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01 Giugno 2025 - 11:57
PFAS nel vino: i dati shock che allarmano l’Italia e il Piemonte
Il vino non è solo una bevanda. È cultura, storia, territorio, identità. È ciò che unisce una vigna alle mani di chi la coltiva, una tavola alla voce di chi racconta. È simbolo di civiltà millenarie, orgoglio nazionale, potenza economica e poesia in bottiglia. Ma oggi quel legame ancestrale tra uomo e natura è minacciato da un nemico che non si vede, non si sente e non si annusa: i PFAS.
Li chiamano “inquinanti eterni”, e mai definizione fu più azzeccata. I PFAS – composti perfluoroalchilici – sono sostanze chimiche artificiali utilizzate dall’industria in moltissimi settori, dalla produzione di padelle antiaderenti ai tessuti impermeabili, dai cosmetici ai pesticidi. Il loro potere repellente verso l’acqua e il grasso li ha resi utilissimi. Ma il prezzo da pagare è altissimo: una volta dispersi nell’ambiente, i PFAS non si degradano e si accumulano ovunque. Nell’aria, nell’acqua, nel suolo. E ora anche nel vino.
A dirlo non sono attivisti o ambientalisti catastrofisti, ma un’indagine scientifica solida e allarmante: Message from the Bottle, realizzata da Pesticide Action Network Europe, che ha analizzato 49 vini provenienti da dieci Paesi europei, Italia compresa. I risultati? Più che preoccupanti. Il vino europeo è contaminato da TFA – acido trifluoroacetico – un composto che deriva proprio dalla degradazione di pesticidi contenenti PFAS o da gas fluorurati industriali.
I numeri parlano da soli. Su 39 vini prodotti tra il 2021 e il 2024, quasi tutti contenevano TFA, con una media di 122 microgrammi per litro e picchi che toccano i 320 µg/l. Una quantità circa 100 volte superiore alla concentrazione media riscontrata nell’acqua potabile. A fare da contraltare, i dieci vini d’epoca (imbottigliati prima del 1988) risultavano invece totalmente privi della sostanza.
Tra le nazioni messe peggio c’è l’Austria (156 µg/l), seguita da Francia e Belgio. Ma anche l’Italia compare nella lista nera: un Chianti con 120 µg/l, un Prosecco con 69 µg/l, un Kalterersee altoatesino con 43. La sorpresa più amara? Tutti e cinque i vini biologici analizzati contenevano TFA, anche se con valori inferiori.
E se a livello nazionale la questione è già uno schiaffo alla nostra identità agroalimentare, in Piemonte assume contorni preoccupanti. Qui il vino è molto più di un prodotto: è una bandiera. Barolo, Barbaresco, Barbera, Dolcetto, Nebbiolo, Arneis, Moscato. Doc e Docg che fanno girare il mondo e l’economia. Il Piemonte è la seconda regione italiana per valore dell’export vitivinicolo, con un mercato da quasi 1,3 miliardi di euro. Ma è anche una delle aree più colpite d’Italia – insieme al Veneto – dalla contaminazione da PFAS.
Già nel 2023 l’Istituto Superiore di Sanità aveva lanciato l’allarme: “I PFAS sono presenti in quantità significative nelle acque sotterranee di alcune zone del Piemonte, in particolare nell’area metropolitana di Torino, nel Canavese e nel Monferrato”. Tradotto: territori dove la viticoltura è radicata, e dove l’acqua contaminata potrebbe finire irrimediabilmente nei terreni agricoli, quindi nelle uve, quindi nel vino.
Che cosa sono esattamente questi PFAS? Sigla di per- and polyfluoroalkyl substances, comprendono oltre 4.700 molecole chimiche. La loro caratteristica principale è la resistenza alla degradazione, tanto da essere ribattezzati “forever chemicals”. Ma non sono eterni solo nell’ambiente. Sono anche bioaccumulabili: si insinuano negli organismi viventi e lì rimangono.
Numerosi studi hanno già collegato l’esposizione ai PFAS a una lunga serie di patologie: tumori ai reni e ai testicoli, disfunzioni tiroidee, colesterolo alto, diabete, infertilità, ritardi nello sviluppo fetale. Il TFA, nello specifico, è stato considerato a lungo “poco preoccupante”. Ma una ricerca pubblicata nel 2021 ha dimostrato che può causare gravi malformazioni nei conigli in gravidanza. E se danneggia un feto animale, come possiamo escludere un effetto simile sugli esseri umani?
L’altro dato che fa riflettere è lo scarto tra passato e presente. L’indagine aggiorna un’analisi del 2017 condotta dal laboratorio tedesco Cvua di Stoccarda per conto della Commissione Europea, in cui 27 vini mostravano una media di 50 µg/l. Oggi siamo più che raddoppiati. E il futuro, se non si interviene, è destinato a peggiorare.
Come se non bastasse, il 94% dei vini non biologici è risultato contaminato da pesticidi tradizionali, con anche otto principi attivi diversi nella stessa bottiglia. Nei vini bio va meglio: quattro su cinque non contenevano pesticidi. Ma il TFA non guarda in faccia a nessuno. Nemmeno all’agricoltura biologica.
“I risultati sono estremamente preoccupanti” ha dichiarato Helmut Burtscher-Schaden, chimico ambientale di Global 2000 e tra i promotori dello studio. Gli fa eco Salome Roynel di Pan Europe, che chiede “il ritiro immediato di tutti i composti che rilasciano TFA”.
E anche dalla politica arriva un appello forte. “La chimica industriale sta inquinando anche il nostro vino. L’Italia, primo produttore mondiale, dovrebbe considerare la questione come una priorità nazionale e sollecitare l’UE a intervenire per proteggere salute, agricoltori e consumatori” ha tuonato Cristina Guarda, europarlamentare di Europa Verde.
Ma nel frattempo, cosa succede nei campi? Cosa possono fare i produttori piemontesi per difendere un patrimonio che vale milioni di bottiglie e migliaia di posti di lavoro?
La risposta, purtroppo, non è semplice. Alcuni stanno già investendo in sistemi di fitodepurazione naturale, altri chiedono un controllo serrato sulla qualità delle acque irrigue. Ma senza una legge chiara, senza uno stop europeo all’uso dei PFAS nei pesticidi, senza una bonifica seria delle falde contaminate, tutto questo potrebbe non bastare.
Il Piemonte del vino – quello delle Langhe e del Monferrato, delle cantine centenarie e delle colline Patrimonio Unesco – rischia di diventare un simbolo beffardo: l’eccellenza che si avvelena in silenzio.
In fondo, un vino contaminato da PFAS non lo si può riconoscere dal colore, né dal profumo. Solo il laboratorio può dirlo. Ma se oggi non scegliamo da che parte stare – dalla parte della terra o da quella del profitto tossico – domani rischiamo di brindare all’estinzione di ciò che di più prezioso ci lega alla nostra storia.
Cin cin. Finché dura.
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