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30 Aprile 2025 - 23:41
L’attesa è finita! Arriva Grok 3: il chatbot più intelligente al mondo di Elon Musk
Elon Musk sta per chiudere uno dei capitoli più controversi della presidenza Trump 2.0. Il tycoon simbolo dell’iperliberismo tecnologico si appresta a lasciare il suo incarico da “special government employee” presso il cosiddetto DOGE, il Department of Government Efficiency. Non lo ha fatto sbattendo la porta, ma nemmeno in punta di piedi. Lo sta facendo come fa lui: annunciando la cosa tra una trimestrale disastrosa di Tesla, una fusione sospetta tra Xe xAI, e una raffica di polemiche alimentate – ça va sans dire – dallo stesso Musk sui suoi canali social.
Elon Musk, come confermato dalla Casa Bianca e da fonti vicine all’amministrazione, ha di fatto già lasciato fisicamente il suo ufficio alla Casa Bianca dallo scorso 30 aprile. Non si presenta più al lavoro, non partecipa a riunioni ufficiali e parla col presidente solo per telefono. Formalmente resta in carica fino a fine maggio, ma già da settimane ha ridotto il suo impegno a “uno o due giorni alla settimana”, per concentrarsi – dice – su Tesla, la creatura tecnologica che più di ogni altra ha contribuito alla costruzione del suo mito.
“Servivano riforme radicali. Le ho proposte. Ho fatto quello che potevo. Ora tocca ad altri”, avrebbe confidato a uno stretto collaboratore secondo quanto riportato dal New York Post. Ma dietro il tono stoico si nasconde l’ammissione di un fallimento parziale. Il progetto DOGE, nato per “tagliare gli sprechi e ridurre l’apparato burocratico federale”, ha prodotto più meme che risultati. L’idea muschiana del governo snello si è scontrata con la realtà di un’amministrazione federale ancora ancorata a logiche novecentesche. E la gente ha smesso di crederci.
Secondo un recente sondaggio pubblicato dal Washington Post, solo il 35% degli americani approva il ruolo pubblico di Musk. Il 57% lo boccia, senza mezzi termini. Il suo appeal crolla soprattutto tra giovani adulti, indipendenti e cittadini non laureati, quelli che una volta guardavano a lui come a un visionario capace di cambiare le regole del gioco. Oggi vedono un miliardario che gioca con le istituzioni pubbliche e che, quando le cose si fanno difficili, torna a occuparsi dei propri affari.
E i propri affari, ultimamente, non brillano. Tesla ha appena pubblicato una trimestrale allarmante: profitti in calo del 71% rispetto all’anno scorso, e vendite globali giù del 13%. A pesare non sono solo i problemi interni – ritardi nei nuovi modelli, licenziamenti, concorrenza cinese – ma anche una crescente ondata di boicottaggi e atti di vandalismocontro i concessionari dell’azienda. L’opinione pubblica americana inizia a vedere Tesla non più come un simbolo di sostenibilità, ma come il giocattolo del miliardario diventato burocrate.
Un colpo durissimo per Musk, che infatti ha annunciato il ritiro (parziale) dalle attività governative proprio per “salvare Tesla”. Ma anche qui, la mossa ha suscitato perplessità: può un funzionario federale dedicarsi a tempo pieno alla gestione delle sue aziende private? Dove finisce Musk imprenditore e dove inizia Musk uomo di Stato?
Domande legittime, soprattutto se si guarda alla megafusione annunciata tra X – l’ex Twitter, oggi piattaforma muschiana a tutto campo – e xAI, la sua startup di intelligenza artificiale. Un’operazione da oltre 110 miliardi di dollari, condotta con lo stesso team di consulenti da entrambe le parti. Tradotto: conflitto di interessi servito su un piatto d’argento.
Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la fusione ha infranto “le regole non scritte di Wall Street”, scavalcando prassi consolidate in tema di governance, trasparenza e tutela degli investitori. Ma Musk, si sa, non ama le regole. E quando può, le riscrive a modo suo.
Nonostante le turbolenze interne, Musk non ha rallentato l’espansione della sua galassia industriale. Starlink, il servizio di internet satellitare targato SpaceX, ha ottenuto nuovi accessi in paesi chiave come India, Bangladesh e Sudafrica. Una vittoria strategica per l’infrastruttura globale di Musk, che sogna una rete internet indipendente dagli stati nazionali.
Ma anche qui, sorgono ombre. Come sottolineato da un editoriale del Washington Post, è altamente probabile che gli accordi siano stati agevolati da concessioni diplomatiche statunitensi, ottenute grazie alla posizione di Musk all’interno del governo. Insomma, un uso privatistico del potere pubblico. Un nuovo esempio di quel capitalismo senza freni dove politica e affari si mescolano fino a diventare indistinguibili.
A peggiorare l’immagine pubblica di Musk è stata anche la vicenda del cosiddetto “dividendo DOGE”: un assegno da 5.000 dollari che, secondo Musk, sarebbe dovuto arrivare a ogni contribuente grazie ai risparmi ottenuti dal suo programma di efficientamento. L’annuncio aveva sollevato entusiasmi e ironie, ma col passare delle settimane si è rivelato per quello che era: una promessa da campagna elettorale.
Con Musk in uscita e senza una proposta legislativa approvata dal Congresso, quel dividendo non vedrà mai la luce. E molti americani si sentono presi in giro.
Elon Musk ha costruito la sua immagine sull’idea del “fare”. Costruire razzi, auto elettriche, impianti neurali, tunnel sotterranei. Ma l’esperienza nel governo federale ha dimostrato che governare è un’altra cosa. Non bastano i tweet geniali o le conferenze stampa spettacolari. Servono risultati, consenso, istituzioni funzionanti.
E in questo, Musk ha fallito. O forse ha semplicemente scoperto che il potere pubblico ha limiti che neppure lui può superare.
La fine dell’avventura governativa non significa certo il ritiro dalla scena. Anzi. Musk potrebbe tornare più aggressivo che mai, libero di fare il Musk a tempo pieno. Più vicino ai mercati, più lontano dai vincoli delle istituzioni democratiche. Ma il danno di immagine, questa volta, è profondo.
Ha perso fiducia. Ha perso soldi. E ha perso, forse, quella patina da supereroe moderno che lo rendeva intoccabile.
Adesso dovrà reinventarsi. Di nuovo. Come ha sempre fatto. Ma il mondo sta iniziando a chiedergli conto non solo dei sogni che vende, ma anche dei danni che lascia dietro di sé.
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