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L'Unione fa la forza

La paura genera mostri

Non sono le distanze o l’isolamento degli individui, ma i legami e la forza della vicinanza che ci possono aiutare a resistere ai pericoli del mondo

Massimiliano de Stefano

Massimiliano de Stefano

Gli articoli, uno di una lunga serie, riferiti alla campagna sulla sicurezza cittadina lanciata dal consigliere De Stefano mi hanno fatto molto riflettere anche se fino ad oggi ho preferito non intervenire.  

L’uscita di oggi di proporre il Daspo Urbano mi porta invece a fare alcune riflessioni di merito. Ho cercato in queste settimane a comprende le motivazioni per le quali il tema della sicurezza abbia assunto un ruolo così centrale nell'odierno dibattito pubblico cittadino.

Sono sempre dell’idea che bisognerebbe quando si tratta di temi tanto delicate partire ad analizzarne le cause prima ancora degli effetti. I processi di globalizzazione, le profonde trasformazioni nel mercato del lavoro, la cancellazione del reddito di cittadinanza, la sostanziale crisi delle politiche di assistenza manifestatesi negli ultimi trent’anni hanno, direttamente e con impressionante forza, travolto la vita delle singole persone e dell'intera società.

Le nostre città hanno subito trasformazioni profonde sia nel tessuto economico con la chiusura di fabbriche e altre attività storiche sia nel tessuto sociale con l'accelerazione dei fenomeni migratori. Tutti questi cambiamenti e, soprattutto, la velocità con cui sono avvenuti, e continuano ad avvenire, hanno diffuso una generale sensazione di incertezza, precarietà e, in definitiva, di vera e propria paura. Paura che si può declinare in vari modi: si ha timore di perdere il lavoro a causa della delocalizzazione dell'azienda o del fatto che il contratto non venga rinnovato, di non poter più pagare le rate del mutuo o di essere sfrattati, di non potersi curare adeguatamente e via via elencando.

Possiamo dire che la paura, che lo stato sociale aveva promesso di sradicare, è dunque ritornata sulla scena con propositi di vendetta. Molti di noi, indipendentemente dal posto occupato nella gerarchia sociale, sono terrorizzati di essere inadeguati al cambiamento avvenuto e ancora in corso.

La diffusa e impalpabile paura che satura il nostro presente non ispira movimenti collettivi volti a contrastarne le cause, ma alimenta quello che si può definire un rancore sociale, un sentimento oscuro che anima tutti coloro che, soli e isolati, temono di perdere le ultime garanzie di cui godono a causa di chi ha meno di loro. Ogni nuova ingiustizia alimenta questo sentire: uno straniero che ottiene una casa popolare, un detenuto che esce dal carcere qualche giorno prima del fine pena, chi chiede l'elemosina, chi sfoga il suo malessere con atti di vandalismo o peggio di violenza, l'elenco potrebbe continuare all'infinito, ma la richiesta che, partendo da questo sentimento, viene rivolta alla politica è univoca: più sicurezza, più controllo, più carcere. Naturalmente, la politica attuale non si sottrae a questo grido d'aiuto: i provvedimenti securitari costano infinitamente meno di quelli sociali e, soprattutto, producono effetti immediati e visibili. Senza tener conto che il rischio è di andare incontro ad una criminalizzazione della povertà, di Stato penale che si sostituisce ad uno Stato sociale.

La politica oggi si occupa di tradurre la paura, oggi imperante, in provvedimenti legislativi, uno di questi  è appunto Il Daspo urbano che ne è un esempio emblematico: proposto e fatto approvare nel 2017 dal ministro dell'Interno Marco Minniti, esponente del Partito Democratico, e che è stato riconfermato e rafforzato nel 2018 dal ministro dell'Interno Matteo Salvini, leader della Lega.

Marco Minniti

Marco Minniti

In realtà se prima si parlava di Daspo per la violenza negli Stadi di calcio è già dal 2010 in seguito agli scontri di piazza avvenuti nel corso di una manifestazione contro il governo, l'allora ministro degli Interni Roberto Maroni propose di applicare il Daspo anche alle manifestazioni politiche. Vi furono immediate reazioni di sdegno, da più parti si parlò di grave minaccia alle libertà costituzionali, di attentato alla libertà d'espressione; alla fine non successe nulla, ma questa misura di prevenzione ha proseguito la sua espansione al di fuori del perimetro dello stadio, per diffondersi nelle strade delle nostre città. Molti di coloro che inorridirono di fronte alla proposta di Maroni, oggi, sono fra i sostenitori più convinti del Daspo urbano, a riprova del fatto che il problema non è il suo campo di applicazione.

Capisco che faccia odiens lanciare la proposta di applicare il Daspo urbano nella nostra Città, per il quale addirittura si fa fatica a comprendere esattamente quale tipo di reati dovrebbe contribuire ad impedire. Cerco di spiegarmi meglio, la formulazione sull’applicazione del Daspo urbano  è piuttosto vaga e questa vaghezza può da permettere di perseguire un po' di tutto: da piccoli reati, peraltro già sanzionati dal codice penale, come l'ubriachezza molesta; ad attività volte alla mera sussistenza, come il commercio abusivo; a necessità, come dormire per strada o chiedere l'elemosina, che reati non sono, almeno, per il momento.

Il fatto più curioso è che la legge sul daspo urbano non afferma chiaramente che queste condotte sono vietate in assoluto, ma che, certamente, non si devono attuare in alcune zone ben precise della città e che il compierle può comportare il rischio di essere banditi da queste per un certo periodo di tempo o, addirittura, il carcere se si persevera; insomma, sembra quasi la trasposizione in decreto dell'adagio: occhio non vede, cuore non duole.

Invito il Consigliere De Stefano a leggere attentamente la legge prima di proporla: Il comma 2 ci spiega che sono passibili di ricevere l'ordine di allontanamento dalle zone in cui è in vigore il provvedimento, anche coloro che nelle stesse sono colti in stato di manifesta ubriachezza (art. 688 c.p.), chi compie atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.), chiunque si dedichi al commercio senza le prescritte autorizzazioni (art. 29 D.L. 114/98) e chiunque eserciti abusivamente l'attività di parcheggiatore. E sulle aree di applicazione il comma 3 informa che: i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree urbane su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, aree adibite a verde pubblico, alle quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, e infine le modifiche apportate nel 2018 dal decreto Salvini permetteranno di aggiungere al già lungo elenco anche i "presidi sanitari" e le "aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli.

Per concludere il Daspo urbano nasce per dissuadere chiunque ponga in essere condotte che impediscono l'accessibilità e la fruizione di infrastrutture pubbliche di trasporto anche se in realtà  nell'applicazione si scopre che è sufficiente una semplice denuncia per danneggiamento a impedire l'accessibilità e la fruizione di un parco pubblico.

A me personalmente desta una certa impressione rendersi conto della duttilità di questo strumento, che con semplici modifiche e piccoli aggiustamenti nelle modalità applicative può escludere dalla libera fruizione dello spazio urbano un numero potenzialmente enorme di persone.

La cosa più curiosa è che la continua invocazione di più sicurezza, più carcere,   e polizia nelle strade, che sembra levarsi anche dagli angoli più remoti del nostro paese, avviene contemporaneamente al generalizzato calo di praticamente tutti i tipi di reati: dall'omicidio al furto in abitazione. Evidentemente quanto accade è slegato dalla realtà dei fatti o, per meglio dire, dei dati.

Proprio il concetto ambiguo di "percezione della sicurezza" va indagato e decostruito, poiché su questo si è giustificata ogni nuova stretta securitaria, in base all'idea che contrastando anche la più piccola indecenza urbana si aumenti la sicurezza percepita, mentre in realtà non si interviene in alcun modo sulle reali cause di insicurezza. Per meglio circoscrivere questa considerazione, non si può non partire dal sentimento di incertezza e insicurezza che è presente nella vita di ciascuno di noi, abitiamo in una città che ci sembra di conoscere ma, allo stesso tempo, siamo immersi in un mondo globale che è difficile da comprendere.

Oggi ci parlano di armarci, del rischio di essere invasi da uno stato nemico, di preparare zainetti di sopravvivenza e su questo ci sono partiti che fanno il centro del loro dibattito congressuale (vedasi il Signor. Calenda applaudito sia dalla Meloni che da una parte del partito Democratico)

Gentile Consigliere De Stefano usare la paura come strumento politico, non è solo sbagliato ma anche molto pericoloso. Come afferma Amnesty International. “La politica della paura sta provocando una spirale di abusi e violazioni dei diritti umani, in cui nessun diritto è sacrosanto e nessuna persona può sentirsi sicura”. Governi autorevoli e gruppi armati fomentano deliberatamente la paura allo scopo di calpestare i diritti umani e creare un mondo sempre più diviso e pericoloso.

Il Tuo Segretario Nazionale “tale Calenda” vuole riarmare il Paese gridando all’invasione della Russia in Europa. A livello locale sono giorni che lanci l’allarme sull’aumento di una delinquenza cittadina senza precedenti fino a proporre l’uso del Daspo.

Capisco che tutto fa notizia ma proviamo a ragionare sulle cause e non solo sugli effetti. Il Daspo urbano è una misura inapplicabile, un palliativo rischioso, i piccoli criminali saranno i primi a capire che non funziona e se ne approfitteranno. Mancano criteri oggettivi per individuare le persone da interdire. E poi per fare un esempio concreto: se uno spacciatore viene allontanato da un luogo, come si fa a verificare che non ci torni o che non si trasferisca in un altro? Questa persona non è soggetta a procedimenti restrittivi specifici. Dunque cosa facciamo lo seguiamo tutto il giorno?

Ripeto lavoriamo sulle cause prima che sugli effetti del degrado e smettiamola di fare demagogia spicciola.

Buon lavoro consigliere 

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