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05 Maggio 2025 - 10:42
Robin Piazzo
I consiglieri comunali sono liberi di parlare con i giornalisti. O di non parlare. È un loro diritto. Nessuno li obbliga. Però — e qui ci permettiamo un piccolo inciso — anche i giornalisti hanno un diritto, altrettanto sacro: quello di scrivere, raccontare, spiegare. Anche quando questo non piace.
A volte, sì, telefoniamo. Succede. È questa la parte misteriosa del nostro mestiere. I giornalisti chiamano. Anche i consiglieri comunali. Anche gli assessori. Persino a Settimo Torinese, dove ormai basta un contatto in rubrica per sembrare membri della Spectre.
E così, ieri, abbiamo chiamato Robin Piazzo, consigliere comunale. Risultato? Porta sbattuta, rifiuto netto, nessuna voglia di parlare. E fin qui, va bene. Ma qualche ora dopo, mentre ancora ci soffiavamo il naso dalla delusione, ecco comparire il classico post indignato su Facebook. Un trattato in più atti — stile professorino offeso — in cui non solo ci spiega perché non parlerà con noi, ma ci detta anche il codice etico-editoriale da rispettare per guadagnarci, un giorno, la sua attenzione.
Ci spiega che La Voce avrebbe osato commentare positivamente alcuni suoi post. Lo abbiamo fatto — sempre secondo lui — per usarlo come “spina nel fianco” dell’amministrazione. Una trappola mediatica, una manovra da manuale CIA.
Robin Piazzo, braccato dalla stampa locale.
Poi arriva l’intimazione: “Non voglio che i miei post vengano riportati decontestualizzati.”
Segue ammonizione: “Non collaborerò finché non capirete la differenza tra dialettica e umiliazione.”
Infine, la chiusura sprezzante: “Se volete spaccare la maggioranza dovete impegnarvi di più.”
Che dire? A parte che nessuno vuole spaccare niente, ma semplicemente fare il proprio lavoro, colpisce la postura. Il tono. Il bisogno di pontificare. Non ci parla, ma ci corregge. Ci rimprovera. Ci insegna. Un po’ come certi parlamentari dei Fratelli d’Italia che, da anni, non rilasciano una parola ai giornalisti del Fatto Quotidiano. Loro, almeno, hanno il buongusto di non farlo sapere ogni volta con un post.
Il nuovo che avanza? Sì, ma con l’odore stantio del vecchio autoritarismo.
Perché, sia chiaro: non stiamo parlando di un ministro, né di un sottosegretario, né tantomeno di un capo di Stato. Stiamo parlando di un consigliere comunale. Di Settimo Torinese.
Che, a leggere il suo post, sembra però convinto che Settimo sia il centro gravitazionale del mondo, una Versailles in salsa piemontese, dove anche una battuta è considerata un incidente diplomatico.
E quel passaggio finale sulla “maggioranza da spaccare”? Roba da scuola elementare. Un classico: il bulletto che ti guarda dall’altro in fondo al cortile e dice: “Dai, se vuoi venirmi contro impegnati di più!”
Noi no, Robin. Noi non vogliamo venirti contro. Noi vogliamo solo raccontare quello che succede. Anche quando riguarda te. Anche se non ti piace.
E a proposito di piacere: non serve il tuo, per pubblicare una notizia. Non serve il tuo, per commentare un post pubblico. I contenuti privati stanno nel cassetto, quelli pubblicati — anche se con “privacy chiusa” — vivono nel mondo reale. E in quanto tali, si osservano, si leggono, si discutono. Come tutte le scelte politiche. Anche quelle di chi, dopo averle messe nero su bianco, pretende di non essere disturbato.
Forse, più che una questione di “umiliazione delle persone”, è una questione di fastidio verso lo sguardo critico. Ma è proprio quello, lo sguardo critico, che rende vivo un giornale. Noi non serviamo camomille alle maggioranze. Non facciamo coccole alle giunte. Facciamo domande (quando serve), pubblichiamo storie, analizziamo contraddizioni. Anche a Settimo. Anche se il consigliere Piazzo non gradisce.
Quindi no, caro Piazzo, non pretendiamo che lei ci parli.
Ma pretendiamo, questo sì, il diritto di continuare a scrivere.
Anche di lei.
Anche se la infastidisce.
Anche se pensa che dovremmo “impegnarci di più”.
Lo faremo. Grazie del consiglio.
E, se permette, lo facciamo con un po’ di esperienza alle spalle.
Scrivo da 38 anni. Sono — senza “forse” — il più longevo tra i giornalisti a nord di Torino.
E la storia di Settimo Torinese — quella vera, quella che non sta nei post né nei suoi ricordi —
la conosco meglio io di chi oggi pretende di amministrarla.
Non ho consigli da darle. Solo uno: in politica, nella vita, nel giornalismo, nei rapporti con la stampa — usi la testa. Non la pancia.
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