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22 Maggio 2025 - 22:29
Matteo Chiantore, sullo sfondo la piscina
Chiuderà il 7 o l’8 giugno, con l’ultima bracciata dei corsi delle associazioni. Poi, calerà il silenzio. Per almeno un anno, la piscina comunale di Ivrea – uno degli impianti sportivi più amati, frequentati, vissuti della città – sarà soltanto un ricordo. Uno scheletro chiuso dietro i cancelli, mentre fuori centinaia di cittadini si chiederanno quando, e soprattutto come, riaprirà. Perché oggi non lo sa nessuno. Non l’amministrazione comunale, non le associazioni sportive, non le famiglie, nemmeno quei nuotatori abituati a immergersi nell’acqua d’inverno come d’estate, prima del lavoro, dopo la scuola, per un corso di riabilitazione, una lezione di nuoto sincronizzato, un esercizio di resistenza.
Il Comune ha annunciato un progetto ambizioso: riqualificare l’impianto e affidarlo in gestione a un soggetto esterno, attraverso una procedura di partenariato pubblico-privato.
Una formula che sulla carta dovrebbe garantire investimenti, continuità del servizio, modernizzazione. Ma nei fatti, almeno per ora, genera più dubbi che certezze. Perché intorno a questa operazione – costosa, complessa, tecnicamente delicata – restano ombre fitte. Si parla di efficienza, di sostenibilità, di tempi più rapidi rispetto alla gestione pubblica. Ma nelle corsie e negli spogliatoi ormai fatiscenti della piscina di via Campo Sportivo, la parola che circola è una sola: incertezza.
Il sindaco Matteo Chiantore, intervenuto durante un recente consiglio comunale, ha ammesso senza troppi giri di parole che la situazione è diventata ingestibile: due soli assistenti di corsia, un amministrativo, un servizio di pulizie ridotto all’osso, guasti continui, attese interminabili per riparazioni banali.
“Rompono i phon e nessuno ha visto nulla”, ha detto con amarezza, denunciando una gestione ormai fuori controllo, priva di figure responsabili e di mezzi. “Non sono Mosè e non riesco a dividere l’acqua”, ha aggiunto, cercando di sdrammatizzare. Ma la battuta non ha fatto ridere nessuno. Perché il disagio è reale. E il futuro, per ora, è una promessa sospesa.
In questo contesto si è fatta avanti la società In Sport, con sede a Vimercate, attiva in nove impianti del Nord Italia – da Biella a Crescentino, da Arcore a Valdilana – e interessata a presentare una proposta entro giugno.
Se l’iter non si inceppa, se nessuno solleva obiezioni, se tutto va liscio, il Comune pubblicherà un bando entro l’estate e affiderà la struttura in concessione. I lavori dovrebbero partire dopo l’estate, con l’obiettivo di riconsegnare la piscina alla città tra l’autunno del 2026 e l’inizio del 2027. Ma è un calendario tutto da verificare. E se il progetto non dovesse concretizzarsi, ha detto Chiantore, sarà il Comune a farsene carico direttamente. Una soluzione che prevede tempi più lunghi, costi più alti, e un ulteriore fardello sulle casse pubbliche, già oggi schiacciate da un impianto che costa 450 mila euro l’anno e incassa poco più di 210 mila.
Nel frattempo, si cerca di mettere una pezza. Il Comune sta prendendo contatti con le piscine private di Ivrea – La Serra e Aqua Gymn – e con impianti di Caluso, Rivarolo, Biella e Crescentino, per affittare corsie da girare alle associazioni locali durante il periodo di chiusura. Un’operazione da 50 mila euro, che però non garantisce nulla sul fronte dell’inclusione e dell’accessibilità. Perché spostare altrove i corsi è una soluzione logistica, non sociale. E non tiene conto delle fragilità, delle disabilità, dei percorsi terapeutici che in quella vasca – giorno dopo giorno – sono diventati vita.
Ed è proprio su questo punto che si è accesa la protesta. Tra le altre quella di Emma Bindello, che su change.org ha lanciato una petizione che ha già raccolto oltre 1500 firme. Un documento preciso, doloroso, appassionato. Un appello alla città e all’amministrazione comunale per evitare lo smantellamento, anche solo temporaneo, di un presidio pubblico che ha accolto generazioni. La petizione non si limita a chiedere rassicurazioni: pretende un cambio di rotta. Chiede che la gestione, anche se affidata a un privato, mantenga inalterati i diritti acquisiti delle associazioni, soprattutto quelle che lavorano con le persone con disabilità. Che vengano coinvolti davvero – non solo ascoltati – gli operatori e le realtà locali. Che si pensi a una ristrutturazione per fasi, evitando la chiusura totale. Che si garantisca trasparenza sui tempi, sui fondi pubblici impiegati, sui criteri di selezione del gestore.
La voce che emerg è di una comunità che non si sente più rappresentata. “Ivrea è conosciuta in tutto il mondo per la Olivetti e per il Carnevale. Non può non avere una piscina comunale”, si legge. E non è retorica. È un grido di appartenenza, un bisogno reale di spazi pubblici accessibili, inclusivi, solidali. La piscina, per Ivrea, è molto più di un impianto sportivo. È luogo di socialità, di cura, di riscatto. È memoria. È futuro.
Chiuderla è facile. La si chiude con una delibera, con un cantiere, con un nastro bianco e rosso all’ingresso. Riaprirla bene – con lo stesso spirito di servizio, con lo stesso respiro pubblico – sarà molto più difficile. Perché il rischio concreto è che, nel nome dell’efficienza e del contenimento della spesa, si trasformi un bene comune in un servizio a pagamento, un luogo di comunità in un’azienda, una risorsa in un problema.
Ora la palla, o meglio la boa, è nelle mani del Comune. Dovrà scegliere se affrontare questa sfida guardando avanti, oppure limitarsi a rattoppare. Ivrea può trasformare la crisi della sua piscina in un modello virtuoso di riqualificazione partecipata. Oppure condannarsi da sola a perdere un altro pezzo della propria identità.
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