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Cronaca
12 Aprile 2025 - 16:36
Paolo Scotellaro
C’è un momento, tra la notte e l’alba, in cui il mondo si ferma. Le strade si svuotano, le case tacciono e anche la povertà sembra addormentarsi. È in quell’istante che Paolo Scotellaro, 63 anni, senza una casa, senza più nulla, ha rischiato di morire.
Dormiva su una vecchia poltrona, il suo letto da mesi, sotto la tettoia di un’autorimessa abbandonata nel giardino di piazza Risorgimento, a Torino, nel quartiere Campidoglio. Un posto di ripiego, dove almeno la pioggia non ti bagna. Era solo, come ogni sera. Ma questa volta qualcuno ha deciso che non era abbastanza.
Hanno dato fuoco alla sua “casa”, con lui dentro. Un fiammifero, forse uno scherzo, forse una punizione. Paolo si è salvato per caso. “Mi ha svegliato il calore delle fiamme. Ho aperto gli occhi e ho visto il fuoco. Sono scappato di corsa”, racconta, con la voce rotta. È vivo per miracolo. Qualche bruciatura sul giubbotto, gli occhi ancora pieni di paura. Tutto ciò che aveva — stracci, vestiti, coperta — è andato distrutto. Ancora una volta, non gli è rimasto nulla.
Le fiamme sono divampate alle 23. I vigili del fuoco sono arrivati in pochi minuti, hanno domato l’incendio. La polizia municipale ha messo l’area in sicurezza. Il gazebo ha i vetri in frantumi, le mattonelle sono coperte di fuliggine. Nessun colpevole. Solo testimoni silenziosi, che parlano di un gruppetto di ragazzini visti allontanarsi di corsa pochi attimi prima.
Un gioco? Una sfida? Una vendetta? Nessuno lo sa, nessuno lo dice. Ma Paolo è il terzo in due mesi. Prima di lui altri due senzatetto: uno in Galleria San Federico, l’altro in corso Gamba. Sempre fuoco, sempre silenzio.
La città osserva e si lava le mani. I residenti della zona si lamentano: “Troppa gente che beve, schiamazzi, risse, sporcizia”. Sotto il secondo gazebo, a pochi metri da dove Paolo ha rischiato di morire, c’erano anche stamattina una decina di persone, molte con la solita birra in mano. Ma oggi nessuno alza la voce. Oggi c’è solo odore di fumo e plastica bruciata.
Lui ora è in una struttura protetta, grazie ai Servizi sociali. Stamattina era seduto su una panchina, guardava da lontano ciò che resta della sua poltrona. Una scena così umiliante da far male agli occhi. Eppure Paolo non si lamenta. Non piange. Non urla. È abituato al dolore, al gelo, alla fame. Anche al fuoco, ora. “Mi sono salvato. È già qualcosa”, dice. Come se fosse normale.
Ma non lo è.
Non è normale rischiare di essere bruciato vivo perché sei povero. Non è normale dormire su una poltrona in una città che si proclama civile. Non è normale che i roghi aumentino e nessuno gridi. Non è normale che si dia fuoco a un uomo e che il giorno dopo si parli d’altro.
Torino tace. La politica tace. I giornali titolano e passano oltre. Ma c’è un uomo, 63 anni, che stanotte è sopravvissuto per sbaglio. E domani? Chi sarà il prossimo a essere “ripulito” con le fiamme?
Insomma, se bruciare i poveri è diventato un passatempo, è il momento di accendere un altro tipo di fuoco: quello della vergogna.
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