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03 Aprile 2025 - 01:23
Donald Trump
Con un annuncio tanto atteso quanto temuto, Donald Trump ha scagliato la sua ennesima bomba sullo scacchiere globale, dichiarando quello che in molti analisti non esitano a definire un ritorno al protezionismo puro. Nessun paese escluso, nessuna alleanza commerciale salvata: tutte le importazioni verso gli Stati Uniti, da qualunque parte del mondo, saranno colpite da un dazio fisso del 10%. Ma per alcuni Stati “nemici economici” — così definiti da Trump — si va ben oltre: 54% sulle merci cinesi, 46% su quelle vietnamite, 32% da Taiwan, 24% dal Giappone, 20% per l’intera Unione Europea. E un secco 25% su tutte le automobili e i componenti auto importati.
Si tratta del pacchetto di tariffe più ampio e pesante mai introdotto dagli USA in epoca moderna. Secondo le stime pubblicate dal Wall Street Journal e riprese da Reuters e Bloomberg, il tasso medio di tassazione doganale statunitense è salito al 22%, il livello più alto dal 1910. Un dato che da solo basta a far tremare mercati, investitori e governi. Ma a far davvero paura è il contesto: Trump ha parlato di misure “di reciprocità”, atte a ristabilire la supremazia americana sui mercati, accusando direttamente l’Europa di “sfruttare l’apertura americana” e la Cina di “aver rubato tecnologia e posti di lavoro per decenni”. Un discorso incendiario, rilanciato in diretta da tutte le principali testate statunitensi, che ha fatto impennare l’indice VIX della paura e mandato nel caos le borse asiatiche e quelle europee.
L’impatto potenziale di questa nuova ondata di dazi è devastante. Secondo le proiezioni di Goldman Sachs, la guerra commerciale potrebbe costare all’economia mondiale fino a 1.400 miliardi di dollari, una cifra superiore al PIL dell’intera Spagna. A farne le spese, ovviamente, non saranno solo le grandi potenze. I paesi emergenti — come India, Brasile, Messico — potrebbero essere stritolati da un sistema di barriere a catena che taglierà fuori interi segmenti di esportazione. In Europa, invece, si valuta già una controffensiva: Bruxelles ha messo in moto le procedure per introdurre dazi di ritorsione su beni statunitensi, compresi prodotti simbolo come hamburger, bourbon, jeans e dispositivi tecnologici.
Per l’Italia si tratta di una pessima notizia. Il nostro paese è tra quelli che più dipendono dall’export verso gli Stati Uniti, in particolare nei settori della meccanica di precisione, della moda, dell’agroalimentare e dell’automotive. Con un dazio del 20%, i prodotti italiani diventano immediatamente meno competitivi, perdendo terreno a favore di produzioni locali o di paesi non ancora colpiti. Secondo i dati di Confindustria, l’export italiano verso gli USA supera i 60 miliardi di euro all’anno. Una contrazione anche solo del 10% potrebbe significare la perdita di migliaia di posti di lavoro, soprattutto nelle regioni del Nord. Coldiretti ha già lanciato l’allarme per l’agroalimentare: “Se vino, olio e pasta diventano beni di lusso per il consumatore americano, il danno sarà incalcolabile”.
Ma le ripercussioni non si fermano all’economia. La decisione americana rappresenta un colpo durissimo al multilateralismo. A essere bypassate, ignorate o apertamente sbeffeggiate sono organizzazioni come l’OMC e la WTO, incapaci di fermare questa escalation. Di fatto, Trump ha resettato decenni di diplomazia commerciale internazionale, riportando il mondo a uno scenario anni Trenta, fatto di nazionalismi economici, barriere e ritorsioni.
A chi lo accusa di voler innescare una recessione globale, Trump risponde con toni muscolari: “Non siamo più il bancomat del mondo. Se vogliono entrare nel nostro mercato, devono pagare. Punto”. Una posizione che gli sta garantendo applausi a scena aperta da parte della sua base elettorale e dei falchi repubblicani, ma che sta mandando nel panico colossi industriali, multinazionali e persino piccoli imprenditori americani che vedranno aumentare il prezzo delle materie prime e delle forniture.
Secondo MarketWatch, già nelle prime 24 ore dal discorso, le aziende USA hanno cominciato a riscrivere contratti, posticipare ordini, congelare investimenti. I fornitori asiatici di Apple e Tesla parlano apertamente di “crollo della fiducia”. L’industria automobilistica tedesca, con BMW e Mercedes in prima linea, ha convocato d’urgenza un tavolo con il governo tedesco per valutare l’impatto delle nuove tariffe. E intanto a Washington cresce la fila dei lobbisti che cercano disperatamente deroghe e salvezze per i loro settori.
Insomma, una mossa dirompente che cambia le regole del gioco. Non una semplice schermaglia commerciale, ma un ribaltamento completo dell’architettura economica globale. Trump ha scelto di alzare i muri, economici e ideologici, in un mondo che avrebbe bisogno disperato di ponti. Se sarà la mossa che lo riporterà alla Casa Bianca o il primo passo verso un collasso del commercio internazionale, lo diranno i prossimi mesi.
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