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Cronaca

Sbaglia l’anagrafe, paga la vedova. Settimo Torinese, dove l’errore costa 16 euro e 52

Il Comune scrive “Crmela” invece di “Carmela” in un atto legato alla morte del marito. Quando la donna segnala l’errore, le rifanno pagare l’imposta di bollo. “Si approfittano delle persone nei momenti di fragilità”. La città dell’Innovazione funziona solo su Facebook. Nella realtà, carbone e umiliazioni.

Sbaglia l’anagrafe, paga la vedova. Settimo Torinese, dove l’errore costa 16 euro e 52

Sbaglia l’anagrafe, paga la vedova. Settimo Torinese, dove l’errore costa 16 euro e 52

A Settimo Torinese funziona tutto alla perfezione. Tranne i servizi essenziali. È la capitale del Festival dell’Innovazione e della Scienza, la città del Cirko Vertigo, delle luci a LED e delle dirette Facebook della sindaca Elena Piastra, “una visionaria con i piedi per terra”. Ma quando si passa dai festival agli sportelli comunali, dalla teoria alla pratica, il sogno si spegne. E resta solo la burocrazia. Quella con la B maiuscola, e anche con la C di “Crmela”.

Sì, perché Crmela, senza la “a”, è il nome con cui una cittadina è tornata a casa dopo aver affrontato una delle classiche prove di resistenza che spettano a chi ha la sfortuna di dover mettere piede in anagrafe: ottenere una dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio.

Una pratica legata alla morte del marito, già di per sé un abisso di dolore. Ma anche davanti a un lutto, l’anagrafe di Settimo riesce a infliggere un’ulteriore ferita.

La scena, purtroppo, è reale. La donna si presenta allo sportello. L’impiegata compila il documento, lo stampa, lo consegna. E in tono formale le chiede: “Lo legga, per favore”. Lei scorre, apparentemente tutto corretto. Firma. Fine? Neanche per sogno.

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Arrivata a casa, con quel groppo alla gola che si ha dopo una mattinata passata a gestire carte e ricordi, si accorge dell’orrore: il suo nome non è più “Carmela”, ma “Crmela”. La “a” è sparita, evaporata, forse bruciata nel motore a vapore dell’anagrafe settimese, che ormai funziona a carbone, penna biro e spirito di sopravvivenza.

Carmela, anzi “Crmela”, si ritrova così umiliata due volte: prima dalla vita, poi da una burocrazia che non sa nemmeno copiare correttamente un nome.

"Lì per lì non me ne sono accorta", racconta. "Me ne sono accorta alla sera tardi, ed era troppo tardi per telefonare in municipio."

La mattina dopo chiama, pensando – ingenuamente – che il Comune riconosca l’errore, magari chieda scusa e ristampi l’atto in pochi minuti. Niente da fare. L’impiegata, come un personaggio kafkiano uscito dal retrobottega della macchina comunale, le comunica che deve pagare 16,52 euro per rifare l’atto. Sì, avete letto bene: l’errore è dell’ufficio, ma a pagare è il cittadino.

Lei protesta. Spiega, educatamente ma con fermezza, che il nome “Crmela” non esiste né all’anagrafe né in alcun documento precedente. È una svista evidente. Ma la risposta che riceve è l’emblema di un sistema che ha smarrito il senso del servizio: “Lei doveva leggere”.

Una colpa, quella della vittima, che sa tanto di beffa. Come se un paziente operato alla gamba sbagliata si sentisse dire: “Doveva controllare che le medicassimo il ginocchio giusto”. E infatti la cittadina, amareggiata, commenta: “È un balzello che fa schifo… Loro sbagliano e io pago. È vero che mi ha detto di leggere, ma mi era sfuggito e quello è chiaramente un errore suo”.

Poi aggiunge, con parole che pesano come macigni: “Oltre alla perdita di una persona cara, c’è pure l’amarezza che il personale, o chi per esso, da parte del Comune si approfitti delle persone nei momenti di fragilità”.

Come darle torto? In qualunque paese civile e funzionante, una correzione d’ufficio causata da un errore d’ufficio sarebbe gratuita, immediata e accompagnata da scuse. Ma a Settimo, dove la smart city è un hashtag e non una realtà, la macchina amministrativa resta ferma al palo. Peggio: sbaglia, si inchioda, e fa pure pagare il danno.

E non è un caso isolato. Per ottenere un atto notorio – un documento che in altre città viene rilasciato in pochi giorni – qui i tempi si allungano anche di un mese. Il primo appuntamento disponibile? A distanza di settimane. Una quaresima laica, che mette alla prova la pazienza e il tempo dei cittadini, già provati dalla vita.

Il tutto in un contesto dove l’innovazione è solo di facciata, dove i festival celebrano la scienza mentre negli uffici pubblici si digitano ancora lettere a caso come se fossimo negli anni Ottanta. E se ti chiami Carmela, devi anche sperare che nessuno dimentichi una vocale per strada. Perché poi tocca a te metterci la pecunia per rimediare.

A Settimo Torinese il “cirko” non finisce mai. Altro che Nice Festival: qui la pista è sempre aperta, il tendone non si smonta mai. E non servono i clown, basta una visita in Comune.

Come racconta la sindaca Elena Piastra sul suo profilo Facebook, citando Fellini“Il circo mi sconvolge e mi terrorizza come quand’ero bambino. […] La vita collettiva, per esempio. La più difficile che ci sia. Fatta di lavoro di squadra, di successi personali, di fallimenti, di gelosie, di bellezza e di miseria, d’amore, di vergogna, di odio…”

Parole toccanti. Ma forse sarebbe meglio applicarle alla realtà che si governa, piuttosto che trasformarle in didascalie ispirazionali per post social. Perché a Settimo il “circo” è reale. E fa piangere, non sorridere.

A Settimo il cirko è davvero completo. Ma non serve il biglietto: basta un lutto, un modulo sbagliato, e ti ritrovi nel tendone. Dove il Comune sbaglia, e tu paghi.

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