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12 Aprile 2025 - 11:56
Pierino Di Silverio
Gentile Direttore,
il recente articolo firmato da Liborio La Mattina su “La Voce” che titola con enfasi “Fine della pacchia: Schael chiude l’intramoenia allargata. E meno male!”, ha sollevato nella nostra Segreteria Regionale Anaao Assomed del Lazio un profondo risentimento. Esprimiamo completa solidarietà ai nostri colleghi medici piemontesi. Non solo per il tono del lessico apertamente accusatorio e liquidatorio verso una categoria professionale già duramente provata, ma soprattutto per l’evidente distorsione di realtà che la testata giornalistica veicola in nome di una narrazione populista e oggettivamente mal documentata.
Il diritto alla libera professione intramuraria, esercitato nel rispetto della legge, non è una pacchia. È una previsione normativa, non un privilegio normativo. È un diritto contrattuale, non una concessione arbitraria regionale. Inoltre, non è affatto ciò che svuota gli ospedali dalle 14 in poi.
L’articolo scaglia il proprio j’accuse come un pamphlet ideologico: “musica di sottofondo e parcelle da 200 euro”, “feudi”, “privilegi mascherati”, “camici a doppia velocità”. Parole che colpiscono il lettore comune, ma non spiegano in dettaglio. Che feriscono la categoria, ma non informano. E qui sta la radice del problema molto comune nel giornalismo moderno: si fa opinione senza analizzare il dato, si denuncia senza comprendere, si calunnia senza rispetto.
Primo: L’intramoenia allargata non è un abuso, ma un rimedio previsto dalla legge
Come correttamente riportato dall’autore (ma soltanto nelle ultime righe), l’intramoenia allargata nasce per colmare un vuoto strutturale dello Stato Italiano, che non ha concesso agli ospedali di offrire spazi adeguati per la libera professione istituzionale dei medici. È assurdo che oggi si condanni chi, nel rispetto delle regole, abbia utilizzato gli unici strumenti messi a disposizione dal sistema pubblico. È come accusare un autista di aver preso la deviazione perché la strada principale era sbarrata da anni.
Che alcuni comportamenti siano migliorabili, siamo tutti d’accordo. Ma la generalizzazione rischia di essere l’anticamera della mistificazione. Sotto l’etichetta “medici assenti”, si liquida un intero corpo professionale, dimenticando le centinaia di dirigenti medici che restano in ospedale ben oltre l’orario, che coprono buchi nei turni oltre la norma di legge, che sostengono reparti con organici ridotti all’osso e che non esercitano la libera professione. Dove sono questi racconti nel suo articolo, egregio Sig. La Mattina?
Secondo: La carenza non si risolve tagliando diritti
Nell’articolo si dice che “dalle 14 in poi i medici scompaiono” e che ciò è dovuto all’intramoenia. Falso. Falsissimo. Le carenze pomeridiane dei medici sono figlie di anni di tagli lineari e costanti, blocchi continui del turnover, mancati investimenti e turnazioni esasperate per garantire il servizio ai cittadini. Non è l’ALPI a generare il vuoto dopo le 14, è il vuoto generato dalle istituzioni ad aver permesso all’ALPI di diventare l’unica clausola possibile per tanti medici che restano in Italia e nel pubblico proprio grazie a questa opportunità, a garantire in assenza di altre richieste legittime della categoria ed invocate per anni, l’unica possibile valorizzazione di un professionista nel sistema in assenza di ulteriori forme di gratificazione.
È un alibi molto comodo incolpare la libera professione per le liste d’attesa. Ma le cause, ancora una volta, sono sempre da principio strutturali: carenza di specialisti, macchinari obsoleti, cronica assenza di programmazione. Colpire l’ALPI allargata non riempirà magicamente i reparti: servirà solo a incentivare l’extramoenia dei dirigenti medici in servizio o la loro fuga all’estero oppure, più banalmente, nel settore privato.
Terzo: i giovani non sono penalizzati dall’ALPI, ma dal sistema
Sostenere che “i primari si fanno i fatti loro mentre i giovani restano fuori” è una scorciatoia narrativa che ignora la realtà contrattuale e organizzativa. I giovani medici oggi possono accedere alla libera professione sin dai primi anni grazie al Decreto Calabria e ai recenti adeguamenti contrattuali. L’ANAAO è stata tra le prime sigle a rivendicare questo diritto per i neoassunti, e continua a lottare per percorsi di carriera trasparenti e valorizzanti. Non si protegge un giovane sottraendo diritti ai più esperti: si protegge un giovane garantendogli tutele, formazione, riconoscimento.
Quarto: Il silenzio dell’ANAAO è il lavoro costante e silenzioso della negoziazione
L’articolo ironizza sul presunto “silenzio” dell’ANAAO. Ma la buona politica sindacale, a supporto dei nostri colleghi della Regione Piemonte, non si fa a colpi di comunicati: si fa ai tavoli di trattativa, nelle riunioni regionali, nei documenti tecnici che nessuno legge ma che determinano le condizioni in cui lavora un medico. Il nostro sindacato è intervenuto in più occasioni, con documenti ufficiali e osservazioni puntuali, sia in Regione che presso il Ministero. Chi scrive, evidentemente, non se n’è accorto o forse non si è documentato a sufficienza prima di accingersi alla tastiera.
Ultimo: Le parole come pietre
Scrivere di “baroni”, “parassitismo”, “camici a doppia velocità” è un esercizio retorico che ama un certo pubblico, ma produce un danno incalcolabile alla reputazione di una professione che, in questi anni, ha retto l’urto della pandemia, ha sopportato carichi di lavoro indescrivibili, e continua ogni giorno a curare, operare, ascoltare, consolare o se si preferisce il discorso aziendale “a produrre o erogare”.
Invece di affondare la spada nel corpo già ferito del SSN, servirebbe una riflessione più profonda e onesta. Le scorciatoie linguistiche e le retoriche non salveranno la sanità pubblica. Servono atti concreti: investimenti, assunzioni, organizzazione. E serve rispetto: in primis per i pazienti. Ma anche per chi li cura.
Conclusioni:
Sì, è finita. È ora di farla finita con l’epoca in cui il silenzio e la semplificazione potevano passare per verità. È ora di dire le cose come stanno nel giornalismo, sui blog di informazione. E anche in sanità, come nella vita quotidiana, la verità andrebbe detta per intero. Senza tagli, senza retorica, e senza applausi a scena aperta.
Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale, ANAAO Assomed
Aldo Di Blasi
Segretario Regionale, ANAAO Assomed Lazio
Umberto Anceschi
Componente di Segreteria Regionale, ANAAO Assomed Lazio
Gentili dottori Di Silverio, Di Blasi, Anceschi,
riceviamo e volentieri pubblichiamo la vostra lunga – e involontariamente esilarante – replica indignata.
Un triplice firmatario, tre cariche diverse per dire una sola cosa: “non toccate l’ALPI, è nostra e ce la gestiamo noi”.
Ma permetteteci una domanda semplice semplice: chi vi ha detto che la legge, da sola, basta a legittimare un sistema?
L’intramoenia è legale, certo. Come è legale il vitalizio per certi ex parlamentari o la doppia indennità per chi siede in due consigli di amministrazione.
Il punto non è la legalità. Il punto è la decenza.
Se un cittadino paga le tasse, ha diritto a una visita in tempi umani. Se invece viene spedito dritto dritto in uno studio medico o in una clinica a guardare in faccia la stessa faccia che non ha potuto vedere in corsia, allora non siamo davanti a un diritto: siamo davanti a una presa in giro.
Il mio “Fine della pacchia” usa parole forti? Forse.
Ma non si preoccupino i medici che lavorano con serietà, senza scorciatoie e senza doppi camici a gettone: non era un attacco a loro. Era un promemoria per tutti gli altri.
Ci accusate di populismo, di semplificazione, di usare la parola come un randello. Eppure in tutta la vostra lettera manca una sola cosa: una spiegazione convincente.
Perché dalle 14 in poi i reparti si svuotano?
Perché le liste d’attesa esplodono mentre gli studi intramoenia filano lisci come un ECG regolare?
Perché i cittadini sono stufi di sentirsi dire “non c’è posto” mentre il posto, magicamente, compare se hanno la carta di credito?
Non rispondete. Ve lo diciamo noi: perché il sistema è malato, e voi non avete nessuna intenzione di curarlo. Solo di difenderlo.
E allora va benissimo citare la pandemia, le ore in più, il lavoro silenzioso nei corridoi della contrattazione. Ma non basta a coprire l’evidenza che il cittadino vede ogni giorno: una sanità a due corsie, e due moralità.
Il vostro mestiere è negoziare, il nostro è raccontare. Voi portate le carte ai tavoli, noi portiamo i fatti sulla pagina.
E tra i due mondi, lasciatecelo dire, l’unico che vive davvero a contatto con i pazienti siamo noi, che li ascoltiamo quando ci scrivono o ci chiamano per raccontare come funziona davvero. Quelli che piangono, quelli che se la ridono, quelli che vi mandano a fanculo un giorno sì e l'altro pure, per un visita negata, per i tempi di attesa che con i soldi si aggiusta tutto....
La prossima volta, invece della lettera a tre firme, provate con una passeggiata nei corridoi del pronto soccorso alle 15.00, un passeggiata nei reparti alle 16, a a chiamare un CUP alle 17.30.
Chissà, magari vi renderete conto che “la pacchia” non è una semplificazione giornalistica. È semplicemente quello che si vede da dentro. E da fuori si capisce tutto benissimo.
Con rispetto, ma senza più ipocrisie,
LIBORIO LA MATTINA
Direttore de La Voce
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