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Lavorare o morire: il dramma silenzioso degli infortuni in Canavese

La CGIL: “Basta morti e feriti. La sicurezza è un diritto, non un favore”

Lavorare o morire: il dramma silenzioso degli infortuni in Canavese

Sarah Pantò, Cgil Torino

Un torace schiacciato da un macchinario. Un volo di tre metri dal tetto di una casa in ristrutturazione. Due giovani operai feriti mentre stavano lavorando. È accaduto in meno di 24 ore, a pochi chilometri di distanza, in Canavese. Due gravi infortuni che accendono nuovamente i riflettori su un'emergenza che in Italia non fa più notizia, ma continua a riempire reparti d’urgenza e bollettini sindacali: la strage silenziosa degli infortuni sul lavoro.

Il primo episodio è avvenuto lunedì sera, 12 maggio, in una ditta di Baldissero Canavese specializzata nella produzione di pellet. Un tecnico di 47 anni, residente nel Bergamasco, stava effettuando una manutenzione su un macchinario industriale. Un attimo. Una distrazione, una manovra errata, una procedura forse non sicura. L’uomo è stato travolto da una componente della macchina che gli ha schiacciato il torace. Le sue condizioni sono apparse subito gravi. L’elisoccorso lo ha trasportato al CTO di Torino. È vivo, ma la prognosi resta riservata. Il suo corpo dovrà sopportare cure lunghe e dolorose. La sua mente, un trauma ancora più profondo.

Il secondo incidente è accaduto poche ore dopo, la mattina del 13 maggio, a Castellamonte. Un operaio edile di 26 anni era impegnato nella ristrutturazione di un cascinale. Stava lavorando sul tetto, a diversi metri di altezza. Un attimo. È precipitato nel vuoto attraverso una botola. Il giovane è rimasto cosciente, ma ha riportato gravi lesioni alle gambe. Anche lui è stato trasportato in elicottero a Torino. Si salverà. Ma a che prezzo?

Due storie diverse, una sola realtà: lavorare in Italia, nel 2025, può ancora significare mettere a rischio la propria vita. Non per una fatalità, ma per l’assenza strutturale di una cultura della prevenzione, per il mancato rispetto delle norme, per la superficialità nei controlli, per la mancanza di investimenti nella sicurezza.

La CGIL Torino non ci sta. Con un comunicato durissimo, firmato dalla segretaria Sarah Pantò, lancia l’allarme: “In Italia gli infortuni sono all’ordine del giorno. Solo in Piemonte, nel 2024, le denunce presentate sono già 35.447: un dato sconvolgente e inaccettabile. Serve un cambio di rotta perché la sicurezza non è un optional ma un diritto.”

Il sindacato parla chiaro: sono indispensabili controlli seri, efficaci e soprattutto diffusi. È necessaria una formazione continua. Ma è altrettanto urgente una partecipazione collettiva, una consapevolezza che parta dal basso e coinvolga lavoratori, datori di lavoro, istituzioni. Perché non basta indignarsi. Bisogna cambiare.

Infortuni sul lavoro

E l’occasione, secondo la CGIL, arriva l’8 e 9 giugno, quando i cittadini saranno chiamati a votare per i referendum sul lavoro: “Con il referendum si potrà finalmente scegliere un lavoro sicuro e dire basta agli infortuni”, scrive ancora Pantò.

Nel frattempo, le indagini per chiarire le responsabilità dei due incidenti sono in corso. I tecnici dello Spresal dell’Asl TO4 e i Carabinieri stanno raccogliendo elementi per capire cosa non ha funzionato, se ci siano state violazioni delle norme, se quei due lavoratori sono stati mandati al macello da una filiera cieca e colpevole.

Ma, al di là delle indagini, resta una domanda: quanto vale oggi la vita di un operaio?

Il Canavese, terra di lavoro e fatica, di fabbriche e cantieri, sta diventando ogni giorno di più il teatro di un bollettino di guerra. Una guerra silenziosa, fatta di corpi rotti, famiglie disperate e troppe parole inutili. Una guerra che si combatte solo con la verità e con il coraggio di cambiare.

Perché non è normale rischiare la vita per produrre pellet o rifare un tetto. Non è accettabile che un giovane cada da un’impalcatura senza che nessuno si chieda perché. Non è più tollerabile che la sicurezza venga considerata un costo, e non una condizione minima di civiltà.

È ora di dirlo forte: la sicurezza non è un favore. È un diritto. È la linea rossa tra lavoro e sfruttamento. Tra dignità e abbandono.

E ogni incidente, ogni schianto, ogni corpo ferito dovrebbe ricordarcelo.
Ma lo stiamo ascoltando davvero?

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