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30 Aprile 2025 - 17:41
Patrizia Dal Santo e Massimiliano De Stefano
Questa mattina, il Santo Bambino ha smesso per davvero di essere un rifugio. Non un rifugio simbolico, ma quello che per mesi è stato un riparo concreto, tangibile, indispensabile per decine di persone. Un luogo che avrebbe dovuto essere sinonimo di accoglienza e carità, gestito da due parroci, don Arnaldo Bigio e don Silvio Faga, che nel tempo ne avevano fatto un punto di riferimento per gli ultimi, per chi non ha nulla.
L’edificio di via Varmondo Arborio è stato svuotato. Dentro, ormai, non restavano che in due. Due uomini. Due storie diverse, eppure simili. Due facce della stessa marginalità. Due vite scivolate nel grande contenitore dell’“emergenza abitativa”, che a Ivrea è diventata una categoria utile a classificare il disagio, purché resti invisibile.
Li hanno fatti sloggiare. Ma non con delicatezza. Non con quella tenerezza che si dovrebbe a chi ha già perso tutto. Nessuna carezza. Nessuna comprensione. Solo l’urgenza fredda di chi deve liberare, chiudere, archiviare. Avevano chiesto qualche giorno in più. Fino all’11 maggio, quando — forse — potranno entrare nella casa che, tra mille ostacoli, sono riusciti a trovare a Ivrea. Avevano chiesto tempo, non privilegi. Un piccolo margine. In cambio, si sono sentiti dire: “Se non ve ne andate, chiamiamo la Questura”.
Uno dei responsabili
E così, una scena che in qualunque città civile sarebbe oggetto di dibattito, si è consumata nel silenzio. Senza clamore. Senza testimoni. In un angolo di Ivrea che ha imparato a non vedere, a non ascoltare.
Uno dei due, con la voce tremante, qualche giorno fa ci aveva raccontato la sua storia in poche battute.
“Lavoravo in Spagna. Poi l’azienda ha chiuso. È arrivato il Covid e sono tornato. Ma a 62 anni, chi ti prende? Vivo di qualche lavoretto in nero. E ora via anche da qui…”. L’altro, in silenzio, aveva semplicemente chinato la testa. Da tempo ha smesso di parlare. Come se anche le parole si fossero arrese.
Insieme hanno preso il telefono e hanno chiamato Massimiliano De Stefano, consigliere comunale, l’unico — in queste settimane — che ha dato loro attenzione. L’unico che non li ha trattati come un problema da spostare. L’unico che ha ascoltato davvero.
De Stefano è arrivato. Ha parlato con loro, ha provato a rassicurarli. E infine li ha convinti ad accettare una sistemazione temporanea a Borgofranco. Una soluzione-tampone. Una toppa. Non una risposta. Non un futuro.
Poi ha parlato. E con parole nette ha lanciato il suo appello: “Ora basta. L’Osservatorio Casa – se esiste davvero – deve farsi carico di queste persone. Deve accompagnarle, garantire loro la firma del contratto di affitto, dare le tutele necessarie. Non possiamo lasciarli vagare nel nulla amministrativo. Non dopo tutto questo”.
Tutto accade all’indomani della scadenza imposta dal 25 aprile, comunicata con una lettera firmata proprio da don Arnaldo Bigio. Nella lettera, recapitata agli oltre trenta ospiti il 14 febbraio, si parlava di “improrogabili lavori di ristrutturazione” e di “riformulazione dell’accoglienza”. Ma da quel giorno in poi: il nulla. Nessun piano. Nessun confronto pubblico. Nessuna rassicurazione.
Silenzio. La bomba è esplosa grazie a De Stefano. Prima con una denuncia pubblica, poi con un’interpellanza durissima rivolta all’assessora alle Politiche Sociali, Patrizia Dal Santo, che peraltro in via Arborio, non si è mai vista. Neanche per sbaglio.
“Quando ne siete venuti a conoscenza? Quando avete avvisato la Regione e l’Atc” sono alcune delle domande inchiodate nella sua interpellanza, ancora in attesa di discussione. Parole pesanti che hanno già scatenato la reazione di Laboratorio Civico, la lista civica a cui fa riferimento Dal Santo, che ha accusato De Stefano di speculazione, di manipolazione, di strumentalizzare persone fragili.
E intanto? La realtà bussa. E non ha bisogno di interpretazioni. Racconta di una caldaia rotta, di docce gelide, di un dormitorio che si svuota. Racconta di persone che vengono divise, spostate, spezzate e si spera non dimenticate.
“Se una persona finisce in un dormitorio – insiste De Stefano – vuol dire che era un caso da seguire. Non puoi far sparire un problema spedendolo altrove. Non è così che si fa politica. È così che si fallisce. E se l’unico obiettivo è farlo sparire dal radar, io non ci sto. E lo dirò in Consiglio comunale. Con forza”.
Intanto, mentre lui parla, il cortile del Santo Bambino si svuota. La porta si chiude. Restano l’eco dei passi, il rumore dei sacchi, e il silenzio. Un silenzio che sa di abbandono. Di rassegnazione. Di una città che, quando qualcuno cade, spesso si gira dall’altra parte.
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