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Ombre su Torino

Nel cuore della notte, con il sangue addosso

Tra seduzione, violenza e vendetta: il dramma di Francesco Salvaggio nella Torino degli anni '60

Morire per salvare l'onore della propria sorella.

Senza possibilità d’uscita.
Ha vagato come un’anima in pena in una città che lo aveva accolto nella maniera migliore possibile ma che, all’improvviso, sembra essersi trasformata in una trappola per topi.

Non sa dove andare, dove nascondersi e sente sul collo il fiato di un branco di predatori inferociti. Non ha paura della polizia, del processo, di passare decenni in galera ma che l’odore del suo sangue possa attirare delle bestie, se possibile, ancora peggiori di lui.

È la notte tra il 21 e il 22 maggio 1962 e Francesco Salvaggio si è rifugiato sotto un ponte alla Basse di Stura, Torino nord. Ha la testa spaccata da una ferita che gli solca la fronte e che lo trasforma in un Pollicino che lascia dietro di sé tracce ematiche invece che molliche e che, oltretutto, gli ha fatto salire una violentissima febbre.

Cammina avanti e indietro come se fosse un padre fuori da una sala parto, nel silenzio assoluto della periferia, girandosi di scatto al più piccolo dei rumori, terrorizzato come se fosse l’ultimo suo istante di vita.


Non fa niente di diverso per un tempo che sembra infinito. Quattro, cinque, sei ore, fino all’alba. È a quel punto che, dopo essersi reso irriconoscibile calandosi un cappello fino agli occhi e tirandosi il più possibile su il bavero della giacca, risale su corso Giulio Cesare e si ferma alla prima edicola. Compra La Stampa, la apre e a pagina 2 trova la sua foto. Da quel momento, ufficialmente, è un omicida latitante.


Sconvolto e impaurito ritorna nel suo precedente nascondiglio dove resta fino alle 23 di quel giorno. Suicidarsi sembra la soluzione più facile e risolutiva. Ci pensa seriamente, tenta di trovare il metodo più rapido ma poi gli manca il coraggio e, soprattutto, lo distrugge dentro l’idea di dare un dispiacere simile a sua madre.


Così, dopo 26 ore di latitanza, decide che ne ha abbastanza e va a consegnarsi ai carabinieri di Barriera di Milano.


Sembra una storia semplice, lui, lei, l’altro ma poi, come spesso accade, non è esattamente solo questo.


Giacomo Carluccio e Francesco Salvaggio sono colleghi in fabbrica e, da qualche tempo, si frequentano anche al di fuori dei turni. In particolare, Francesco si trova spesso a passare a casa di Giacomo: mangiano insieme, si fumano qualche sigaretta, fanno un paio di partite a carte. Il motivo vero, indicibile, però, è che Salvaggio ha un’insana passione per la moglie di Carluccio, la ventiduenne Bruna Spampinato.


Quest’ultima, sposatasi adolescente sette anni prima, nota immediatamente la pervicacia con cui Francesco la scruta, come la segua con lo sguardo per tutto l’alloggio, come venga assecondata in qualsiasi richiesta ma, in alcun modo, cede alle avances.

Nonostante questo, tuttavia, non nasconde al compagno di lavoro del marito che la loro relazione non è felicissima come si potrebbe pensare. La coppia, che ha due figli e conta sul solo stipendio di lui, naviga in brutte acque economicamente parlando, ma il problema non è solo quello. Bruna lo ha confessato a Salvaggio ma anche la polizia ne è a conoscenza da diversi anni: Carluccio ha le mani pesanti, picchia la ragazza per futili motivi e più di una volta è stato segnalato alle forze dell’ordine senza che però si arrivasse alla separazione.


È in questo spiraglio che si infila Francesco. Accompagna una corte sempre più serrata a proposte concrete per cambiare l’esistenza alla giovane. Le chiede di scappare con lui, di lasciare marito e bambini, di trovare il coraggio di andare davanti a un giudice e di ricominciare una nuova vita senza pensieri e senza violenza. E non sono solo chiacchiere perché Salvaggio mette mano al portafoglio e, nel giro di qualche settimana, arriva a prestare circa centomila lire all’amata che, nel 1962, rappresentano un paio di mensilità di stipendio di un operaio. Nel dettaglio, gliene dà ventimila proprio per recarsi in tribunale e pagare le pratiche per la separazione, ricevendo in garanzia un’aspirapolvere e un taglio d’abito.


Ma non è abbastanza, Bruna non trova il coraggio di abbandonare la famiglia, non senza un motivo che non le attiri le critiche dei parenti e della società dell’epoca.

Presto detto, Salvaggio ha una soluzione per tutto. Ingaggia una certa Carmela che, in cambio di denaro, accetta di vestire i panni della seduttrice e di farsi sorprendere in atteggiamenti ambigui in compagnia di Giacomo Carluccio.

Francesco la accompagna a casa del collega, li lascia da soli e avverte la Spampinato che, dopo dieci minuti, si presenta nell’abitazione scoprendoli. Qui, dopo una scenata furiosa, la ventiduenne ottiene l’ammissione di colpa dal marito: andranno dall’avvocato la settimana successiva.

A questo punto la strada, per Salvaggio, sembra essersi messa in discesa. C’è il solo piccolo particolare che, nonostante tutto, Bruna con lui non ci si vuole mettere proprio. Probabilmente ha fiutato che sarebbe finito dalle mani di un violento a quelle di qualcuno di ancora peggiore o, forse, le è bastato ascoltare che tipo di futuro ha in serbo per lei il suo corteggiatore.

Questi, infatti, le prospetta, una volta abbandonato il tetto coniugale, che il modo per farle fare una vita “più comoda, elegante e piacevole senza l’aiuto del marito” sarebbe stato prostituirsi con dei clienti individuati dal suo nuovo amante/protettore, in un alloggio che era già stato affittato a tale scopo.


Sdegnata e offesa, Bruna insorge nei confronti di Francesco che, di tutta risposta, le chiede indietro tutti i soldi che le aveva prestato, minacciandola, in caso contrario, di ucciderla a coltellate.
La Spampinato, allora, racconta tutto a Carluccio ed è per questo motivo che, il mattino del 16 maggio 1962, i due contendenti si trovano a mo’ di duello rusticano, in un luogo deserto vicino alla Stura. Carluccio si presenta a mani vuote, l’altro, effettivamente, con un lama. I due si accapigliano, finiscono uno sull’altro, rotolano verso il fiume ma, alla fine, Giacomo riesce ad avere la meglio e Salvaggio viene messo in fuga.

Ma non finisce qui.
Il 20 maggio Bruna Spampinato riceve una lettera anonima della quale, tuttavia, intuisce immediatamente il mittente. Al suo interno viene richiesta la restituzione immediata di 37 mila lire e, in calce, è firmata “Il tuo nemico”.

È a questo punto che, a parte a Giacomo, ne parla anche a sua madre. La signora incarica gli altri due figli, Ernesto di 27 anni e Aldo di 18, di rintracciare Salvaggio e dargli una lezione.


Il giorno della resa dei conti è il seguente e i fratelli individuano il corteggiatore della sorella in una cremeria al 103 di corso Vercelli. L’uomo è dentro che sorseggia un caffè e la musica di un juke-box è come se isolasse la scena da qualsiasi rumore.

Quando l’operaio saluta ed esce in strada, dall’ombra del palazzo di fianco esce fuori Ernesto che, armato di pesante chiave per svitare i bulloni delle ruote delle auto, senza dire una parola lo colpisce prima ad un braccio e poi alla testa ferendolo gravemente. La reazione di Salvaggio è fulminea: fruga in tasca, prende il coltello in mano e colpisce il suo aggressore con un unico fendente che gli spacca il cuore. Ernesto Spampinato lascia cadere la chiave, si contorce e riesce solo ad urlare “aiuto, muoio”. Il fratello, che lo attendeva in macchina, lo carica e lo porta alla vicina Astanteria Martini ma non c’è nulla da fare.

Salvaggio scappa in moto ma tutti sanno che è lui il colpevole e la sua faccia è già sul giornale il giorno dopo. Si consegna dopo 26 ore di latitanza, soprattutto per la paura che, prima delle forze dell’ordine, gli potessero mettere le mani addosso i parenti della vittima. Delle bestie probabilmente ancora peggiori di lui, attirate dal suo sangue.

A processo l’anno successivo, crollata in istruttoria la tesi della legittima difesa (i giudici stabiliranno che in alcun modo l’aggressione subita avrebbe giustificato l’uso del coltello da parte dell’assassino) Salvaggio finisce a processo per omicidio volontario, mancata estorsione e per aver cercato di spingere Bruna Spampinato al vizio.


A fronte di una richiesta di pena di 27 anni, riconosciuta l’attenuante della provocazione, viene condannato a 15 anni e 8 mesi di reclusione.

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