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L'Unione fa la forza
09 Aprile 2025 - 19:04
Trump e Elon Musk
Una cosa è certa, i sovranisti trumpiani credono fermamente nella predestinazione divina, nell’assegnazione agli Stati Uniti di un ruolo di guida del e nel mondo. Troppe volte siamo indotti a ritenere che dietro ogni mossa vi sia solo l’interesse economico ma la mia impressione e che ci sia ben altro….
Lo dico in quanto non si può tralasciare il fatto che questi governanti sono pur sempre degli esseri umani soggetti a tutte le contraddizioni che viviamo giorno dopo giorno: insomma, una quota importante di scelleratezze attribuibili solamente alle mosse dello scacchiere finanziario, sono anche di origine ideologica. Trump ha una grande considerazione di sé stesso e si lascia ogni giorno magnificare dai suoi fedelissimi che pregano per lui, che mettono la sua immagine ovunque.
Chi vive nei paesi sviluppati, del resto, non ha solamente la sensazione, ma sa di trovarsi in quel dieci, venti percento di pianeta in cui il reddito è preservato come una sorta di privilegio delle classi ovviamente più abbienti; sei al sicuro se ti trovi appunto nella Repubblica stellata, se vivi in Cina e fai affari con mezzo mondo. Ma non sei al sicuro se vivi in Africa, in particolar modo dove i conflitti locali e regionali sono alimentati proprio dagli affari delle grandi potenze che giocano alla partita della competitività sulla pelle di milioni e milioni di individui ritenuti, oltretutto, inferiori per origine, per colore della pelle, per cultura…
Il liberismo trumpiano, spinto all’ennesima esasperata potenza per isolare splendidamente gli Stati Uniti dal punto di vista della tenuta economica sul piano globale, propone uno stile di vita insostenibile dal punto di vista di un principio di equità proprio globale. Trump e la sua amministrazione portano avanti politiche che finiranno coll’imporre sacrifici enormi a tanti paesi che dovranno, a loro, volta, rovesciarli sulle masse più indigenti.
Questo perché le élite al potere non metteranno mai in discussione i loro posti, le loro capacità e potenzialità date dal ruolo che ricoprono grazie alle prebende delle classi dominanti.
L’ America di oggi parla di un ritorno al carbone, la Meloni e l’italietta attacca l’Unione Europea su Green Deal e regolamentazione, considerando queste scelte dei dazi interni all’UE. Che dire forse l’unica diciamo così…speranza è che i cambiamenti climatici continuino a peggiorare a tal punto da diventare una leva di costrizione che scuota un po’ gli animi anche più duri e rovesci i menefreghismi egoistici di chi punta ad andare dritto verso la cieca distruzione delle risorse naturali e, quindi, aumenti a dismisura la forbice delle diseguaglianze: una volta divenuta insostenibile su un fronte tanto ampio, la rivolta dovrebbe essere all’ordine del giorno.
Ma non si può attendere l’anticapitalismo di massa con un atteggiamento quasi fideistico o, molto più banalmente, confidando in previsioni che hanno un retrogusto di autolesionismo: tanto peggio, tanto meglio non è proprio una filosofia che si può ascrivere al progressismo e neppure ad un luddismo di nuova interpretazione. Se ipotizziamo, tuttavia, uno scontro fra l’uno percento delle classi più privilegiate e benestanti e il novantanove percento del pianeta ridotto in miseria (o quasi), è evidente che il capitalismo, affidato alla difesa di questa esigua parte di dominatori, almeno sul piano percentualistico avrà una disfatta certa.
Ma quale sarà il punto di rottura? L’imperialismo sta lì, come fenomeno politico-militare, proprio per fare da cane da guardia ad un finto equilibrio planetario oltre che nazione per nazione. Le guerre si tengono perché, ogni tanto, c’è bisogno di ristabilire i confini dei prelevamenti forzosi delle risorse di interi paesi che finiscono, nel nome della libertà, dell’esportazione della democrazia e dei valori occidentali (o anche orientali…), ad ingrossare i profitti dei grandi gruppi di gestione delle materie prime da trasformare in costi energetici esorbitanti. Soprattutto, si intende, per coloro che sono la grande massa degli sfruttati di ogni giorno.
In questo quadro va rilevato che la “sinistra”, come fenomeno politico e partitico del progressismo sociale e la voglia di eguaglianza, si situa così nel punto più basso della sua sconfitta storica postnovecentesca. Siamo ben lontani dal rimettere anche soltanto in discussione le diseguaglianze come un qualcosa di profondamente ingiusto sul piano etico; questo perché ci allontaniamo sempre di più dalla condivisione globale dei problemi e le soluzioni tentate sono affidate al “si salvi chi può” di questo o quel polo di attrazione dei capitali e dell’alta finanza.
Lo Stato forte non è oggi sinonimo di preservazione dei diritti sociali, di tutela dei beni comuni, di ampliamento dei diritti civili ed umani. Semmai è il contrario. Dove più forte è il potere governativo, lì si annidano grovigli di interessi che giocano su più tavoli la partita di una globalizzazione spietata in cui le grandi potenze del multipolarismo, rinnovato e rinvigorito dai tanti conflitti regionali, aprono la scena ad una fase completamente nuova: la forbice del reddito, tra nord e sud del mondo, si è ampliata a dismisura e queste diseguaglianze si tengono a bada con teorizzazioni razziste, esaltazioni nazionalistiche e mettendo i poveri gli uni contro gli altri.
La politica dei dazi imposta da Trump non è fatta per limitare i danni di altre economie nei confronti di quella americana: semmai per attrarle nella sfera di influenza a stelle e strisce. Che cosa va affermando il presidente-magnate da giorni e giorni? Il fatto che, se le grandi industrie vogliono scrollarsi d’addosso i dazi doganali, allora dovranno trasferire le loro produzioni negli USA.
Vi sono oggi nei fatti due visioni una la decrescita che metterebbe al primo posto il rapporto tra tutti gli esseri viventi, umani e non e natura e l’altra il capitalismo che fa l’esatto opposto. Al punto in cui siamo non c’è una via di mezzo.
Il trumpismo, poi, è l’esasperazione di questo opposto e pur di continuare a negare le contraddizioni “naturali“, oggettive, che si concretizzano nei tanti disastri che piombano sulle città in forma di precipitazioni atmosferiche, tsunami marini e temperature completamente fuori controllo rispetto anche soltanto a qualche decennio fa, è disposto ad affermarsi come riscoperta dei valori di un libero mercato che, in realtà, così nega sé stesso perché propone l’unipolarismo che, oggi, del tutto obiettivamente, è un capitolo superato.
La questione dei dazi, quindi, è sì una guerra economica, ma è difficile poter davvero anche solo pensare che, come è nella natura del capitalismo storicamente inteso e dato, sia una sorta di processo propulsore per la creazione di nuovi mercati. Di sicuro c’è che aumenteranno le sottrazioni delle risorse naturali al pianeta, che coloro che vivevano già in regimi di povertà non potranno che constatare l’aumento dei questi indici di diseguaglianza. Ci sarà una parte del mondo che tenterà, proprio sostenuta dalla filosofia trumpiana, di ottenere molto di più di quel che le spetta e per farlo sarà capace di andare ben oltre la guerra commerciale.
E qui sorge la domanda: A cosa servirebbe mai il riarmo a tutto spiano di piccole, medie e grandi potenze se non per testare il successivo passo del posizionamento nel nuovo scacchiere internazionale e prepararsi alle guerre vere e proprie? Quello che davvero deve spaventare è l’impossibilità per tutti questi criminali contro l’umanità di avere un briciolo di considerazione etica di sé stessi, degli Stati che amministrano e degli interessi che proteggono. Non ci si può appellare a nessuna creanza umana, a nessuna buona volontà di Trump o Vance, così come a nessuna intelligenza e buon senso di von der Leyen o Rutte. Tanto vale anche per Putin e Xi Jinping, nonché per Milei o Orbán, senza parlare del criminale Netanyahu.
Questo è il capitalismo dei disastri, un salto ulteriormente negativo rispetto al capitalismo storicamente conosciuto, quello delle diseguaglianze che doveva vedersela con un movimento internazionale degli sfruttati oggi atomizzato e privo della sua, davvero importante, missione globale e locale al tempo stesso. Se la domanda è: saremo tutti più poveri? la risposta diviene questa: sì, ma non coloro che oggi realizzano le premesse perché il novantanove percento dell’umanità lo diventerà nell’immediato domani.
Oggi Trump attacca l’Europa, la Cina è ancora non si è espresso rispetto alle materie prime del continente africano, per esempio quelle della Repubblica democratica del Congo, dello Zambia, dell’Angola o del Sudafrica. Essendo aree d’interesse di vari attori economici internazionali, per evitare immediati conflitti diretti, ma in futuro?
Cosa fare quindi? l’Europa dovrebbe innanzi tutto anziché sospendere o ritardare il Green Deal sostenerlo con forza e determinazione, si garantirebbe un vantaggio nel percorso della ineluttabile transizione ecologica rispetto ai ritardi di altri e non il contrario. Se l’Europa s’impegnasse con tutte le sue forze per chiudere il conflitto in Ucraina si potrebbero riaprire tutti gli scambi commerciali con l’Est e con l’Oriente. Se Ursula von der Leyen avesse presentato un piano straordinario per la copertura di una rete satellitare europea, implementando, intensificando ed accelerando il Progetto IRIS, per non essere succube di Elon Musk e della sua Starlink, anziché cadere nella trappola del riarmo, allora sì che sarebbe stata una risposta all’altezza delle nuove sfide, per garantire gli interessi economici, difesa e sicurezza dell’Europa. La guerra, e l’economia di guerra, incentrata su dazi, sanzioni, barriere, esercito, non è il terreno più congeniale alla nostra vocazione di Democrazia Sociale. È il terreno delle destre e della loro vocazione autoritaria, incentrata sul capo supremo, solo al comando, sulla forza, sul sovranismo e sulla sudditanza.
La strategia delle destre in Italia, in Europa e nel mondo, non potrebbe essere più chiara ed esplicita, e se non fosse che le cosiddette forze progressiste e democratiche vivano una profonda crisi di idee, di programmi e di identità, sarebbe facile contrastarle.
Capisco che c’è molta confusione a sinistra, non solo in Italia, ma anche in Europa, ma io suggerirei di orientarsi facendo il contrario di quello che dice di voler fare Giorgia Meloni che delle destre è sicuramente un talento naturale.
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