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14 Aprile 2025 - 16:39
Diego Rolando Perin, titolare dell’Osteria dei Sapori, ha deciso di uscire dal silenzio. Non ci sta a vedere il suo nome – e il suo locale – trascinato nella polemica montata attorno al cous cous servito nella mensa scolastica di Lessolo. E parte subito con una precisazione che, a suo dire, non è affatto di poco conto: “Il mio è un ristorante, non una trattoria”. Una distinzione semantica che per qualcuno potrà sembrare una finezza, ma che rivendica con forza, quasi a voler marcare una distanza — di qualità, di professionalità, di reputazione — da quell’immagine sgangherata e approssimativa emersa nei giorni scorsi.
Poi c’è la questione centrale: quel famigerato menù del 30 marzo, modificato in occasione del Ramadan su richiesta delle insegnanti, con l’introduzione di due piatti etnici – cous cous con bocconcini di verdura alla curcuma e Raif, una pasta sfoglia con crema di ricotta e miele – che ha sollevato un vero vespaio tra i genitori.
Perin si smarca anche da questo: “È stata un’iniziativa di inclusione”, spiega. Non una decisione unilaterale, né un’imposizione. La modifica, dice, “è stata comunicata subito, con un avviso affisso nella bacheca e nei refettori già il 28 marzo. Inoltre abbiamo inviato anche una comunicazione ufficiale al Comune”.
E se è vero che l’Osteria ha fatto la sua parte, il cortocircuito sembra essersi generato nel passaggio successivo, quello in cui l’informazione sarebbe dovuta arrivare alle famiglie. Ma, evidentemente, qualcosa si è inceppato. “Noi non abbiamo un canale diretto con i genitori”, sottolinea il ristoratore. Tradotto: l’anello mancante è l’amministrazione comunale, che avrebbe dovuto inoltrare la comunicazione, ma che – guarda caso – si è dimenticata.
Una dimenticanza che ha provocato un effetto domino: bambini spiazzati davanti a un menù a sorpresa, genitori furibondi, e l’interrogazione comunale presentata dal gruppo di minoranza Lessolo Futura.
“Per chi non gradiva, era disponibile un piatto alternativo: pasta in bianco con olio e bocconcini di pollo in bianco”.
Ma a quel punto il danno era già fatto. Altro che dialogo interculturale: l’esperimento si è trasformato in una bomba diplomatica, scatenando accuse reciproche, difese d’ufficio e soliti scaricabarile.
E mentre la vicesindaca Paola Ghigo continua a minimizzare tutto come un “polverone montato ad arte”, la questione si è trasformata in un caso politico e culturale. Un pasto pensato per includere che, ironicamente, ha escluso. Un gesto che voleva avvicinare le culture ma che ha finito per allontanare famiglie e istituzioni. Con buona pace dei bambini, che avrebbero preferito la vecchia, cara pizza.
A scanso di equivoci, il titolare dell’Osteria precisa anche che la pizza non è stata “cancellata” dal menù settimanale: “È stata semplicemente sostituita solo per quel giorno, ma nella programmazione mensile continua a esserci regolarmente”.
Un cambio una tantum, insomma, e non il segnale di una rivoluzione gastronomica.
E ora? C’è da aspettarsi una commissione, un’indagine interna, qualche rassicurazione? Mavalà. Niente di tutto questo...
Il quadro è chiaro: il Comune ha sottovalutato l’importanza della comunicazione, la scuola ha pensato all’inclusione ma senza confronto, e il fornitore ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità.
In fondo, è l’ennesimo episodio in cui la mensa scolastica diventa specchio della gestione pubblica: tante buone intenzioni, poca coordinazione, e una trasparenza che evapora non tanto in cucina ma nei corridoi.
E mentre il ristoratore rivendica la propria professionalità, dalle famiglie arriva un solo messaggio: avvisateci prima di cambiare il menù, ché coi bambini, la sorpresa va bene solo a Carnevale.
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