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02 Maggio 2025 - 16:35
Riceviamo e pubblichiamo
Buongiorno.
Leggo con particolare interesse i Vostri articoli sulle "disavventure" sanfranceschesi, raccontate, come si dice, inaudita altera parte.
Comprendo che dare addosso alla P.A., spesso, permetta di mostrarsi paladini della giustizia, come se i dipendenti pubblici fossero una massa di delinquenti e non dei cittadini, dei lavoratori, esattamente come il resto della popolazione.
Ovviamente, come si suol dire, attenderemo gli sviluppi dell'inchiesta e ci difenderemo nelle sedi opportune, ma penso di poter esprimere la mia idea, che avrei certamente esternato anche prima, se mi fosse stata chiesta; evidentemente non interessa, dal momento che è più semplice e meno faticoso puntare un dito e seminare zizzania, piuttosto che ricercare la verità, sempre ammesso che questa esista e interessi.
"Carlo", nome di scarsa fantasia, ha ricevuto un preavviso di accertamento, cioè un atto di "cortesia". Partiamo dal fatto che "non vi è alcuna norma del Codice della strada che disciplini il c.d. preavviso di violazione e ne imponga la compilazione in caso di impossibilità di contestazione immediata per assenza del trasgressore. (Corte di Cassazione Penale, Sezione I, sentenza numero 45209 del 09/12/2021)".
QUI IL TESTO DELL'ARTICOLO
Si tratta di un metodo, utilizzato per altro, seppure con modalità diverse e più note, da moltissimi Comuni. Ha esattamente lo stesso valore del foglietto lasciato sotto il tergicristallo dell'auto in sosta irregolare.
Non mi pare che vi siano molte denunce contro questa pratica, direi, piuttosto diffusa.
Anzi, proprio nella causa sopra riportata, si sosteneva, addirittura, l'illegittimità del verbale per mancata preventiva emissione del preavviso di accertamento (rectius violazione).
Qualche tempo fa era persino allo studio una modifica al C.d.S. volta proprio ad istituire l'obbligatorietà del preavviso. (cfr https://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.24_A.18PDL0068970.pdf)
Ora, scopo del preavviso di accertamento è, come scritto sullo stesso, quello di ridurre il contenzioso, non altro.Perché, stando al mio modo di vedere, chi guida dovrebbe sapere quando la manovra che compie è lecita o vietata.
Io so, quando lascio l'auto in doppia fila, che se arriva un collega, mi becco il verbale; lo stesso quando vado un po' più veloce del previsto.
Chi lo riceve, per quanto abbia il diritto di negarlo, ha sicuramente commesso una violazione, perché nessuno, almeno fino a prova contraria, emette un verbale tanto per fare, oggi men che mai, alla luce della consapevolezza delle risorse tecnologiche a disposizione di tutti.
Primo, perché, checché se ne dica in giro, non ce ne viene in tasca assolutamente nulla, se non il nostro stipendio e la produttività, esattamente come a tutti i dipendenti, pubblici e privati; secondo perché con tutte le infrazioni che vengono commesse in ogni momento, non ha senso andare ad inventarne una.
Io immagino che anche Voi giriate per la strada e, come tutti, qualche infrazione la commettiate.
Vi invito a fare una prova: un giorno, contate quante infrazioni commettete. Oppure, se siete certi di essere conducenti particolarmente ligi, provate a percorrere la 460 ai 70 all'ora e contate quanti veicoli vi sorpassano. (ovviamente, se voi viaggiate ai 70 all'ora, chi vi sorpassa, oltre agli articoli 148 e 40, e secondo alcune interpretazioni più restrittive, anche il 143 per il contromano, gioco forza, viola anche il 142!).
Quindi, scusate, ma la domanda sorge spontanea: perché io, che ho a disposizione un numero infinito di violazioni, dovrei inventarmene una? A che scopo?
Se non sono stato chiaro, vi invito a passare 4 ore con me, in servizio, per rappresentarvi il grado di inciviltà nell'ambito della circolazione stradale.
Quindi, tornando a noi, sul fatto che la violazione sia stata commessa, io, che sono il responsabile e quindi non c'ero, ho la certezza, anche perché, se mai scoprissi che un mio uomo, per una ripicca personale e/o un attimo di follia, o qualsiasi altro motivo, si permettesse di compiere un simile gesto, sarei il primo a depositare la N.d.R. in Procura.
Tant'è che, quando il Signor "Carlo" mi ha telefonato, gli ho chiesto se avesse motivo di dubitare che il collega potesse avere avuto qualche motivo per compiere un atto di ritorsione nei suoi confronti.
A risposta negativa, dico che io faccio il Comandante della Polizia Locale e non il Giudice, quindi, per me (e per la legge italiana), quello che scrive il collega sul suo verbale fa fede fino a querela di falso e non posso certamente arrogarmi il diritto di decidere chi mente tra lui e il cittadino.
Invito quindi ad attendere il verbale, specificando che deve arrivare entro i 90 giorni.
Il Signor "Carlo", convinto di avere a che fare con dei ladri e che sia "facile fare così", è partito ad offendere, nella convinzione che il diritto di esporre il proprio pensiero contempli anche quello di non rispettare l'interlocutore.
E, scusate, ma a questo punto ritengo di avere anche io il diritto di esprimere il mio pensiero sul livello di educazione di chi mi sta trattando come una pezza da piedi.
Se si è offeso, mi dispiace, ma, per quanto possa lamentarsi, resta il fatto che ha violato una norma (anzi almeno due) del C.d.S., è stato visto da una pattuglia che percorreva la stessa strada in senso opposto ed è stato sanzionato.
A me hanno insegnato a chiedere scusa, quando sbaglio e ad assumermi le mie responsabilità, non a scaricarle sugli altri arrivando ad offendere.
"Carlo", evidentemente, pensa di avere il diritto di violare le norme del C.d.S., mettendo a repentaglio l'incolumità delle persone che percorrono la stessa strada finché qualcuno non riuscirà a "provare" l'infrazione commessa, ben sapendo che questo è impossibile.
E chi gli dà corda, presumo abbia lo stesso grado di conoscenza della norma, o, spero di no, è in mala fede.
Nessuna violazione, accertata da un pubblico ufficiale è "provata", se non attraverso il verbale di contestazione, che deve essere notificato entro i 90 giorni e che, per legge, fa fede fino a querela di falso.
Quindi, se il verbale ha questa forza, che, per altro, sottolineo, vincola anche il giudice, chi sono io per intervenire sul verbale fatto dal mio collega? E chi è "Carlo", per pretendere di ricevere una prova diversa da quella prevista dalla legge?
Perché "Carlo" pensa di avere diritto di ricevere una prova (che nessuna norma prevede!), allora io sono un delinquente? Sono il responsabile di uno scandalo?
O forse la responsabilità è di chi non prende la doglianza per quello che è?
"Carlo" aveva il diritto di fare ricorso, non di mettere in dubbio la correttezza di un intero Servizio di Polizia Locale.
Perché il Comune non è un nemico della cittadinanza, ma ha il diritto, oltre che il dovere, di sanzionare chi non rispetta le regole della civile convivenza.
Il problema è che chi non rispetta le norme, non gradisce che glielo si faccia notare e allora pretende che si rispettino le sue norme, quelle che lui crede siano giuste, quelle che ha letto sui titoloni dei giornali, quelle di Google.
Le uniche violazioni "provate", sono quelle accertate da apparecchiature omologate e/o approvate, che devono essere convalidate dal pubblico ufficiale.
E siccome la violazione non è accertata de visu dal P.U., non c'è presunzione giuridica e, quindi, occorre una prova documentale.
Non si tratta di argomento difficile da comprendere, a mio avviso, ma semplicemente un ragionamento che deve essere fatto e che, invece, si preferisce omettere per scagliarsi contro i cattivi ed ergersi a buoni e perfetti cittadini oppressi.
Mentre sto aiutando un disabile ad attraversare la strada, mi passa davanti un veicolo, che non ci dà la precedenza, condotto da un tizio che sta parlando al telefono (e per questo non mi ha visto!); ora, io giro la testa, leggo la targa, me la ripeto un paio di volte e, arrivato sul marciapiede, in qualche modo me la segno; rientro in ufficio e scrivo, su un foglietto, cinque cose: data, ora, luogo, targa e cosa stavo facendo; l'ufficio compila un preavviso e lo manda a "Giuseppe", che, chiede la prova della violazione.
È, mutatis mutandis, quello che è successo a "Carlo".
Ora, secondo Voi, Giuseppe non era da sanzionare? Solo perché nel momento in cui io accerto la violazione non sono posizionato in maniera idonea ad intimare l'alt in sicurezza e quindi non posso procedere a contestazione?
O non devo sanzionare "Carlo" perché il sorpasso è meno grave del telefonino?
O solo perché il sorpasso l'ha accertato la Polizia Locale di San Francesco?
Che poi, Signori, leggete bene il preavviso: "Carlo" effettua il sorpasso sulla 460 e il Collega non può contestare perché avrebbe dovuto invertire il senso di marcia.
Leggendo bene, quindi vuol dire che "Carlo" andava contromano in direzione della pattuglia, rischiando un frontale.
Però, la vittima del sopruso è "Carlo", che trova in Voi i paladini contro quel disgraziato rappresentante del Servizio di Polizia Locale di San Francesco al Campo che, grazie alla bravata di "Carlo", quel giorno avrebbe potuto non tornare a casa.
Ma, come rispondo sempre a quanti mi dicono che esagero e che loro mai avrebbero sorpassato se non ci fossero state le condizioni di sicurezza, rispettiamo almeno i morti: sulla 460 abbiamo avuto ben più di una vittima e io sono convinto che nessun responsabile di quegli incidenti abbia mai cominciato la manovra nella convinzione di non farcela, ma, al contrario, tutti sono sempre partiti perché avevano "la strada libera".
Io sono vecchietto, ormai, e, come tutti gli anziani, di cui un tempo sorridevo, mi nutro di proverbi e detti popolari, quali "la legge è uguale per tutti" e "chi sbaglia, paga"; ora, invece, chiedere il conto è diventato un reato.
Sparlare, lanciare accuse prive di fondamento, se non la presunzione di essere sempre dalla parte della ragione, è ormai sport nazionale.
Il problema, però, non sta nel lamento, lecito, ma nella sua rappresentazione come realtà assoluta, portata alla ribalta da chi racconta.
Io sono sempre disponibile e non mi sono mai sottratto al confronto, se educato e rispettoso dei ruoli e delle persone e, scusate la presunzione, penso di conoscere le norme meglio di "Carlo".
Non ho mai spiegato al medico come operarmi né all'Avvocato come difendermi e spero che non abbiate preso questa mia come una lezione di giornalismo, che non sarei in grado di tenere.
Come "Carlo", ho il diritto di esprimere il mio pensiero e, se vi interessa approfondire il tema anche dal mio punto di vista, io sono a Vostra completa disposizione.
Distinti saluti
Carlo Mura,
Comandante Polizia Locale
di San Francesco al Campo
Gentile Comandante Carlo Mura,
abbiamo letto con attenzione, rispetto e interesse la Sua lunga e articolata lettera, che pubblichiamo integralmente come segno di apertura e trasparenza nei confronti dei nostri lettori. Perché la dialettica, anche quando aspra, è il sale della democrazia. E perché chi rappresenta un’istituzione – come Lei – ha il diritto (e il dovere) di intervenire nel dibattito pubblico quando ritiene che un servizio giornalistico abbia veicolato un messaggio fuorviante o ingiusto.
Tuttavia, lasci che anche noi, come Lei, possiamo esprimere il nostro pensiero.
Il nostro compito, come giornalisti, non è quello di assolvere o condannare. Non siamo giudici. E non siamo nemmeno avvocati difensori o pubblici ministeri. Siamo cronisti, che ricevono segnalazioni, ascoltano storie, raccolgono testimonianze e, come Lei stesso ha giustamente riconosciuto, raccontano i fatti che arrivano alla nostra attenzione. Talvolta lo facciamo inaudita altera parte, perché quella “altra parte” non sempre si rende disponibile, o perché il tempo della notizia – a differenza dei tempi della burocrazia – è istantaneo e non prorogabile.
Non abbiamo mai scritto che “Carlo” avesse ragione e la Polizia Locale torto. Abbiamo dato conto di una protesta, di una percezione di ingiustizia, di un malessere civico che, le piaccia o no, attraversa una parte della cittadinanza. Un preavviso di accertamento – per quanto tecnicamente legittimo – può apparire vessatorio agli occhi di un cittadino che non si sente tutelato, ma colpito. E non è affatto inutile dare voce a quella percezione.
Non crediamo, Comandante, che raccontare un episodio controverso equivalga a delegittimare un intero corpo di polizia locale. Sarebbe come dire che ogni critica a un’iniziativa della Giunta comunale sia un attacco alla democrazia. Eppure, proprio la Sua lettera – con toni talvolta persino più duri dei nostri articoli – esprime un giudizio molto netto sul comportamento di “Carlo”, su chi gli ha dato voce e su chi – come noi – ha ritenuto opportuno pubblicare quella vicenda.
Lei ha difeso il Suo operato e quello dei Suoi uomini con fermezza, passione e competenza. Lo rispettiamo. Ma vorremmo anche invitarLa a riflettere su un punto: nel momento in cui un cittadino si rivolge alla stampa, spesso lo fa perché si sente incompreso, ignorato, o trattato con sufficienza. Non sempre ha ragione, ma raramente lo fa per capriccio.
Se “Carlo” si è sentito umiliato, magari ha usato toni sbagliati. Ma è possibile che qualcosa, nella comunicazione istituzionale, non abbia funzionato. E in questi casi non è solo una questione di norme o sentenze della Cassazione. È anche una questione di fiducia. E quella si guadagna – come Lei ben sa – anche sul campo, con il dialogo, con il riconoscimento della complessità, con l’empatia. Anche con chi sbaglia.
Noi continueremo a raccontare le voci che ci arrivano dal territorio. Non per partito preso, non per “seminare zizzania”, ma perché questo è il nostro lavoro. E continueremo anche a dare spazio – come abbiamo fatto oggi con Lei – alle repliche, alle precisazioni e alle critiche.
Perché la stampa libera non è solo quella che denuncia. È anche quella che ascolta.
Cordialmente,
Il Direttore
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