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10 Giugno 2025 - 17:29
Francis Delacroix in un autoritratto
Si chiama Francesco Cerutti, ma tutti lo conoscono come Francis Delacroix. Classe 1995, originario di Volpiano, cintura torinese. Un paese che fatica a contenere i sogni. Lui, di sogni, ne ha fatti valigie intere. E li ha portati a spasso per il mondo: Los Angeles, Milano, Firenze. Ma la storia di Francis non è solo un viaggio fisico. È una parabola assurda, poetica, sfrontata. Una di quelle che ti fanno chiedere: ma è tutto vero? Eppure è proprio lì che sta il punto.
Perché Francis Delacroix, come dice Lucio Corsi, “è il bugiardo più autentico che abbia mai conosciuto”, che racconta verità più profonde di tante confessioni sincere.
Lo capisci subito, appena guardi le sue foto. O ascolti la canzone che Lucio gli ha dedicato, un pezzo che è già culto: Francis Delacroix, contenuta nell’album Volevo essere un duro. Un brano che non è solo una dedica, ma un piccolo poema surrealista che trasforma la vita di Francis in leggenda metropolitana. Con un ritmo narrativo che ricorda Fellini, Jodorowsky, Kerouac e un tocco di magia da western psichedelico.
Tutto comincia con un ragazzo che sente forte l’urgenza di creare. Di raccontare storie con l’obiettivo.
Nel 2016 Francis prende un biglietto di sola andata per Los Angeles. Lì si infila nel mondo dell’hip hop alternativo, frequenta il collettivo Odd Future – quello di Tyler, The Creator – e inizia a fotografare come se avesse venti occhi.
Immagini sporche, vive, sincere. Piene di quella sensibilità ruvida che nasce solo se sei cresciuto tra cemento, pioggia e voglia di scappare.
Ma Francis non resta a lungo fermo. Il suo obiettivo si sposta, il suo nome comincia a circolare. A Milano entra nel giro della moda e della trap. Scatta per Dark Polo Gang, Tedua, Psicologi, Tauro Boys. Ma non è il classico fotografo patinato da backstage. Lui è un viaggiatore dell’immaginario.
Nel frattempo collabora anche con Moschino, LuisaViaRoma, SSENSE. Ma non si fa incasellare. È artista, storyteller, provocatore. Pubblica fanzine, espone, si sdoppia tra shooting editoriali e progetti underground. Non cerca il riconoscimento, cerca la vibrazione.
Quello che rende Delacroix unico è la sua estetica eclettica. Un misto di decadenza e futuro, di flash sparati in faccia e malinconia vintage. I suoi scatti sembrano rubati a un sogno tossico. Ragazzi che sembrano santi, modelle che sembrano uscire da un rave post-nucleare. Ogni foto è un pezzo di vita raccontato senza didascalie.
Nel suo lavoro si sente forte la lezione dei fotografi di strada americani, ma anche una componente tutta italiana: teatrale, barocca, cinematografica. È come se i suoi soggetti non fossero mai del tutto veri, ma nemmeno completamente inventati.
Lo stesso vale per la sua persona. Francis Delacroix è un personaggio, ma è anche reale. Uno che gioca a fare il misterioso ma poi racconta di sé senza freni. Uno che posta scatti intensissimi e poi scrive didascalie deliranti. Uno che può apparire in un video di moda e la sera dopo finire a ballare in un capannone abbandonato.
Poi arriva Lucio Corsi. Musicista toscano, anche lui un personaggio in bilico tra favola e realtà. Lo incontra, lo frequenta, se ne innamora artisticamente. E decide di scrivere una canzone.
Francis Delacroix è un talking blues che racconta un viaggio assurdo con un personaggio surreale. Un viaggio con Francis che in realtà diventa viaggio dentro noi stessi.
Corsi canta:
“Siamo partiti per la Florida in macchina, ma ci siamo fermati a Prato perché Francis voleva comprare una camicia”.
Tutto è esagerato, tutto è metafora. Ma tutto è, in fondo, vero.
Lucio lo dice chiaramente: “Ho preso spunto da cose che Francis ha davvero fatto, ma poi ho lasciato che la fantasia facesse il resto. La realtà con lui è sempre ambigua, e questo mi affascina.”
E infatti Francis appare anche in un’altra canzone dello stesso album: Situazione complicata. È ovunque, come un’ombra, come un’eco. Come uno che attraversa le storie degli altri e le rende più vive.
Quello che colpisce, parlando di Francis Delacroix, è che non ci sono confini netti. È fotografo, performer, storyteller, presenza scenica. È la prova che oggi l’identità artistica è liquida, mutante, instabile.
Nel suo percorso si mescolano fotografia, scrittura, design, musica, moda. Ma più che un “multidisciplinare” – termine ormai abusato – lui è uno che vive l’arte come modo per esistere. E non come prodotto da vendere.
Basti pensare ai suoi post su Instagram: veri flussi di coscienza, tra diario personale, poesia dadaista e frecciate alla società. In un mondo dove tutti cercano like, Francis cerca senso.
Eppure, tra un aereo e un festival, Francis ogni tanto torna lì, a Volpiano. Quel paesino di periferia che sembra lontano anni luce da tutto ciò che fa. Ma che forse è proprio il luogo da cui attinge. Dove ritrova le radici. Dove ancora resiste quella noia buona, quella che ti fa venire voglia di inventarti una vita alternativa.
Chi lo conosce da sempre lo dice con un sorriso: “Francis era uno strano anche da ragazzino. Si vestiva diverso, parlava strano, faceva foto alle cose che noi manco vedevamo”.
E oggi quella stranezza è diventata linguaggio. È diventata stile. È diventata identità.
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Alla fine, quello che Francis Delacroix rappresenta è qualcosa di necessario. È la figura dell’outsider creativo in un mondo che tende all’omologazione. È uno che non vuole spiegarti le cose, ma fartene sentire il peso.
Uno che usa l’ironia per dire cose serissime. Uno che si inventa storie per raccontare meglio la realtà.
Uno che, come scriverebbe Pasolini, non è moderno perché non si rassegna a essere moderno.
Ed è forse per questo che oggi tanti artisti, da Lucio Corsi in giù, gli rendono omaggio. Perché in un mondo dove tutti sono “qualcosa”, Francis Delacroix è qualcuno.
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