tunisia. Perché qui, altro che Nord Europa, si vive un’esperienza scolastica che dire da "terzo mondo" è dire poco.
E che dire dell’assessora con delega alle scuole, Chiara Gaiola? Scomparsa. Evaporata come l’ultimo sorso d’acqua fresca che non c’è. Nessuna dichiarazione, nessuna visita alla scuola, nemmeno una storia Instagram con i bimbi sudati.
Forse troppo impegnata a scrivere post sulle meraviglie del servizio mensa? O forse, semplicemente, l'afa ha disattivato anche la delega.
Nel frattempo sui social istituzionali fioriscono post sulle panchine, i fiori nei parchi e l’ennesima fiera dell’innovazione. Ma di condizionatori, neanche l’ombra. Naturalmente, quando si fanno domande, qualcuno si affretterà a rispondere con il solito disco rotto: “Le competenze non sono nostre, la manutenzione spetta ad altri, abbiamo già attivato le procedure, ci stiamo lavorando... Abbiamo comprato il frigo ma non è arrivato...” Bla bla bla. E poi ancora bla, bla, bla... Loro non c'entrano mai nulla ed è quasi inutile chiedersi che cosa ci stiano a fare a palazzo..
Lo sapete che c'è? CHISSENEFREGA.
La verità è semplice incandescente: non ci si può permettere che una scuola dell’infanzia sia trasformata in un forno estivo. Non si può tollerare che i piccoli restino ore chiusi in aule bollenti senza neppure l’ombra di un condizionatore. E soprattutto, non si può continuare a vendere un’immagine patinata di città perfetta quando mancano le basi: acqua fresca, refrigerazione, decenza.
La denuncia non è solo uno sfogo, è un appello. Un grido d’allarme, ma pieno di senso comune. Se l’acqua è calda, il frigo è rotto e il termometro supera i 36 gradi, allora qualcosa – anzi, tutto – non va.
E se davvero non si riesce a installare un condizionatore, almeno si abbia il pudore di non parlare più di “modello Settimo”.
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