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Parco Berlinguer: vergogna nazionale. Alberi piegati in due

Da simbolo della sostenibilità a desolante esempio di degrado urbano: il progetto da 1,5 milioni del Parco Berlinguer a Settimo si trasforma in un boomerang per l'amministrazione

Parco Berlinguer: vergogna nazionale. Alberi piegati in due

Ci sono storie che iniziano con le migliori intenzioni e finiscono come uno spettacolo grottesco. È il caso del famigerato ampliamento del Parco Berlinguer a Settimo Torinese, un progetto che doveva essere il simbolo della sostenibilità urbana e che invece rischia di diventare una “vergogna nazionale”.
Anzi no, lo è già.

Lo abbiamo già denunciato in più occasioni, senza mezzi termini. L'ultimo articolo risale a marzo, ma evidentemente non è ancora abbastanza.

alberi

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Il progetto che avrebbe dovuto trasformare un’area dimenticata in uno dei tanti polmoni verdi della città si è infatti rivelato per quello che è: un enorme sperpero di denaro pubblico, una colossale operazione di facciata, buona solo per i render 3D, i post con i cuoricini degli "amici di Piastra", e le narrazioni da campagna elettorale permanente.

Oggi, mentre il silenzio istituzionale continua, le immagini pubblicate da un cittadino su Facebook parlano da sole. E lo fanno con più onestà di qualunque comunicato dell’assessore Alessandro Raso, ormai specializzato in metafore zen, ma drammaticamente assente – o peggio, complice – del degrado dilagante.

Alberi piegati. Erba alta che supera le ginocchia. Percorsi impraticabili. Tutto abbandonato da mesi.

Ecco cosa resta del grande “raddoppio del verde” tanto sbandierato. Altro che miglioramento ambientale e qualità dell’aria: qui si respira solo frustrazione e senso di presa in giro.
Frustrazione per chi vive Settimo, per chi ha occhi per vedere – e non vede né rigenerazione né visione ecologica. Solo una giungla senza cura né dignità.

E la cosa più grave è che non stiamo parlando di un problema di manutenzione ordinaria. Qui sembra esserci una scelta politica precisa: non intervenire, lasciare che il degrado venga percepito come parte del progetto.
Come se la natura trascurata fosse una virtù.
E lo sarebbe, forse, se la si fosse lasciata in pace, con le sue gaggie che crescono felici un po' ovunque in Piemonte.
Non lo è quando si spendono soldi pubblici, quando gli alberi cadono e nessuno li rimuove, quando la vegetazione ricopre tutto e l’acqua ristagna. Questo si chiama abbandono. Punto.

Eppure, anche di recente – non si sa con quale faccia – l’assessore ha continuato a difendere l’indifendibile.
“Abbiamo fatto la scelta giusta”, dichiarava solo qualche mese fa, “fidandoci dei tecnici”.
Ecco, allora lo dica ai cittadini che pubblicano le foto del disastro.
Lo dica a chi, ingenuamente, aveva creduto che un investimento da un milione e mezzo di euro avrebbe lasciato qualcosa di migliore.

Il messaggio, anche questa volta, è chiaro: il parco serviva solo per la campagna elettorale.

A raccontarci quanto sia stata "grande" la presa per i fondelli, c’è in rete uno dei tanti video della sindaca Elena Piastra, la visionaria...

Visto e ascoltato oggi, fa davvero morire dal ridere. O piangere, dipende dai punti di vista...

Tutto comincia nel maggio del 2022, quando il Comune annuncia con enfasi il raddoppio del parco esistente: un’operazione da 1,5 milioni di euro, finanziata con i fondi del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

L’idea è affascinante: 60mila metri quadri di verde aggiuntivo, 2000 nuovi alberi, percorsi pedonali e ciclabili, un laghetto per la biodiversità e una promessa di benessere per i cittadini.
Un “bosco in città”, lo definivano. Un progetto ambizioso. Forse troppo.

Le dichiarazioni dell’epoca sono da manuale della politica: parole che volano alte come aquiloni.

La sindaca Elena Piastra, con il suo immancabile sorriso ottimista, parlava di una “rigenerazione verde”, di CO₂, di gelsi, di una scelta particolarmente attenta degli alberi da piantumare.
Addirittura di una nuova idea di città, capace di coniugare vivibilità e tutela ambientale.

Insomma, la solita favola di Settimo caput mundi, quel pezzo di città che tutto l’universomondo ci invidia.
Di Settimo bella da vivere, eccetera, eccetera…

L’assessore Alessandro Raso, dal canto suo, prometteva di mettere a dimora 2000 alberelli tra novembre e dicembre, con tutti gli accorgimenti necessari per garantirne la sopravvivenza.

I lavori iniziano nell’ottobre 2023, tra comunicati trionfali e foto istituzionali degli operai intenti a delimitare l’area del cantiere.

Il terreno viene preparato, i primi alberi piantati, e le aspettative dei cittadini si gonfiano come vele al vento.
Il problema, però, è che sotto quel vento c’è poco altro: un’irrigazione assente, un’estate rovente e una generale mancanza di visione che inizia a fare capolino già nelle prime settimane.

Gli alberi vengono piantati, sì, ma il calendario parla chiaro: siamo a ridosso dell’inverno, e la siccità che ha martoriato il Piemonte negli anni precedenti non promette nulla di buono per la primavera successiva.
In molti iniziano a chiedersi: chi si occuperà di queste piante?
La risposta non c’è.

Arriva il 2024 e con esso le prime evidenze di un disastro annunciato.
Ad aprile, qualche settimana prima delle elezioni (che coincidenza miracolosa...), in occasione di un evento dedicato al progetto Ciclopatente, il “nuovo” Parco Berlinguer viene presentato ai partecipanti e ai cittadini.

Il panorama è desolante: file di alberelli rinsecchiti, il laghetto promesso che esiste solo sulla carta, e percorsi ciclabili che sembrano più un’esercitazione di urbanistica scolastica che una vera infrastruttura.

Non è tutto: alcune piante morte vengono lasciate sul posto, “per favorire lo sviluppo di funghi e offrire riparo ai picchi”.

Una giustificazione che suona come un disperato tentativo di mascherare l’incuria con una patina di consapevolezza ecologica.
La “rigenerazione verde” si sta trasformando in un’agonia.

Nel frattempo, gli annunci trionfali continuano, nonostante l’evidenza.
Si parla di piste ciclabili, ma i numeri sono impietosi: un chilometro di tracciato in cinque anni, a malapena sufficiente per un giretto di prova.

Si parla di “azioni educative” e di un coinvolgimento degli studenti delle scuole in attività sulla mobilità dolce.

Si promette una “sfida ai cambiamenti climatici”.
Piastra come Greta Thunberg.

Il resto non è storia, ma attualità.
Gli alberi sono morti, i percorsi sono incompleti e la tanto sbandierata “rigenerazione urbana” si è rivelata per quello che è.

Insomma, il Parco Berlinguer doveva essere il simbolo di una città che guarda al futuro.
Oggi è piuttosto il simbolo di come la retorica politica possa trasformare un sogno in un incubo, con buona pace di chi ci aveva creduto.

E Berlinguer?
Si sta rivoltando nella tomba.
“Cambiate il nome a quel parco”, chiede a tutti i santi in Paradiso…

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